Il buon cuore - Anno XIII, n. 30 - 15 agosto 1914/Religione

Religione

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Necrologio Beneficenza

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Domenica 10a dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

In quel tempo uno della turba disse a Gesù: Maestro, ordina a mio fratello che mi dia la mia parte deil’eredità. Ma Gesù gli rispose: O uomo, chi ha costituito me giudice e arbitro tra voi: E disse loro: Guardatevi attentamente da ogni avarizia; imperocchè non sta la vita d’alcuno nella ridondanza dei beni che possiede. E disse una s’militudine: Un uomo ricco ebbe una abbondante raccolta nelle sue tenute; e andava discorrendo [p. 238 modifica]dentro di sè: Che farò ora che non ho dove ritirare la mia raccolta? E disse: Farò così: Demolirò i miei granai, e ne fabbricherò dei più grandi; e vi radunerò tutti i miei beni, e dirò all’anima mia: O anima, tu hai messo da parte dei beni per moltissimi anni. Stolto, in questa notte è ridomandata a te l’anima tua; e quello che hai meso da parte, li chi sarà? Così avviene di chi tesoreggia per se stesso e non è ricco per Iddio. S. LUCA, cap.

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Pensieri. Abbiamo nell’odierno Vangelo la storia di un uomo ricco di terreni. Naturalmente i terreni possono rendere, fruttare sì •e no, poichè sono soggetti alle peripezie delle stagioni. Sicchè pér sè, uno può essere ricco di terreni e morire di fame. Ma il nostro ricco ebbe raccolti straordinari e divenne veramente ricco. Non era più necessario che si preoccupasse dell’avvenire; ormai anche se i terreni non gli rendevano più niente, egli è tranquillo, non ha più veruna preoccupazione per l’avvenire. Basti che raccolga e metta al sicuro quello che ha. Che gli importa mai più del caldo, del freddo, ’ella grandine, della siccità? Per molti e molti anni egli ha di che vivere: mangiare, bere, divertirsi, ecc. A un uomo ricco fruttava bene la campagna; e andava ragionando fra sè: come farò che non ho dove riporre la mia raccolta? E disse: farò così: demolirò i miei granai, e ne fabbricherò di più vasti e ci metterò tutti i miei prodotti; e dirò all’anima mia: riposati e godi. • Il ricco dunque fa un calcolo? Non ho più motivo di preoccuparmi per l’avvenire. Ma che cosa accade? Che il ricco muore improvvisamente. Ma Dio gli disse: insensato! stanotte ti si richiederà l’anima tua, e quanto apprestasti, di chi sarà? Che vuol dire? Gesù racconta una storia che è di tutti i giorni. Quest’uomo evidentemente ha ratto male i suoi calcoli; ha dimenticato la cifra più importante, che è la morte. Il suo calcolo non tiene perehè dimentica un elemento importantissimo che scompiglia tutto; perciò n Vangelo lo chiama stolto, disen,a1- J. Quale modificazione nel giudizio del ricco del Vangelo avrebbe prodotto la preoccupazione della morte? A che risultato sarebbe arrivato, facendo il calcolo intero? Alessandro Manzoni diceva che i calcoli degli uomini, sono tutti sbagliati, non tengono, perchè non vi si fa entrare la cifra più importante che è la morte. Così avrebbe ragionato: lo ho davanti a me una grande fortuna senza dubbio, ma bisogna un giorno. o l’altro morire; il che vuol dire che bisogna lasciar tutto. Dopo la morte a che mi serviranno questi beni? Venga presto o tardi la morte, deve pur venire, ed io voglio sapere che frutto posso ricavare dei miei beni, dopo la morte. Non li porto certo con me. Ci sono dei beni che posso portare con me nella tomba? che possono contribuire alla mia felicità dopo morto? E dato che vi sia, non sarebbe logico procacciarmeli? i beni che posseggo potrò goderli 20, 30, 40 anni, ma poi? Debbo provvedermi il cibo, la felicità dopo la morte, dunque attenderò a diventar ricco per Dio.

Chi non si arrichisce di beni che gli giovino dopo la morte, è uno sciocco. Non voglio essere uno sciocco, non voglio morire disperato. E’ già per sè dolorosa la morte essendo siparapione violenta dell’anima dal corpo; non voglio aggiungere altro che renda ancor più dolorosa la separazione. Dunque il coefficente della morte, nei nostri calcoli ci conduce a considerare come una stoltezza il porre la felicità in beni che ci verranno tolti. Basta? No. ’1 Vangelo dice: Insensato! quest anotte ti si richiede, à l’anima tua, e quanto apprestasti di chi sarà? Che cosa uol dire? Certo che bisogna lasciare quaggiù tutto inesorabi.mente; ma si può disporre un testamento dei propri E’ atto di dominio, di signoria, istituirei propri eri di. Ma si può star garanti dell’uso che gli eredi faranno della nostra eredità? L’erede non dissiperà? Chi lo sa? Qui c’è un problema insolubile. Davan i a questo problema, che cosa suggerisce la sapienza, I buor senso? Il problema è sull’uso dei beni, poichè siibene si possa far atto di dominio lasciandolo a chi i vuole, non si può però garantire dell’uso che ne farà l’erede. Non pare dunque che sia conveniente far atto di dr.minio perfetto in questa vita? Vedere come vanno a pcsto i propri beni, mentre si è in vita. Questo è il pi.i bell’atto di signoria. Il ricco del Vangelo, invece di dire: fabbricher) granai più vasti per riporvi l’abbondante raccolto, avrebbe dovuto dire: c’è tanta gente che muore di fame, men• tre io nuoto nella abbondanza. Asciugherò tante lagr.me, farò sì che i miei beni siano vantaggiosi all’umanit sofferente. Quale gioia più grande nella vita, che quella di servirsi dei propri beni, a vantaggio di chi soffre? Conclusione. Dapprima facciamo entrare in tutti nostri calcoli la morte. Non dimentichiamola mai. E’ un toccanaso, un aroma. Impedisce grandi stoltezze nell vita. Secondo, non auguriamoci mai di diventar ricchi. Il Savio antico domandava a Dio di non incorrere mai nell.) miseria (assai spesso triste consigliera) nè nell’abbondanza. Cerchiamo semplicemente il pane quotidiano. La preghiera del Savio antico, può essere anche II nostra. Ala

Domenica 1 1 dopo Pentecoste Testo del Vangelo. In quel tempo disse il Signore Gesù questa parabo la per taluni i quali confidavano in se stessi, riputandos’giusti e disprezzavano gli altri; Due uomini salirono a’ tempio a fare orazione; uno Fariseo e l’altro Pubblicano. Il Fariseo stava in piedi e dentro di sè pregava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini. rapaci, ingiusti, adulteri, ed anche come questo Pubbli cano: digiuno due volte alla settimana; pago la decimi’ di tutto quel che io posseggo. Ma il Pubblicano, standv [p. 239 modifica]da lungi, non voleva neppur alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto dicendo: Dio, abbi pietà di me peccabre. Vi dico, che questi se ne tornò giustificato a casa sua, a differenza dell’altro; imperocchè chiunque si esalti, sarà umiliato; e chi si umilia sarà esaltato. S. LUCA. cap. 12

Pensieri.

Tra un giusto contento di sè e un peccatore malcontento di sè, qual’è da preferirsi? Chi dei duesi trova meglio riguardo a Dio? ecco il problyia che presentatoci a bruciapelo, ci mette in qualche imbarazzo nelle riposte. Certo innanzi alle propogte soprannunciate noi critiani arricciamo il naso, ci mettiamo in sospetto. Giusto contento di sè vuol dire non giusto, almeno non si capisce come un giusto possa essere contento 4)17 sè. Gesù è persuaso valere più un peccatore malconten. to di sè, che un giusto contento di se stesso. Ma nei circoli morali, nell’ambiente ufficiale, •eccle: iastico, giudaico, si pensava diversamente; anche noi 1.er istinto morale stiamo con Gesù. Bisognava persuadere chi la pensava in altro moh’.o. A onesto scopo Gesù racconta la parabola dell’odierno Vangelo. Due uomini salirono al Tempio per pregare. L’uno era Fariseo, l’altro Pubblicano. Il Fariseo stava a pregare da sè in questo modo: - t) Dio, io ti ringrazio che non sono come il resto degli nomini, rapaci, ingiusti, adulteri e nè anche come questo Pubblicano. Digiuno due volte la settimana, pago le deAme di ciò che posseggo. Intanto il Pubblicano stando da lungi non osava pui e levare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicenklo: Oh Dio abbi pietà di me peccatore. Vi so dire che questo a differenza di quello tornossi casa giustificato, perchè chiunque si innalza sarà abbassato e chi si umilia sarà esaltato. Nel Fariseo abbiamo tratteggiato un giusto che si,•apisce tanto contento del suo stato che ringrazia Dio di,ion essere come gli altri. Lo diremo superbo? Sì, ma di quella superbia, che ringrazia il Signore di non essere eame i gentili, i persecutori della Chiesa, i malvagi, che per sè non è superbia. Alle parole del Fariseo dobbiamo credere: non si ontano storielle a Dio. Egli dice quello che veramente nella sua coscienza. Il Fariseo non solo si astiene nale, ma fa il bene anche supereregatorio, pratica assai più di quello che la legge comanda. (Questo prescriveva il digiuno una volta all’anno, le decime solo sugli armenti dei frutti dei campi.) Dunque ringrazia Dio di quello.he veramente è. E veramente è un bravo uomo. Tipo di:noralità, di giustizia. Il Pubblicano stava lontano, malcontento di sè. Che,:osa vuol farci intendere.Gesù? Lo scopo suo è di farci.;apire che è migliore il Pubblicano peccatore. Come lo prova? Dicendoci:- guardati •come predicano Fariseo e, Pubblicano. Questi che sa d’aver sbagliato, è pentito,.comanda perdono e l’attiene: il Fariseo contento di sè non domanda nulla, non ottiene nulla. E se quello che

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ha, non bastasse davanti a Dio per essere giustificato? Il Pubblicano si mette al sicuro, mentre il Fariseo credendosi giusto, accetta, non domanda, ma e se la sua giustizia non bastasse davanti a Dio? Il giusto dunque contento di sè si mette in pericolo; ritorna dal tempio con nulla di più di quello che vi aveva portato. Ma questo che posiede basta? Qui sta il tremendo problema. Nella giustizia e virtù del Fariseo abbiamo degli atti, non delle disposizioni e degli abiti morali. Non ho rubato ecc., questo bene è negativo: ma non è tutto non fare il male: il bene’ Digiuno, pago le decime, è vero; ma questi non sono che atti, invece ciò che costituisce la vera moralità, la vera giustizia, sono gli abiti, le disposizioni interiori. Il Fariseo ignora le sue disposizioni interiori. Non parla che di atti, che non può sapere se contentino Iddio; e siccome di essi egli è pago, non curasi d’altro, si mette in gran pericolo. Grande insegnamento per noi! Il Pubblicano si pone al sicuro, domanda perdono: quindi meglio un•peccatore pentito che un giusto contento di sè. Impariamo da quì che il segno della giustizia verace è l’incontentabilità morale. Domandiamo a Dio una sempre maggiore giustizia, purità, disposizione interiore. Chi è contento di sè non è giusto, perchè intanto è contento in quanto ripone la’giustizia negli atti esteriori, che non sono un indice sicuro di vera interiore santità. Domandiamo sempre maggior luce, amore... Di quì si capisce l’orgoglio della giustizia presso gli ebrei perchè collocati nell’osservanza esteriore della legge. Il cristiano l’ha trasportata nell’interiore dell’uomo. Perciò noi dubitiamo sempre, domandiamo sempre di più. Per noi, dovendo essere la giustizia interiore, non crediamo mai d’averne abbastanza; non siamo mai sicuri di non averla in qualche parte offesa. Siamo sempre trepidanti davanti a Dio anche quando non abbiamo coscienza di peccati gravi: ci mettiamo nell’atteggiamento del Pubblicano. — «Oh Dio abbi pietà di me peccatore» — Parole che riconoscono, domandano, pregano, ottengono. •