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rumore: Roma, l’Italia e la realtà delle cose. L’A. si rivolgeva ai lettori onesti e leali, per dir loro che da tre o quattro anni un pensiero lo assediava e molestava, gridandogli: Scrivi, scrivi! Egli lo aveva respinto centinaia di volte, ma esso era sempre lì dinanzi, giorno e notte, tranquillo e netto come una imagine in uno specchio tersissimo, e ripeteva: Scrivi, coraggio, non temere! Perchè tanto timore? Si trattava di scrivere sull’ardua e scottante questione romana... Lo scritto venne e fu accolto generalmente come programma inspirato, come apportatore di luce: ma poi... fu messo all’Indice. L’autore anonimo non esitò allora a palesarsi: era mons. Bonamelli, il quale si riteneva poi in dovere di fare nel suo Duomo una dichiarazione di sottomissione piena e incondizionata. Fece bene o male a dichiararsi? Noi crediamo che non abbia fatto bene: anche quest’atto, però, rimane per testificare la distinta bontà del suo animo. «Il soldato deve ubbidire al suo Duce — egli disse — ed io devo ubbidire al mio Duce Supremo, il S. Pa•dre... Come potrei io esigere ubbidienza dal mio popolo e dal mio Clero, se non andasi loro innanzi coll’esempio? Mi condannerei da me stesso. Mi conforta e mi riempie di gioia il pensiero di mostrare con questo atto pubblico alla mi’a Diocesi, al mio Clero e speicalm.ente ai miei dilettissimi Chierici qui presenti, come si ha da ubbidire al Capo Supremo della Chiesa,» Queste ed altre generose parole pronunciò con voce commossa, colle lagrime agli occhi, il santo Vescovo di Cremona, e la sua commozione s’impossessò di tutti gli uditori, che in quel momento solenne ricordarono un altro giorno memorabile, il giorno in cui mons. Bonomelli rivolgeva un inno di dolore e di gloria ai Martiri di Dogali. E quell’atto — l’atto di una vittima che s’immola con speranza di bene — ci rammenta un’altra vittima, l’abate Tosti, che scrisse quel memorabile opuscolo sulla questione romana, ne fece correggere le bozze da S. S. Leone XIII, poi se lo vide all’Indice, e fu costretto ad una ritrattazione che doveva rimanere intima e, invece, divenne pubblica. In quel momento di dolore, come in altri, mons. Bonomelli si confortò coll’abate Stoppani; dicendogli:»Vede? Non ha voluto far lei, ed ho dovuto far io, povero vescovo,! ed ora la grandine è tutta mia!» Ma purtroppo lo Stoppani cadeva sotto i colpi tirati al suo maestro, il sommo Rosmini, e allora mons. Bonomelli compiangeva don Antonio, «amico fedele e sincero, anima retta, generosa, candida, cara a tutti i buoni, onore del clero italiano, delle scienze e delle lettere.» Il Sommo Pontefice, appena ebbe notizia del franco, leale, generoso atto di sommissione, inviò una affettuosa benedizione all’amatissimo vescovo di Cremona, il quale, da allora in poi, non si occupò minimamente di politica e concentrò tutte le sue energie a vantaggio delle opere religiose e dei poveri emigrati italiani nll’Europa e nel Levante. Un aneddoto di quei tempi. Dopo il viaggio in Terra Santa, mons. Bonomelli, passando nel ritorno da Roma, domandò ed ottenne udienza dal S. Padre, Leone X111. Quant; avvenimenti dopo l’ultimo colloquio! C’era

di mezzo anche il famoso opuscolo sulla questione romana! Ebbene, il S. Padre accolse paternamente il Vescovo di Cremona; poi, alludendo alla scottante pubblicazione, disse: «Dunque, lei voleva che noi rinunciassimo al potere temporale.!..» «No, no, Santo Padre, rispose sorridendo mons. Bonomelli, mio pensiero era questo: — Lasciar correre! lasciar correre!» Quanta sapienza in questa semplice risposta! Era rosminiano mons. Bonomelli? Non si poteva dire rosminiano, perchè, quantunque studioso ed erudito, non poteva dirsi filosofo. Vescovo a Cremona, nei primi anni fu avversario, in buona fede, dei rosminiani, ma poi non esitò a dichiararsi ammiratore del Fondatore dell’Istiuto della carità e concluse coll’ammettere l’enciclopedia rosminiana tra i tesori dovuti ai più eminenti religiosi, Una attestazione schiettamente rosminiana egli fece in una delle ultime Pastorali. Ecco le precise sue parole: Non mai come ora conobbi il sistema di Rosmini. Non è scevro di difficoltà, ma la mente vi si adagia come nella verità. Nel mentre S. E. mons. Scalabrini dedicava le sue speciali attitudini ai poveri emigrati nelle Americhe cioè alla emigrazione permanente, S. E. mons. Bonomelli si dedicava qual padre ai nostri connazionali costretti ad emigrare in cerca di lavoro, cioè alla emigrazione temporanea, ritenendo per fermo essere dovere preciso di considerare il problema della emigrazione come un fiume con acque irrompenti, da costringere nell’alveo, tra argini sicuri. Quale operosità prodigiosa in mons. Bonomelli! Di lui parlano in modo speciale i suoi ultimi libri, nei quali ha pubblicato una raccolta interesantissima di impressioni di viaggio, di considerazioni e discussioni svariate, di preziose esperienze. Un autunno in Oriente e Un autunno in Occidente son due gemelli degni l’un dell’altro ed i volumi Dal Piccolo San Bernardo al Brennero e, Tre mesi al di là delle Alpi, vennero a completare in modo superiore le argamentazioni di mons. Bonomelli, il cui nome ha attirato all’Opera di assistenza degli emigrati italiani centinaia di migliaia di lire. E quanto dovremmo ancor dire per dare un’idea satta del carattere aureo, della bontà, della elevatezza dell’amatissimo vescovo di Cremona! La ricorrenza del cinquantesimo di sacerdozio di mons. Bonomelli, fu nel maggio del 1905 una occasione propizia per una manifestazione in onore di lui, che si oppose però ad ogni’idea di umanesimo e a qualunque forma che non avesse significato puramente di beneficenza. Tutti compresero che per giungere con note gradite al cuore di mons. Bonomelli, bisognava concretare tutte le manifestazioni nel proposito di portare un bel contributo alla sua opera prediletta, l’Opera di Assistenza degli emigrati italiani. Le offerte per questo nobile scopc pervennero dalle cento città d’Italia e anche da umili paesi, nonchè dall’estero, specie dal Trentino, con e chi portanti migliaia di nomi rappresentanti tutte le classi dalla Regina Madre, che offerse seimila lire, all’umile operaia che diede •dieci centesimi; dal Re che elargì lire