Il buon cuore - Anno XIII, n. 20 - 16 maggio 1914/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

../ ../Religione IncludiIntestazione 24 febbraio 2022 50% Da definire

Il buon cuore - Anno XIII, n. 20 - 16 maggio 1914 Religione

[p. 153 modifica]Educazione ed Istruzione


Il “buon carceriere„ di Pio VII


Nella rievocazione dei ricordi riguardanti la fine ella cattività di Pio VII in Savona ed il suo ritorno trion fale a Roma, attraverso l’Italia centrale, non mi pare ch e sia stato messo nella evidenza meritata un nome il quale pure lasciò larga traccia di sè nella storia politico religiosa del secolo nostro.

Era allora prefetto dello spartimento di Montenotte, nella cui giurisdizione stava Savona. il giovane march ese Antonio Brignole Sale di Genova, di sensi schiettamente e profondamente cattolici, ed animo così amante della libertà come della religione; precisamente l’opp°stn del suo antecessore, il barone di Chabrol che nel1e ’nani di Napoleone si addimostrò invece uno dei più Pe rfidi ed odiosi strumenti di oppressione verso il vener bdo pontefice. La madre del Brignole, marchesa Anna nata a Pieri Sanese «aveva abbracciato a pieno il partito del Bonaparte console e imperatore: ricca, giovane tu ttavia, disinvolta e libe^ale appartnevi ^l numero del’e.1, signore eleganti che frequentavano assai la casa del ’llerand. Nei primi tempi del Consolato aveva reso servigi al Consalvi» (poi cardinale segretario di Stato) e nel novembre del 1813 essendo dama di onore dell’imperatrice, venne mandata presso il S. Padre per riaprire le trattative circa la riaccettazione del concordato di Fonrinebleau del quale Pio VII aveva disdetto ed annullar° gli articoli, ma senza ottenere maggior fortuna che non avessero poi le pratiche di monsignor Fallot de `’eaumont vescovo di Piacenza. Le aderenze della ma dre spiegano l’alta situazione fatta al figlio sebbene non ancora trentenne; la sua designazione caratterizzava del resto la nuova orientazione che in confronto del Pontefice imponeva a Napoleone l’incalzare degli avvenimenti. Il marchese Brignole Sale appena avuta la nomina corse dal Papa rimettendola nelle sue mani. E Pio VII gli comandò di accettare riconoscendo come una grazia speciale di Dio che tale uomo, in quei momenti, fosse proposto al governo di quello spartimento: lo chiamava poi sempre «il mio buon carceriere» e davvero che niun alto personaggio ebbe mai «carceriere» più affezionato e premuroso. La mattina del 17 marzo il prefetto di Montenotte, di buon’ora, annunciava raggiante di gioia, a Pio VII: «Vostra Santità è libera e può partire fin da domani» Domani no, rispose il Papa, perchè è la festa di Nostra Signora della Misericordia e voglio celebrare la messa nella vostra cattedrale. Partì infatti il 19, ed il 25 a Castelguelfo, passato il Taro, veniva dalla scorta francese consegnato ai generali austriaci Nugent e Starhemberg che l’attendevano in assisa di gala coll’esercito schierato, in grande tenuta e festante sulla destra del fiume. Il colonnello che alla testa di un reggimento ungherese primo accolse e scortò Pio VII accompagnandolo poi fino a Roma, era il colonnello Radetzky. •

Il marchese Antonio Brignole Sale era nato a Genova nel 1785 dalla illustre famiglia che diede alla repubblica i due dogi (Gian Francesco fece costruire nel 1835 il Molo nuovo). S’è già visto quanto rapida ne fosse la carriera; la fiducia dei suoi concittadini non fu minore di quella dimostratagli da Napoleone, poichè l’anno dopo, nel 1815, la Repubblica genovese lo inviava a Vienna al congresso affinchè ne difendesse la indipendenza. A Vienna il giovane magistrato sostenne la causa affidatagli con tutto il valore del suo ingegno ed il calore del suo cuore, presentando note memorie ed un disegno di costituzione che testimonia quanto egli comprendesse i bisogni dei tempi.. Nella impossibilità di salvare la indipendenza ottenne che almeno si conservassero alcune franchigie; tutti i plenipotenziari, e primo il Metternich. riconobbe che Genova non avrebbe potuto raccomandare i propri interessi meglio che al Brignole Sale, [p. 154 modifica]Unite indissolubilmente le sorti di Genova a quelle del Regno Sardo il Brignole Sale attese trarre dalla nuova situazione il miglior partito. Mentre la città natia gli conferiva le più alte magistrature Carlo Alberto lo nominava ministro di Stato e lo inviava suo ambasciatore a Madrid, a Pietroburgo, a Vienna, a Parigi; dappertutto egli lasciò fama di uomo avveduto; integerrimo c. munificente. Nel 1848 Carlo Alberto la chiamò nel Senato — era la prima ((infornata» -- insieme col vescovo di Casale mons. Calabiana poi arcivescovo di Milano. La carriera diplomatica venne troncata nel 1850. 11 Brignole era allora ambasciatore a Parigi. Appreso l’intendimento di proporre la legge Siccardi circa il foro ecclesiastico — con la quale formalmente si iniziò il conflitto con la Santa Sede, egli manifestò immediatamente la sua opposizione il ministro d’Azeglio; e di fronte alla persistenza del ministero nel preso atteggiamento dichiarò recisamente di non poter seguire sulla nuova via il governo, e perciò rinunciare a rappresentarlo. In Senato prese la parola, la prima volta, nella discussione della legge Rattazzi contro gli ordini religiosi. Naturalmente egli fu tra gli oppositori risoluti, insieme col conte di Castagneto, mons. Calabiana, il conte Collobiano, il maresciallo della Torre, il generale di Maugny ed il conte di Collegno. Ricordando la condanna della legge portata da Pio IX nel concistoro del 22 gennaio dichiarò: «Questa sola pontificia sentenza basterebbe, secondo l’intimo mio convincimento, a troncare ogni discussione, imperocchè il non ricon iscere le deciioni del Papa emanate sopra materie riflettenti il domma non solo ma eziandio la morale, sarebb:.., un voler sostituire il proprio giudizio a quello del SUolerno Pastore e deviare dallo spirito e dai precetti della cattolica religione.» Identico atteggiamento tenne su quanti altri argomenti riguardassero i diritti della Chiesa e della coscienza cattolica; e nessuno di quanti conoscevano il carattere del Brignole Sale meravigliò quando, dopo il voto del Parlamento, proclamante il regno d’Italia ed alla vigilia dell’altro voto sulla questione di Roma, egli (21 marzo 1861) scrisse alla presidenza della Camera alta dichiarando come il cambiamento del Senato in Senato del regno d’Italia — «cambiamento che notoriamente proviene da annessioni territoriali alla Monarchia Sarda incompatibili con le religiose e politiche pie convinzioni, e contro le quali non ho lasciato di protestare in pubblica assemblea.» — gl’imponesse l’obbligo di ritirarsi da tale Consesso. E’ l’unico caso che fino ad oggi la storia parlamentare italiana registri, di dimissione da senatore. Questo atto suscitò viva emozione; nessuno, però — neppure l’avversario più accanito — osò mettere in dubbio la sincerità dell’amor patrio del marchese Brignole Sale ed il fervore dei suoi desideri perchè l’Italia fosse nazione grande, rispettata e gloriosa. Nessuno poteva di e la parte primaria da lui avuta al celebre Congresso degli scienziati italiani (l’ottavo) tenuto in Genova nel settembre del 1846. Egli era allora decurione di città e ministro di Stato, e tenne la presidenza generale del Congresso inauguratosi nel palazzo ducale; precedette una imponente funzione religiosa in San Lorenzo. Vi accorsero novecento studiosi d’ogni parte d’Italia; e dopo il Brignole, rr r "S.

Sale parlò il principe di Canino, Carlo Bonaparte, recati’ do gli auguri di Pio IX, il quale aveva consentito alla partecipazione degli scienziati degli Stati pontifici. I° quella circostanza fu posta, in piazza dell’Acqua Verde. la prima pietra del mo numento a Cristoforo Colombo• e nella premiazione dell’Esposizione di manifatture e prodotti agricoli l’arcivescovo mons. Tadini benedisse fra applausi, la schiera degli onesti faticanti. Dell’opera del marchese Brignole Sale, in quell’O" venimento, scrive il marchese Paris Salvago (poi deP°’ tato e padre dell’attuale ministro plenipotenziario Salve’ go Raggi): «Noi abbiamo ancora presenti nell’animo ie. ansie, i timori, le sinistre previsioni di pochi; le ridenti speranze e le generose illusioni di molti; le allora equi" voche associazioni ed il silenzio calcolato ed inesplicl’bile di alcuni. In tanta incertezza d’animi, in cosi diver. so agitarsi di sentimenti, la presenza riverita ed autore’ vole del marchese Brignole Sale dissipò le prevenzion i; fu arra di ordine, di concordia; impedì con fermezza d prudenza che, con grave scapito delle scienze, si fuor’viasse. E ricorderemo come nell’inaugurare quelle riti., nioni di uomini rispettabili, ma che non tutti, siccome gii avvenimenti fecero conoscere, condividevano i princig religiosi e politici del loro presidente, egli pronunziò, e°11 nobile franchezza, parole improntate a quella fede vivi/ di cui si mostrò sempre figlio devoto e caldo difensore"’ Il celebre editore Pomba di Torino colse l’occasi°’ ne per lanciare il numero di saggio del Mondo illustrai.»giornale universale»; il primo articolo era dedicato ai»Congressi scientifici in Italia» iniziatisi a Pisa nel 1839’, e recava in prima pagina, prima colonna, il ritratto de marchese Brignole Sale, figura affabilmente austera di i patrizio genovese autentico; incutente rispetto e vener zione in solo guardarla.

  • * *

E lascio parlare il marchese Salvago. i «Un monumento non perituro del santo desider, che aveva il Brignole di veder propagati con la luce de’ Vangelo i lumi di una civilizzazione veramente bene0 e salutare, resterà nel collegio fondato, col concorso dei la marchesa sua consorte, per le Missioni straniere.»Fu un giorno di inenarrabile gioia per l’animo de I febbraio del 1855; quando Oli: l’illustre patrizio, gurò la religiosa istituzione. Assistevano alla sacra ceri monia coll’arcivescovo di Genova, il vescovo d’Orlea fis: mons. Dupanloup, il Superiore generale dei mission° di San Vincenzo de’ Paoli. Le parole pronunciate: quell’occasione dal generoso fondatore, valgono esse se lo un elogio, dipingono al vivo l’uomo, che a noi apP31.0 tanto più grande quanto più cerca impicciolire l’oPera di cui dava vita. Egli arricchiva Genova e la cristianità un Collegio destinato ad educare negli studi sacri vedi tiquattro giovani, scelti da diverse diocesi d’Italia e o Francia, per mandarli poi missionari a disposizione ele;„•, Congregazione di Propaganda Fide. E per atto di 1.9’. ma volontà, ma vivente ancora, noi lo vedemmo COn gnanimità unica, e degna di essere imitata, spogliarsi ricchi censi per redimere anime a Gesù Cristo. A l ettO «Quest’era il beneficio che faceva alla sua u"Genova; ma le parole di lui cercavano far dimenticare [p. 155 modifica]la generosa istituzione e ricordando con patrio orgo glio le avite glorie si compiaceva meglio che delle fortunate imprese di guerra, meglio che delle riportate vittorie, dei grandosi templi, dei ricchi ospedali. «Ma nulla e ai tal magnificenza — egli diceva — presenta lo stabise li mento da noi fondato. Noi non portammo nè portaicicivevamo le nostre mire sì alto. Modesto fu l’intendiiv• Mento nostro, abbiam divisato fondare un’Opera utile sì, non sontuosa. Abbiam considerato non poter esistere società ben ordinata là dove manchi la religione, essere la le religione il primo bisogno dell’uomo; esserne secondo la liti civiltà, derivare questa, e necessariamente da quella. Ui. Ritornato il Brignole nel 1861 alla vita privata non cessò dal rendersi utile con gli scritti alla grande e nobile causa che sempre propugnò; cioè alla Chiesa, ai re’ liberi, alla patria; il suo tempo, i suoi talenti, la espeni: rienza sua appartenevano a chiunque gli chiedeva un e consiglio, un aiuto. Sapendo a quali condizioni, e con or’quale scopo Iddio accordi le ricchezze ed uno stato indiPendente, mostrò come gli uomini di cuore e d’intelligli genza possono, benchè non rivestiti di pubblica autori;iri t4, essere utili alla patria e servirla con l’esempio delle Ooi do mestiche virtù e coll’esercizio della carità. ive Il marchese Brignole Sale morì il 14 ottobre del.eD 1863, in età di 78 anni.«Con lui -- nota il Salvago — sie• ’In non solo una famiglia antica ed illustre ma, saremmo tentati a dire, una dinastia. Poichè egli era a buon dirit) g t°, considerato, per le cariche onorevolmente sistenute.;39 per le ricchezze, per le doti di mente e di cuore come dt 1n, itimo rappresentante di quella aristocrazia, che se eb d’"a cadere ben non sapremmo per vizi propri o per colp a dei tempi, fu sempre benemerita della patria che laSeiÒ ricca, gloriosa e felice.» La Gazzetta di Genova, giornale liberar. annun d ando la scomparsa del Brignole Sala diceva: «.Qualunque sia la natura delle opinioni che il corso dei grandi eri° e de’ venti del nostro tempo può avere indotto nelle mentì, 13 bi animo retto doveva ammirare nel marchese Bri,fica Pcil e l’indole generosa, l’integrità specchiatissima, la re’Rione sincera, un amore ardentissimo verso la sua terra nativa, una eletta cultura d’ingegno che andava sempre arricchendosi di svariate cognizioni e finalmente il natr e°rredo delle doti più rare del cuore, che si manifestaceri’ rono nell’esercizio di tutte le virtù private e domestiche,:arts t • ori ) cacciare, per aleviarle, tutte le umane sventure.» soD E’ noto che il marchese Brignole lasciò un’unica Ppnr°I,, andata sposa al duca di Galliera e delle opere cattoe e di utilità pubblica essa pure munifica benefattrig ìra Il nome di Galliera è eternamente unito alle decine tà di i milioni date per l’impresa grandiosa del compimenve1. t° del porto di Genova. G. E. Mondada. e di della 0. IP • • P. • 0 • • alti’ •I•

ola. rsi di

net° lic°e

La Sicilia di oggi k Le opere di grande o piccola mole che, durante il; tgnn d’Italia, si sono occupate, da diversi punti di vista, ell a Sicilia, non sono poche; ma poche veramente son

155

quelle che con perfetta conoscenza dell’argomento, con giustezza di vedute e serietà di propositi si sieno accinte a studiare alcuno degli aspetti che nella vita di un popolo o di una regione hanno importanza di primo ordine. Le inchieste son certo una buona ed utile cosa — anche quando non valgano ad attuare quei rimedi che l’osservazione diretta ha rivelato come urgenti e necessari — per aver notizie eterogenee intorno a fatti e circostanze che concernono le attività della nazione: ma esse hanno un loro vizio di origine, che si va localizzando in relazioni lunghe e pesanti, naturalmente poco lette e consultate, anche da quelli che a leggerle e a consultarle avrebbero qualche interesse. Non si può quindi non accogliere con un senso di vero compiacimento quei libri che, preparati da un lungo lavoro coscienzioso e scritti con semplicità ed esattezza, si offrono, come informatori sicuri ed imparziali, a chiunque desideri, senza voler affrontare i lunghi e ponderosi in quarto delle inchieste, notizie attendibili sulle attività di una data zona del Regno. Il libro che G. Bruccoleri ha, pochi mesi or sono, pubblicato sopra una delle nostre maggiori isole (La Sicilia di oggi - Roma 1913) presso la casa editrice Athenaeum, è di quelli che per l’adeguata preparazione, la obbiettività e l’esattezza dell’indagine, la sobrietà e la limpidezza del linguaggio, più di ogni altro si raccomandano. E se il campo dell’indagine è unicamente limitato all’aspetto economico dell’isola, e se le osservazioni dettate da uno spirito di verità concernono dati e circostanze relative alla vita materiale, non mancano ed abbondano gli opportuni rilievi sulle conseguenze di questi fatti, sulle ripercussioni ch’essi hanno su altri aspetti dell’attività della regione, o sui fatti e sulle circostanze di cui essi medesimi sono effetto più o meno spontaneo, più o meno genuino. Coloro che ignorano la maggior parte del contenuto di questo libro, il quale è e vuol essere sopra tutto un libro di dati, non sono pochi; ad esso sarebbe, in modo speciale, da raccomandare a quegli illustri rappresentanti di sinistra o di destra, che rappresentano solo l’isola in Parlamento e che non siano solo preoccupati di conservare integralmente la loro buona posizione in faccia ai grandi elettori del collegio. Essi troverebbero in queste pagine, qualora volessero e sapessero leggerle con purità d’intenzione, non solo molte cose nuove -il che non potrebbe meravigliare affatto - ma molto di ciò che dovrebb’essere oggetto continuo della loro attenzione e dovrebbe regolare, all’occorrenza, la loro condotta politica. Tutto ciò se il Parlamento non fosse ormai il parlamentarismo, e se i rappresentanti della nazione non fossero ormai, oggi anzi più che mai, gli umilissimi servi degli elettori. Ma lasciamo stare il Parlamento e i parlamentari, e occupiamoci del libro del, Buccoleri, ch’è forse più interessante. L’economia siciliana è in ritardo. Ecco un primo fatto che in questo libro è illustrato perentoriamente per via di prove irrefutabili. Essa è in ritardo innanzi tutto per motivi dovuti a circostanze storiche in massima parte indipendenti dall’azione individuale, poi per motivi [p. 156 modifica]dovuti alla indifferenza del potere centrale e all’inerzia dei liberi cittadini. La Sicilia è una regione in cui la distribuzione della ricchezza è quanto di più inadatto si possa immaginare al benessere e al progresso di un popolo. L’accentramento della proprietà fondiaria in poche mani fa sì che il proprietario poco o punto si curi della sua terra fidandosi ciecamente del gabellotto, il quale paga regolarmente ciò che deve per lo sfruttamento della terra non sua al latifondista ignaro e gaudente, che non sa nulla e non vuol saper nulla di innovazioni o migliorie suggerite dalla scienza agraria. E vicino ai pochi latifondisti straricchi vive un’immensa turba di lavoratori, in massima parte analfabeti, abituati ad un lavoro lungo e pesante, privi del necessario, malnutriti e predisposti alla delinquenza. L’emigrazione ha dato — è vero — qualche aiuto non indifferente a questa grande miseria. Ma se si pensa quanti sacrifici, quali bassezze sono costati alle migliaia di braccia che oltre mare compiono le fatiche più umili, si resta in uno stato di perplessità, e non si sa se dolersi o godere dell’impulso che getta su altre terre energie fresche sottratte alla nostra produzione. Che cosa ha saputo fare il governo per ovviare a inconvenienti così gravi e per curare almeno quelle piaghe che apparivano più profonde e minacciose? Poco o nulla in verità. Il servizio di polizia che avrebbe in qualche modo potuto supplire alle miserevoli condizioni di viabilità, si è rivelato sempre insufficiente; e quei provvedimenti che avrebbero dovuto, per via di bonifiche e di lavori idraulici, sollevare le tristi condizioni in cui giaceva e giace l’agricoltura, vennero meno quando più erano urgenti e indispensabili. E mentre, come risulta da statistiche ufficiali, si erano spesi nel Regno, per sistemazioni di torrenti, bonifiche e simili, sino al 1884 ben quaranta milioni, alla Sicilia non si erano assegnate che ventisettemila lire; e mentre dal 1. luglio 1886 al 30 giugno 1910 si erano spesi per l’Italia quasi centottantacinque milioni, per la Sicilia se n’erano assegnati soltanto cinque e mezzo. Ma i rappresentanti dell’isola che fanno? Ma i non pochi collegi delle sette provincie hanno qualcuno che curi, in certo modo, gli interessi della regione? La risposta a queste domande è molto triste. Questi signori — almeno in maggioranza — non si sono mai accorti od hanno agito come non si fossero mai accorti delle miserie e delle ingiustizie che colpivano la loro terra di origine. Essi hanno continuato tranquillamente a ingrossare le milizie del governo, senza curarsi d’altro.

  • *

Epperò, malgrado l’incuria dei governi della Terza Italia e ad onta della indifferenza dei parlamentari siciliani, un certo progresso relativo si è potuto notare nell’isola da alcuni anni a questa parte. L’emigrazione è stata, malgrado i suoi inconvenienti, un rimedio provvidenziale alle grandi miserie dei lavoratori della terra e il cooperativismo agrario, per quante imperfezioni abbia potuto rivelare, nen poco è giovato alle classi non abbienti o quasi non abbienti. L’emigrazione transoceanica tende oggi ad aumentare sensibilmente. Il lavoratore siciliano è di una resistenza e di una parsimonia eccezio nale. Esso si assoggetta per amor di risparmio, a priva’ zioni ed a sacrifici incredibili. Non ha che uno scopo affrettarsi a costituire un gruzzoletto, che gli permetti di tornare in patria e di investire proficuamente il frott9,, dei propri sudori. E molti umili braccianti hanno da" vero raggiunto il loro scopo. Se non che questo rarefars1 della mano d’opera con conseguente aumentarsi dei sa" lari è stato dannosissimo per i piccoli proprietari costret’ti a vendere e a pietire una qualsiasi occupazione nella amministrazioni locali o centrali. Ma l’aumento del danaro, non sempre è aumenti di sanità e moralità. Il tracoma, la tubercolosi e alar’malattie contagiose aumentano notevolmente in misuri che la emigrazione transoceanica aumenta e s’intensi’ fica: l’ordinamento famigliare, già saldo e compatto Piti che nelle altre regioni, comincia a rilassarsi e a disgfe garsi: la moralità singola e collettiva diminuisce sensi’ bilmente. Di guisa che è spontaneo, in chi osservi coti occhio imparziale e con qualche elevatezza, un sens° di perplessità nel decidere se, in complesso, così core` si è svolta, l’emigrazione abbia giovato o nuociuto al l’insieme dell’isola. Ma chiunque potrà far suo il des’derio e l’augurio del Bruccoleri: che il contadino trovi in patria la sua redenzione e che egli non offra altrui le sue virtù di lavoratore inestimabile. Importanza non piccola ha assunto in Sicilia, da po’ chi anni, il movimento cooperativo; il quale occupa, net’le statistiche pubblicate dalla Federazione nazionale del’le Casse rurali italiane, uno dei primi posti. Ma non sogna lasciarsi illudere dalle apparenze e non bisogni credere che tutto quanto ha l’aspetto di corporativismi sia rivolto esclusivamente al benessere dei consociati’ Esso è certo, nell’economia agraria sopratutto, un fit. tore reale di progresso; ma non sempre è riuscito a la berarsi dalle intrusioni e dalle deviazioni che il pregio’ dizio politico o la speculazione dei privati vi hanno provocato. Molto si è fatto, ma molto ancora resta a far’: E il corporativismo potrà davvero sognare un’èra nuov a per l’agricoltura siciliana se esso saprà mantenersi (1 quell’altezza di aspirazioni e di metodi cui i suoi tori l’avevano avviato. Le condizioni in cui oggi versa l’agricoltura siciliana sono davvero specialissime. Un suo primo ca°’ tere è la grande superficie dei terreni seminativi, citi fl riscontro la deficienza di prati e pascoli permanenti, ch piante legnose e di boschi, deficienza relativa s’intende Seminerio, viti, ulivi, agrumi, costituiscono le colture dominanti, di fronte ad altre svariatissime, come i ITIO. dorli, i noccioli, il sommano, il tabacco, i carrubbi• La lavorazione non è certo di quelle più progredite ed anzi, per lo più, presso che rudimentale. L’uso delle macchine costituisce una rarissima eccezione, quantutta que si vada rivelando sempre più necessario in misur che il prezzo della mano d’opera aumenta. E se alle de’ da ficienze della lavorazione aggiungeremo la mancanza umidità necessaria, che affligge in massima parte suolo dell’isola, potremo spiegarci facilmente come’ a mentre in essa la quantità della superficie coltivata super di gran lunga quella delle altre regioni, la percentual media del rendimento di ogni ettaro sia, per converso, inferiore. [p. 157 modifica]Ciò che il libro del Bruccoleri ci apprende sulla coltivazione del tabacco, del cotone e delle piante arboree che,; dietro esperimento, hanno dato ottimi risultati, è di gran de interesse, e potrebbe certo nutrire una speranza sui progressi possibili della agricoltura dell’isola, giacchi quelli presenti sono di una tale lentezza, che a mala pena riescono a percepirsi. Non meno interessante è quanto esso ci insegna intorno alla produzione e al commercio degli agrumi e intorno al loro sviluppo attuale e potenziale, intorno alla en produzione ed al commercio dei derivati che, come l’a, gro, e il citrato di calcio hanno oggi assunto importanza s5 non lieve. lo vorrei, se lo spazio me lo consentisse, pote: riassumere i momenti più salienti della crisi, i precedenti la natura e la ’posizione della Camera agrumaria, per `, mostrare la insufficenza e l’inanità delle misure; legislative, la convenienza e l’urgetaa che i produttori si uniscano liberamente e liberamente provvedano ai casi loro. Ma occorre cogliere, di volo, gli altri aspetti dell’economia dell’isola. Tutti sanno che l’industria zolfifera è, con le susJi; diarie, l’unica grande industria dell’isola, se prescindia mo dall’agricoltura, e che ha raggiunto nell’ultimo ventennio progressi assai notevoli. I congegni della tecnica si vanno perfezionando, le condizioni del lavoro sono an.ft date migliorando. Il che non toglie che la benevolenza dello Stato si sia accinta a presentare una serie di progetti di legge pel contratto di lavoro nelle miniere tutti illusori e tutti inconcludenti, per modo che c’è ancora da;, rallegrarsi se nessuno sia mai arrivato in porto. E quanto alla legge sul Consorzio obbligatorio, alle vicende ed ’,s’al- risultati del medesimo, si sarà detto abbastanza quando si sarà osservato col Bruccoleri che esso ebbe di mira un alto interesse industriale e sociale, ma è finito, in pratica, per giovare a speculazioni private, non certo assai corrette. La qual cosa non toglie che, quantunque le condizioni che determinarono la legge sono oggi profondamente mutate, gli interessati si siano affrettati a domandare la proroga del Consorzio sino al 1930. i •

Quali i rimedi che potrebbero adibirsi per migliorae le condizioni economiche dell’isola? I rimedi escogitati non sono in piccolo numero, ma, comunque, non tutti sono di facile attuazione. Molto avrebbero da fare i privati, e più lo Stato, il quale non sempre è interprete del benessere della collettività e spesso cede agli interessi ed alle pressioni dei singoli, anche quando contrastino o neghino quelli della collettività. Io non ho la fede che il Bruccoleri professa nella potenza del voto e non credo che quest’arma potrà ottenere, in mano agli analfabeti, ciò che la borghesia non seppe o non volle ottenere; ma non posso non associarmi di tutto cuore al giudizio severo che egli dà dell’attuale momento politico. Mi è grato anzi riferire, alla lettera, le belle parole che sono degna corona al suo ottimo libro, e che è bene proporre all’attenzione e alla meditazione di quanti, colti od incolti, abbiano a cuore l’interesse ed’il miglioramento dell’isola. «Se deleteria a noi pare, per i veri interessi della nazione tutta, questa politica accomodante, narcotizzan 757

te, talvolta anche corruttrice, da qualche tempo inaugurata, assai più gravi ci sembrano le conseguenze per la Sicilia, che per dirigersi verso un avvenire migliore, ci pare abbia bisogno di rimedi veramente salutari ispirati ai suoi veri bisogni, anzichè a quelli che politicanti e demagoghi vanno diffondendo per i circoli e sulle gazzette di provincia; di opera risanatrice di sapiente e coraggioso chirurgo, anzichè di pannicelli caldi di empirici tentennanti o incoscienti: di iniezioni di nuovo e più ricco sangue nelle sue vene esauste, anzichè di eccitanti funesti: di danaro, infine, sapientemente ed onestamente speso, anzichè di leggi ricche di disposizioni platoniche e povere di danaro, o che autorizzano a sperperare quel poco che danno, a vantaggio specialmente, dei più emeriti parassiti politicanti.» Carmelo Caristia.