Il buon cuore - Anno XIII, n. 30 - 15 agosto 1914/Necrologio

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 30 - 15 agosto 1914 Religione

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La morte di Mons. BONOMELLI


Ultime ore.

Anche nelle ultime ore l’illustre e pio Vescovo di Cremona, malgrado le sofferenze fisiche, ha conservato la sua caratteristica serenità, commovendo tutti per la semplicità affettuosa con cui si accomiatava, come se si trattasse di un breve congedo. Conscio del pericolo imminente, volle l’estrema unzione, rispondendo in maniera edificante alle preghiere di rito.

Fu espansivo fino all’ultimo col suo fedele mons. Emilio Lombardi, nonchè coll’affezionato cameriere Giovanni Franchini, qualificato più volte dal buon vescovo come stoffa da diplomatico.

La mattina del 29 Luglio, ricordando l’anniversario della tragica morte del Re Buono, aderì con affetto al pensiero di un telegramma a S. M. la Regina Madre, che subito rispose con animo riconoscente, rinnovando ar denti e fervidissimi voti.

Profonda commozione suscitava la vista di lue semplici vecchiette, che esprimevano a monosillaba e a gesti un dolore indicibile: erano le sorelle del grande Vescovo, Margherita e Gerolama, che di tanto in tanto si avvicinavano all’agonizzante, mentre il nipote Antonio le incoraggiava.

Commoventissimo il congedo da mons. Gaggia, vescovo di Brescia, come il saluto al conte Stefano Jacini, ispirato all’Opera di Assistenza degli operai emigrati.

Il conte Jacini, commosso, esclamava: — Monsignore ci benedica. — E quella mano che aveva benedetto migliaia di testine infantili, di soldati e di operai; quella mono che si era alzata più volte per benedire il tricolore nella gioia come nella sventura, si alzò anche nell’estremo momento, ma tosto ricadde per non più rialzarsi.

La morte.

Brescia, 3, notte. — Durante la mattinata mons. Bonomelli aveva avuto una crisi violenta. Gli vennero

praticate iniezioni e gli fu somministrato l’ossigeno, ciò che provocò violenti convulsioni, le quali fecero presagire la catastrofe. Verso le ore 13 l’infermo era calmo, aveva il capo sorretto da diversi guanciali, il viso terreo, ischeletrito, le braccia abbandonate, inerti. Alle ore 14 la respirazione si fece più lenta, quindi, senza alcun sussulto, il venerando prelato piegò il capo sul guanciale, cessando di vivere.

Attorniavano il letto del morente, desolati e piangenti, le sorelle del vescovo, mons. Lombardi, diversi canonici della cattedrale di Cremona, il padre Bernardino dei Carmelitani, la signora Tosi, proprietaria della villa dove era alloggiato il vescovo, tutti i famigliari, il segretario dell’Opero Pia Bonomelliana, conte Stefano Jacini e altre personalità.

Tutti i presenti erano inginocchiati intorno al letto, e appena avvenuto il decesso, la salma fu vestita dei paramenti e trasportata nella grande sala della villa, nella quale era stato eretto apposito catafalco sormontato da bianchi paramenti.

Al domani la salma venne ammessa alla visita del pubblico. Mons. Lombardi è partito oggi per Cremona onde prendere visione del testamento lasciato,da monsignor Bonomelli. Si crede che la salma dovrà essere, per desiderio •del defunto, trasportata a Cremona per essere seppellita in quel Cimitero.

Le condoglianze del Governo.

Ecco il telegramma che fon. Salandra, per il tramite del Prefetto, ha inviato alla famiglia di Mons. Bonomelli:

«Personalmente, e come capo del Governo, esprimo il mio profondo rammarico per la perdita del prelato illustre per costante devozione alla patria e per opere insigni di carità civile».

Una delle figure più luminose del clero italiano [p. 234 modifica]scompare dalla scena della vita, in un momento in cui sembrano scatenarsi tutti gli istinti belluini dell’umanità, e le nazioni stanno per aggredirsi in una lotta senza precedenti. Ma non ebbe il dolore di assistere alla catastrofe; egli che fu la personificazione della carità e che portò l’amore del prossimo alle più pure altezze cui uno spirito privilegiato possa mai giungere. Un solo sentimento, forse, fu pari in lui all’amore pel suo magistero di pietà: l’amore di patria. Si può dire, anzi, ch’egli li confondesse nello stesso palpito del suo gran cuore, e che ogni suo atto, ogni suo pensiero, fossero ispirati al culto di queste leggi fondamentali della vita, e in esse attingessero le ragioni di quella fresca vigoria che sembrava in lui impareggiabile ed inesauribile. Il santo vescovo esercitava, perciò, sulla vita contemporanea una influenza senza paragone, e la venerazione di cui era circondato superava tutte le barriere. Non vi fu ira partigiana che non si arrestasse dinanzi allo splendore di quella modestia evangelica e non si sciogliesse al contatto di quella stupenda grandezza, fatta di umiltà e d’amore. Il pensiero politico. Ricorderanno i lettori che •mons. Bonomelli ebbe nel giugno 1911 a concedere al Direttore della Perseveranza, avv. Fontana, una intervista, che ebbe larghissima eco e provocò aspre polemiche sui giornali cattolici intransigenti. In •quell’occasione mons. Bonomelli manifestava nettamente i suoi schietti sensi di italianità parlando di una sua pubblicazione sa «tre personaggi italiani illustri e moderni» (il conre Genova Thaon di Revel, Antonio Fogazzaro e Tancredi Canonico). Ed aveva opportunità di ricordare un episodio caratteristico del periodo in cui, per parte di prelati d’uomini politici, sotto il pontificato di Leone XIII più ferveva l’opera intesa alla conciliazione fra Stato Chiesa. Riesumiamolo: «La conciliazione — disse mons. Bonomelli -che aveva trovati favorevoli Re Umberto I ed alcuni uomini politici più in vista, fallì per opera — sarebbe difficile immaginarlo, se •non fosse vero — della Franbia. Sicuro. La Francia rese avvertito Leone XIII che se egli avesse fatta la conciliazione con l’Italia, essa. avrebbe richiamato l’ambasciatore pressa la Santa Sede. Da quell’epoca data ciò che iù chiamerei il secondo periodo della politica di Leone XIII l’Italia. — Che ci fosse stato qualche cosa in questa senso si sospettava; ma ciò ch’Ella espone ha tutto il carattere di una rivelazione. E’ un fascio di luce sopra un punto poco conosciuto della nostra storia contemporanea. Ma dica, Monsignore, non è forse a tale epoca, se non andiamo errati, che risale una fioritura,di libri ed opuscoli sulla -necessità di una conciliazione tra Chiesa Stato? — Precisamente. Non parlo di un mio scritto, apparso sulla Rassegna Nazionale, che fu condannato, e per cui feci ampia ritrattazione. Raconto piuttosto un fatto e loro ne caveranno le conseguenze che credono Un giorno Leone XIII chiamò a sè mons. Scalabrini, ve scovo di Piacenza, e dopo un breve preambolo, gli diede nientemeno che l’incarico di scrivere un libro contro gli Intransigenti. Come ha detto Monsignore? Contro gli Intransigenti; nè il Pontefice si limitò a questo, ma diede a Monsignor Scalabrini il som.mario, ch’egli avrebbe dovuto illustrare e svolgere. E quel sommario l’ebbi io pure tra le mani. Mons. Scalabrini, ricevuto ed accettato l’incarico venne da me richiedendomi della mia collaborazione. Non potei promettere molto, causa alcune mie assorbenti occupazioni. Ma, intanto, Monsignor Scalabrini, accintosi al lavoro, s’accorse, forse più che delle difficoltà, della estrema delieatezzi di certe questioni. Che fare? Il Pontefice aveva ordinato il lavoro, il Pontefice risolvesse i dubbi. E Mons. Scalabrini, da quel santo furbo che era, iniziò una vera e propria corrispondenza epistolare col Pontefice, tanto che, finito il libro, s’accorse che questo era stato scritto assai più da Leone XIII che non da lui. Ebbene, lo si crederebbe? Il libro, sulla cui testata al posto del nome dell’autore, figurava seinp;icement2 «Un prelato», non era quasi uscito che, da parte dell’Osservatore Cattolico specialmente,’ incominciò una guerra rabbiosa e contro il libre in sè, e contro il suo anonimo autore, di cui però, a tastoni, si tentava di indovinarne il nome. Ma mons. Scalabrini non avrebbe potuto insorgere e dire.... E’ ciò ch’egli fece in parte. Stanco di quella guerra atroce, senza quartiere, nella quale già si sussurrava il suo nome, si recò dal Pontefice per chiedergli ’l’autorizzazione di dire come realmente stavano le cose. Il Pontefice lo consolò, e lo persuase a &n farne niente; stesse pago dell’approvazione sua, e non gli creasse delle terribili difficoltà. Naturalmentz, Monsignor Scalabrini fece il dover suo. Ma è storia che non teme smentita, e che mostra come nella Chiesa vi siano due elementi: il divino e l’umano. Quello non perirà mai per parola indefettibile di Cristo; questo ha tutte le caducità e manchevolezze inseparabili della natura umana». Mons. Bonomelli proseguì, sviluppando il suo concetto sulla conciliazione ed augurandosi che presto venga giorno in cui ogni italiano possa liberamente associare i due sentimenti di Patria e di Religione, senza sentirsi diminuito o nella qualità di cattolico o in quella di patriota. L’intervista, come abbiamo detto, suscitò un vasto clamore di polemiche, ma mons. Bonomelli la confermò pienamente, con suo biglietto autografo all’avv. Fontana.

La -vita e le opere_ Come meglio possiamo nell’ora stringente, ricordiamo il Prelato insigne, l’Uomo incomparabile, la ’sua vita e le sue opere ispirate tutte ai più nobili ideali. Gererhia •Bonomelli nacque il à2 settembre 1831, da Giacomo ed Antonia Zanola, in Nigoline, vicino ad [p. 235 modifica]Iseo, provincia di Brescia. Il padre, semplice agricoltore, di buon cervello, vide nel piccolo Geremia le doti "e le lisposizioni volute per studiare con profitto; quindi, invece di avviarlo ai campi, lo mandò nel collegio di Lovere per il corso elementare. A 12 anni lo studente vestì l’abito talare ed entrò nel patrio Seminario, dove percorse gli.studi teologici, destando grande ammirazione nei maestri e nei condiscepoli. Il 2 giugno 1855, Geremia Bonomelli veniva consacrato sacerdote da mons. Verzeri, vescovo di Brescia, il quale, poco dopo lo inviava alla Università Gregoriana di Roma, dove si addottorava in teologia dogmatica. Fu quindi nominato professore al Seminario di Brescia, e in quella Diocesi sempre si distinse come insegnante non solo, ma altresì come predicatore, •che tutti volevano udire. Nel 186t, mons. Verzeri designò il prediletto sacerdote alla carica di parroco di Lovere. Sempre pieno di affettuose attività, egli, pur attendendo con infaticabile zelo al miglior bene dei parrocchiani, predicò belle chiese più importanti della diocesi e iniziò il corso delle sue pubblicazioni colla Vita di Suor Giuseppa Rosa e col Giovine studente istruito e difeso nella dottrina Cristiana, di cui si fecero cinque edizioni in tre volumi. Quest’opera suscitò viva ammirazione in Vaticano, tanto che Pio IX, il 27 ottobre 1871, preconizzava don Geremia Bonomelli vescovo di Cremona: Il fausto annuncio fu portato a don Geremia da Cesare Cantù. Consacrato il 26 novembre, mons. Bonomelli faceva solenne ingresso in Cremona l’8 dicembre. Dal 1871 ad oggi! Quanti avvenimenti, quante vicende! E quanto bene fece mons. Bonomelli in questo lungo e difficile periodo, opponendosi anche energicamente a nemici feroci e inconvertibili! Nel Seminario e sulla- cattedra, nei collegi e nelle famiglie, nei campi e nelle officine, colla viva parola e colla penna, egli, colla sua erudizione, colla pratica applicazione delle svariate cognizioni che acquistava in ogni tempo e in ogni luogo, col suo cuore grande e generoso, fu banditore della verità, fu maestro •e padre ai ricchi ed ai poveri, ai padroni ed agli operai, ai proprietari ed ai contadini. Chi non ha conosciuto mons. Bonomelli? Quante volte lo abbiamo veduto,;in dai tempi dell’arcivescovo Calabiana, anche nell’archidiocesi milanese, non mai secondo, quando si trattava di concorrere ad opere buone! Per il suo cuore era riguardato come padre; per le sue opere e per il suo amore alla Religione ed alla Patria era ammirato come gemma fulgente dell’episcopato, Egli ha portato un prezioso contilbuto alle biblioteche religiose con libri importanti, nei quali la fede emerge come la forza più viva e potente sugli individui e sui popoli. La Teologia dogmatica, il Giovane studente, l’Eco dei nove anni in S. Pietro a Cremona, la Spiegazione dei Vangeli, la traduzione della grand’opera del Monsabrè, il Dogma Cattolico, i Misteri, i Fondamenti della Religione, le Conferenze alle signore, e le splendide Pastorali per la quaresima sono lavori che bastano per glorificare.il nome di mons. Bonomelli. E’ notevole il volume col titolo Problem,’, e questioni del giorno, in cui, colla sicurezza di un pensatore profondo e di un osservatore instancabile, l’A. ha svolto gli argomenti più palpitanti,

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come il Suicidio, la Morale senza Dio, il Divorzio, Scuola laica, il Clero e la società moderna, Libertà, autorità e rispetto, Capitale e lavoro, la questione s ciale è questione morale, il Teatro, •ecc. In queste pubblicazioni mons. Bonomelli ha condensato i frutti di liinghi studi e di lunghe esperienze. Un autunno in Oriente e Un autunno in Occidente sono i titoli di due suoi interessanti volumi, nei quali, senza alcuna ricercatezza, con rapi lità non comune, ha esposto le impressioni provate in due viaggi, il primo in Terra Santa e l’altro in Ispagna. Di questi lavori si sono esaurite due copiosi edizioni della ditta milanese Cogliati, completate colla Chiesa, trattato importante col t’tolo generico: Seguiamo la ragione. Conoscitore profondo della società, perchè molto socievole, dotto, confortato dall’amicizia delle persone più illustri, mons. Bonomelli era di una semplicità affascinante. Non aveva pretesa superiore a quella di un buono e schietto parroco di campagna; non voleva lusso, non teneva cavalli e dava tutto il superfluo ai poveri. Chi potrebbe dire d’essersi trovato a disagio dinanzi a mons. Bonomelli? Egli riceveva tutti i giorni, tutte le ore, magari mentre rapidamente scriveva ciò che aveva escogitato nella notte, ed era affabile coi nobili come eoi plebei, coi ricchi come coi poveri. Oh, come amava i poveri, come prediligeva le vittime dell’egoismo e della nequizia umana! E come si gloriava di appartenere a 1 una famiglia di modestissimi agricoltori. Rammentiamo un aneddoto che udimmo più volte dalle sue labbra. Don Geremia Bonomelli era divenuto vescovo, e il padre suo, benchè rigurgitante di soddisfazione, non sapeva risolversi a recarsi a Cremona almeno una volta, per vedere il caro figliuolo in mitra. Mons Bonomelli, per quella occasione, mandò a prendere il padre con bella carrozza, servitori in livrea ed ordini precisi. Il buon vecchio rimase confuso; ma dovette decidersi a mettere l’abito delle feste... Però, al momento di entrare in carrozza, visto il servitore che teneva aperto lo sportello, si ritrasse ed esclamò in tono di semplice preghiera: Chel vaga lu denter, che mi sto in scerpa... S’intende che fu invece eseguito l’ordine di mettere l’amato padre al posto d’onore. L’attività di mons. Bonomelli non poteva tollerare una cerchia ristretta; il desiderio del bedé lo sospingeva; perciò lo si vedeva di paese in paese per una festa, per una cerimonia religiosa, come per una sventura o per una inchiseta paterna; o s’intratteneva con sacerdoti, con laici e con soldati, con signori e signore, con operai e contadini; si interessava di tutto e di tutti, nel salone aristocratico come davanti all’aratro, nel grandioso setificio come nello stridente laminatoio, nell’ospedale come nel carcere, o in un collegio, o in un luogo di ricreazione. Non era soddisfatto, se non riesciva a conoscere con sicurezza le questioni e le difficoltà inerenti all’agricoltura, al commercio ed all’industria, le crisi sociali, le cause della emigrazione, le colpe degli sfruttatori di emigranti e di emigrati, ecc. ecc. In un momento in cui il cuore degli italiani si apriva alla speranza di veder cessare ogni dissidio tra l’autorità ecclesiastica suprema ed il governo civile, comparve un lavoro religioso politico di un Prelato, che fece molto

t [p. 236 modifica]rumore: Roma, l’Italia e la realtà delle cose. L’A. si rivolgeva ai lettori onesti e leali, per dir loro che da tre o quattro anni un pensiero lo assediava e molestava, gridandogli: Scrivi, scrivi! Egli lo aveva respinto centinaia di volte, ma esso era sempre lì dinanzi, giorno e notte, tranquillo e netto come una imagine in uno specchio tersissimo, e ripeteva: Scrivi, coraggio, non temere! Perchè tanto timore? Si trattava di scrivere sull’ardua e scottante questione romana... Lo scritto venne e fu accolto generalmente come programma inspirato, come apportatore di luce: ma poi... fu messo all’Indice. L’autore anonimo non esitò allora a palesarsi: era mons. Bonamelli, il quale si riteneva poi in dovere di fare nel suo Duomo una dichiarazione di sottomissione piena e incondizionata. Fece bene o male a dichiararsi? Noi crediamo che non abbia fatto bene: anche quest’atto, però, rimane per testificare la distinta bontà del suo animo. «Il soldato deve ubbidire al suo Duce — egli disse — ed io devo ubbidire al mio Duce Supremo, il S. Pa•dre... Come potrei io esigere ubbidienza dal mio popolo e dal mio Clero, se non andasi loro innanzi coll’esempio? Mi condannerei da me stesso. Mi conforta e mi riempie di gioia il pensiero di mostrare con questo atto pubblico alla mi’a Diocesi, al mio Clero e speicalm.ente ai miei dilettissimi Chierici qui presenti, come si ha da ubbidire al Capo Supremo della Chiesa,» Queste ed altre generose parole pronunciò con voce commossa, colle lagrime agli occhi, il santo Vescovo di Cremona, e la sua commozione s’impossessò di tutti gli uditori, che in quel momento solenne ricordarono un altro giorno memorabile, il giorno in cui mons. Bonomelli rivolgeva un inno di dolore e di gloria ai Martiri di Dogali. E quell’atto — l’atto di una vittima che s’immola con speranza di bene — ci rammenta un’altra vittima, l’abate Tosti, che scrisse quel memorabile opuscolo sulla questione romana, ne fece correggere le bozze da S. S. Leone XIII, poi se lo vide all’Indice, e fu costretto ad una ritrattazione che doveva rimanere intima e, invece, divenne pubblica. In quel momento di dolore, come in altri, mons. Bonomelli si confortò coll’abate Stoppani; dicendogli:»Vede? Non ha voluto far lei, ed ho dovuto far io, povero vescovo,! ed ora la grandine è tutta mia!» Ma purtroppo lo Stoppani cadeva sotto i colpi tirati al suo maestro, il sommo Rosmini, e allora mons. Bonomelli compiangeva don Antonio, «amico fedele e sincero, anima retta, generosa, candida, cara a tutti i buoni, onore del clero italiano, delle scienze e delle lettere.» Il Sommo Pontefice, appena ebbe notizia del franco, leale, generoso atto di sommissione, inviò una affettuosa benedizione all’amatissimo vescovo di Cremona, il quale, da allora in poi, non si occupò minimamente di politica e concentrò tutte le sue energie a vantaggio delle opere religiose e dei poveri emigrati italiani nll’Europa e nel Levante. Un aneddoto di quei tempi. Dopo il viaggio in Terra Santa, mons. Bonomelli, passando nel ritorno da Roma, domandò ed ottenne udienza dal S. Padre, Leone X111. Quant; avvenimenti dopo l’ultimo colloquio! C’era

di mezzo anche il famoso opuscolo sulla questione romana! Ebbene, il S. Padre accolse paternamente il Vescovo di Cremona; poi, alludendo alla scottante pubblicazione, disse: «Dunque, lei voleva che noi rinunciassimo al potere temporale.!..» «No, no, Santo Padre, rispose sorridendo mons. Bonomelli, mio pensiero era questo: — Lasciar correre! lasciar correre!» Quanta sapienza in questa semplice risposta! Era rosminiano mons. Bonomelli? Non si poteva dire rosminiano, perchè, quantunque studioso ed erudito, non poteva dirsi filosofo. Vescovo a Cremona, nei primi anni fu avversario, in buona fede, dei rosminiani, ma poi non esitò a dichiararsi ammiratore del Fondatore dell’Istiuto della carità e concluse coll’ammettere l’enciclopedia rosminiana tra i tesori dovuti ai più eminenti religiosi, Una attestazione schiettamente rosminiana egli fece in una delle ultime Pastorali. Ecco le precise sue parole: Non mai come ora conobbi il sistema di Rosmini. Non è scevro di difficoltà, ma la mente vi si adagia come nella verità. Nel mentre S. E. mons. Scalabrini dedicava le sue speciali attitudini ai poveri emigrati nelle Americhe cioè alla emigrazione permanente, S. E. mons. Bonomelli si dedicava qual padre ai nostri connazionali costretti ad emigrare in cerca di lavoro, cioè alla emigrazione temporanea, ritenendo per fermo essere dovere preciso di considerare il problema della emigrazione come un fiume con acque irrompenti, da costringere nell’alveo, tra argini sicuri. Quale operosità prodigiosa in mons. Bonomelli! Di lui parlano in modo speciale i suoi ultimi libri, nei quali ha pubblicato una raccolta interesantissima di impressioni di viaggio, di considerazioni e discussioni svariate, di preziose esperienze. Un autunno in Oriente e Un autunno in Occidente son due gemelli degni l’un dell’altro ed i volumi Dal Piccolo San Bernardo al Brennero e, Tre mesi al di là delle Alpi, vennero a completare in modo superiore le argamentazioni di mons. Bonomelli, il cui nome ha attirato all’Opera di assistenza degli emigrati italiani centinaia di migliaia di lire. E quanto dovremmo ancor dire per dare un’idea satta del carattere aureo, della bontà, della elevatezza dell’amatissimo vescovo di Cremona! La ricorrenza del cinquantesimo di sacerdozio di mons. Bonomelli, fu nel maggio del 1905 una occasione propizia per una manifestazione in onore di lui, che si oppose però ad ogni’idea di umanesimo e a qualunque forma che non avesse significato puramente di beneficenza. Tutti compresero che per giungere con note gradite al cuore di mons. Bonomelli, bisognava concretare tutte le manifestazioni nel proposito di portare un bel contributo alla sua opera prediletta, l’Opera di Assistenza degli emigrati italiani. Le offerte per questo nobile scopc pervennero dalle cento città d’Italia e anche da umili paesi, nonchè dall’estero, specie dal Trentino, con e chi portanti migliaia di nomi rappresentanti tutte le classi dalla Regina Madre, che offerse seimila lire, all’umile operaia che diede •dieci centesimi; dal Re che elargì lire [p. 237 modifica]cinquemila, dal grande industriale che versò cinquecento lire, al modesto operaio che si privò di una lira per darla al confratello costretto ad emigrare. Fu un solenne plebiscito d’amore, d’onore e di carità. Purtroppo, però, la sua Messa d’oro, festeggiata da tutti e portata alle stelle con prosa alata del Pascoli e di altri insigni scrittori, venne funestata dall’annuncio della morte fulminea dell’illustre vescovo Scalabrini. Fu un colpo terribile per il cuore di mons. Bonomelli, il quale, in quel giorno in cui tutti avrebbero voluto inneggiare alla sua grandezza spirituale ed alla sua carità illuminata, non ebbe che espressioni di dolore, espressioni che venivano dagli occhi e dal gesto di un uomo desolato, più che dal labbro del vescovo che aveva perduto il prezioso, fedele, amato confratello. Trascorsi alcun: mos, nella melanconica ombra ai una preziosa amicizia tramontata, mons. Bonomelli si riscosse e pensò all’Ospizio di Domodossola per i suoi emigrati. Ci par ancora di rivederlo colà il giorno della inaugurazione della casa eretta colle offerte della Messa d’oio, e ci par ancora di udirlo leggere il discorso inaugurale dinanzi a S. M. la Regina Madre e ad illustri rappresentanze• dell’Italia e dell’estero. L’ultima sua pubblicazione uscì nell’autunno del 1913: un volumed i 400 pagine, intitolato Peregrinazioni estive e quasi tutto informato alle visite compiute tra i suoi emigrati nei più grandi centri di lavoro all’estero. Aveva predisposto recentemente anche un volumetto di Profili di uomini illustri (Fogazzaro, Tancredi Canonica, Revel, ecc.); ma un sentimento •di delicatezza lo induceva più tardi, benchè a malincuore, a non dare diffusione al lavoro che conteneva importanti corrispondenze. Col generale Revue, fu sempre in intimità grande, tanto che ogni anno soleva passare qualche giorno nella villa sulla sponda del Lario verso Cernobbio, dove il glo.: rioso soldato novantenne trascorse i suoi ultimi anni. Appunto in quella villa Mons. Bonomelli, or non è molto, pensava di passare ia sua convalescenza. Ma i medici consigliarono a ragione l’aria nativa di Nigoline, dove parve infatti nei primi giorni che l’amato Vescovo riacquistasse le perdute energie.. Chi lo vide a Nigoline, nella splendida villa Jen nobile famiglia Torri, non potè a meno di richiamare altri giorni di trepidanza: quelli trascors da;nans. Bonomelli nel 1899 a Sovico nella magnifica villa della contessa Martini, per rimettersi da quella medesima malattia che ora daveva trarlo al sepolm o. L’illustre vescovo ha così potuto passare i suoi ultimi giorni coi migliori conforti, poc) lontano dalla casetta nativa, in vista delle sue colline, dei suoi campi e anche del cimitero, dove già riposavano i suoi genitori con altri cari perduti. «Presto -- egli diceva sarò io pure tra quei morti». Al medico che lo assisteva e che notava la sonnolenza, l’assopimento dell’infermo, esprimendo per conforto la speranza che si trattasse di un segno di, convalescenza, mons. Bonomelli non mancava di cosi ribattere sorridendo mestamente: «Segno di partenza».

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Tutte le più alte personalità si sono interessate costantemente alle fasi alterne della crisi finita colla scomparsa del gran Vescovo, e dal Vaticano e dal Quirinale, da illustrazioni della scienza •e dell’esercito, da laici ed ecclesiastici distintissimi, fu in questi giorni una continua manifestazione di affettuosa trepidanza. S. S. Pio X fece scrivere ripetutamente per essere informato delle dolorose fasi della malattia di mons. Bonomelli, per il quale ha pregato e prega assiduamente benedicendo. Il venerato Presule ha avuto anche il conforto di veder realizzato uno dei suoi sogni: la costituzione in ente morale della sua Opera di Assistenza degli operai emigrati. Certo ora quest’Opera ha messo salde e profonde radici e continuerà ad estendere i suoi grandi benefici; ma la scomparsa del suo venerato Fondatore sarà sempre rimpianta come quella di una individualità che non si potrà mai sostituire. La vita di mons. Bonomelli fu amareggiata da nemici che non accordano mai tregua... Noi però non ci soffermeremo su punti dolorosi, per evitare che il suo animo mite ci rimproveri una mancanza di quella carità che è imposta dal momento supremo. Ci basti il constatare che la sua dipartita è sinceramente rimpianta dal Capo della Chiesa cattolica, come dall’infimo sacerdote sincero; nella Reggia, come nel misero abituro del contadino. In Italia ed all’estero, il nome di mons. Bonorrielli suona altissimo e purissimo. Che mai dovremmo aggiungere? Egli è spirato il 3 agosto alle 14.20, alla vigilia della immane conflagrazione europea, da lui tanto temuta e deprecata. La sua figura paterna è scomparsa dalla faccia della terra, ma rimangono le sue opere: rimane sopratutto la sua Opera di Assistenza agli operai emigrati, e finchè sarà vivo nell’anima umana il sentimento della gratitudine, il nome di mons. Bonomelli sarà benedetto da tutti i nostri lavoratori costretti ad allontanarsi dal paese nativo. Angelo Maria Cornelio.