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scompare dalla scena della vita, in un momento in cui sembrano scatenarsi tutti gli istinti belluini dell’umanità, e le nazioni stanno per aggredirsi in una lotta senza precedenti. Ma non ebbe il dolore di assistere alla catastrofe; egli che fu la personificazione della carità e che portò l’amore del prossimo alle più pure altezze cui uno spirito privilegiato possa mai giungere. Un solo sentimento, forse, fu pari in lui all’amore pel suo magistero di pietà: l’amore di patria. Si può dire, anzi, ch’egli li confondesse nello stesso palpito del suo gran cuore, e che ogni suo atto, ogni suo pensiero, fossero ispirati al culto di queste leggi fondamentali della vita, e in esse attingessero le ragioni di quella fresca vigoria che sembrava in lui impareggiabile ed inesauribile. Il santo vescovo esercitava, perciò, sulla vita contemporanea una influenza senza paragone, e la venerazione di cui era circondato superava tutte le barriere. Non vi fu ira partigiana che non si arrestasse dinanzi allo splendore di quella modestia evangelica e non si sciogliesse al contatto di quella stupenda grandezza, fatta di umiltà e d’amore. Il pensiero politico. Ricorderanno i lettori che •mons. Bonomelli ebbe nel giugno 1911 a concedere al Direttore della Perseveranza, avv. Fontana, una intervista, che ebbe larghissima eco e provocò aspre polemiche sui giornali cattolici intransigenti. In •quell’occasione mons. Bonomelli manifestava nettamente i suoi schietti sensi di italianità parlando di una sua pubblicazione sa «tre personaggi italiani illustri e moderni» (il conre Genova Thaon di Revel, Antonio Fogazzaro e Tancredi Canonico). Ed aveva opportunità di ricordare un episodio caratteristico del periodo in cui, per parte di prelati d’uomini politici, sotto il pontificato di Leone XIII più ferveva l’opera intesa alla conciliazione fra Stato Chiesa. Riesumiamolo: «La conciliazione — disse mons. Bonomelli -che aveva trovati favorevoli Re Umberto I ed alcuni uomini politici più in vista, fallì per opera — sarebbe difficile immaginarlo, se •non fosse vero — della Franbia. Sicuro. La Francia rese avvertito Leone XIII che se egli avesse fatta la conciliazione con l’Italia, essa. avrebbe richiamato l’ambasciatore pressa la Santa Sede. Da quell’epoca data ciò che iù chiamerei il secondo periodo della politica di Leone XIII l’Italia. — Che ci fosse stato qualche cosa in questa senso si sospettava; ma ciò ch’Ella espone ha tutto il carattere di una rivelazione. E’ un fascio di luce sopra un punto poco conosciuto della nostra storia contemporanea. Ma dica, Monsignore, non è forse a tale epoca, se non andiamo errati, che risale una fioritura,di libri ed opuscoli sulla -necessità di una conciliazione tra Chiesa Stato? — Precisamente. Non parlo di un mio scritto, apparso sulla Rassegna Nazionale, che fu condannato, e per cui feci ampia ritrattazione. Raconto piuttosto un fatto e loro ne caveranno le conseguenze che credono Un giorno Leone XIII chiamò a sè mons. Scalabrini, ve scovo di Piacenza, e dopo un breve preambolo, gli diede nientemeno che l’incarico di scrivere un libro contro gli Intransigenti. Come ha detto Monsignore? Contro gli Intransigenti; nè il Pontefice si limitò a questo, ma diede a Monsignor Scalabrini il som.mario, ch’egli avrebbe dovuto illustrare e svolgere. E quel sommario l’ebbi io pure tra le mani. Mons. Scalabrini, ricevuto ed accettato l’incarico venne da me richiedendomi della mia collaborazione. Non potei promettere molto, causa alcune mie assorbenti occupazioni. Ma, intanto, Monsignor Scalabrini, accintosi al lavoro, s’accorse, forse più che delle difficoltà, della estrema delieatezzi di certe questioni. Che fare? Il Pontefice aveva ordinato il lavoro, il Pontefice risolvesse i dubbi. E Mons. Scalabrini, da quel santo furbo che era, iniziò una vera e propria corrispondenza epistolare col Pontefice, tanto che, finito il libro, s’accorse che questo era stato scritto assai più da Leone XIII che non da lui. Ebbene, lo si crederebbe? Il libro, sulla cui testata al posto del nome dell’autore, figurava seinp;icement2 «Un prelato», non era quasi uscito che, da parte dell’Osservatore Cattolico specialmente,’ incominciò una guerra rabbiosa e contro il libre in sè, e contro il suo anonimo autore, di cui però, a tastoni, si tentava di indovinarne il nome. Ma mons. Scalabrini non avrebbe potuto insorgere e dire.... E’ ciò ch’egli fece in parte. Stanco di quella guerra atroce, senza quartiere, nella quale già si sussurrava il suo nome, si recò dal Pontefice per chiedergli ’l’autorizzazione di dire come realmente stavano le cose. Il Pontefice lo consolò, e lo persuase a &n farne niente; stesse pago dell’approvazione sua, e non gli creasse delle terribili difficoltà. Naturalmentz, Monsignor Scalabrini fece il dover suo. Ma è storia che non teme smentita, e che mostra come nella Chiesa vi siano due elementi: il divino e l’umano. Quello non perirà mai per parola indefettibile di Cristo; questo ha tutte le caducità e manchevolezze inseparabili della natura umana». Mons. Bonomelli proseguì, sviluppando il suo concetto sulla conciliazione ed augurandosi che presto venga giorno in cui ogni italiano possa liberamente associare i due sentimenti di Patria e di Religione, senza sentirsi diminuito o nella qualità di cattolico o in quella di patriota. L’intervista, come abbiamo detto, suscitò un vasto clamore di polemiche, ma mons. Bonomelli la confermò pienamente, con suo biglietto autografo all’avv. Fontana.

La -vita e le opere_ Come meglio possiamo nell’ora stringente, ricordiamo il Prelato insigne, l’Uomo incomparabile, la ’sua vita e le sue opere ispirate tutte ai più nobili ideali. Gererhia •Bonomelli nacque il à2 settembre 1831, da Giacomo ed Antonia Zanola, in Nigoline, vicino ad