Il buon cuore - Anno XIII, n. 16 - 18 aprile 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 16 - 18 aprile 1914 Religione

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CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL’ARTE

Un mosaico attribuito a Giotto


Nella Chiesa di S. Pietro Ispano, in Boville Errl ia, e, precisamente nella ricca cappella costruita da mons. Simoncelli sui primi del 1600 esistono

delle opere d’arte interessanti, e, prima di queste, un antichissimo Angelo in Mosaico dal fondo d’oro, isurante un diametro di 70 cm. e munito sotto delm, seguente iscrizione a pena visibile sopra una vecc iia tavoletta nera: e Haec Angdi imago mio — ’ l istoria Naviculae S. Petri — quam in atrio veteris /,alicanae Basilicae — Jottus pictor egregius... niu’;` y° ripensa_ Jacobi card. Stephanesci miro opere `it — in all’... remolit... novam templi demolivit a. Il ministero della P. I. interessandosi molto del m osaico, notato meglio per i restauri della chiesa, (,-evitava l’abate di questa, monsignor Albino Braglia, a dare ogni agio ad un pitL ie, per la ei-’nzione di una copia, in acquarello e dell’Angelo ’i )nosaico di Giotto, conservato, ecc. n, e quindi,,l dava il prof. Munoz col direttore del Gabinetto man t- ’grafico, a studiare e fotografare quello e le opeP,Iii notevoli della chiesa. ri I anto la tavoletta, dunque, quanto il ministero, ritengano opera di Giotto il mosaico di Boville, accordo ancora con il signor Nicola de Alessio

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che, nel comunicare ultimamente la scoperta recava pure alcuni argomenti storica intesi a controllare e provare la giustezza della attribuzione. Però, questa, che a bella prima è stata suggerita senz’altro dalla riportata epigrafe, nella categorica dichiarazione di aver fatto parte, quell’Angelo, del grande mosaico della Navicella ancora esistente in San Pietro, mentre già non fermamente risculta dagli argomenti sino ad oggi riportati, per alcuni altri si rivela inoltre del tutto infondata. Il Vasari parlando nelle Vite, delle opere di Giotto eseguite in S. Pietro, riferisce: «Di mano del quale ancora fu la Nave di mosaico che è sopra le tre porte del portico, nel cortile di S. Pietro, la quale è veramente miracolosa e meritamente lodata da tutti i belli ingegni: perché in essa, oltre al disegno, v’è la disposizione degli apostoli, che in, diverse maniere travagliano per la tempesta del mare, mentre i venti soffiano in una vela, la quale ha tanto rilievo che non farebbe altrettanto una’ vera: e pure è difficile avere a fare di quei pezzi di vetri una unione come quella che si vede nei bianchi e nelle ombre di, si gran vela, la quale col pennello, quando si facesse ogni sforzo, a fatica, si pareggerebbe: senza che, in un pescatore il quale p - esca in sur uno scoglio a lenza, si conosce nell’attitudine una pazienza estrema propria di quell’arte, e nel volto la speranza e la voglia d’i pigliare a. E prosegue: «Le lodi, dunque, date universalmente dagli artefici a questa opera se le convengono a. Ma qua non si parla dell’Angelo. In «Le nove chiese di Roma» il «Cavalier Gio vann: Baglioni, dell’habito di Cristo a (Roma - Per Andrea Fei 1630) scrive riferendosi al portico della antica basilica Vaticana: e Sopra la facciata parimenti di dentro, vicino al voltone, v’è collocata la Navicella di mosaico opera di Giotto Fiorentino ne’ tempi di Bonifacio viy, (sic) famoso pittore, che in Roma diede principio al nostro modo di disegnare, e di colorire, e la maniera Greca Barbara:. alla buona ridusse, e con esso lui in questa natie, come dicogli. scrittori, lavorò anche Pietro Caullini..Romano, fatta per il cardinale Giacomo Gaetano 11 r.12

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- • [p. 122 modifica]Stephaneschi ceni spesa di 2200 fiorini: le Figure che da’ lati in aria vi stanno, & il pescatore sono mano di Maroello Provenzale da Cento, (queste furono aggiunte in seguito quando l’opera, come vedremo, fu rifatta) et hora Urbano ottauo, regnante, di suo ordine in questo luuogo, come più degli altri convenevole, l’ha fatta riporre». Questo cardinale Stefaneschi, di Ceccano, era assai munifico, tanto che donò al Vaticano anche un prezioso codice miniato da Oderisio, e pagò, abbiamo detto, 2200 fiorini a Giotto. Ma tutto questo = che viene citato nelle ricerche quale prova della autenticità del Mosaico di Boville — evidentemente nulla dice in favore di esso. E’ il Tovrigio che, invece, (Sacre Grotte Vat. p. 161) nel descrivere l’antico atrio ci dà notizie più particolareggiate singolarmente utili alla esamina. «Più oltre e dipinta la Nauicella, di cui si disse di sopra con lettere «Nauicola in atrio». Staua già nel cortile detto il Paradiso, la quale Paolo V nel 1617, adì 24 d’Agosto trasferì nella muraglia, dove è hora la fontana sopra le scale, e fu finita di adornare nel 1618, e sotto vi si leggeva in marmo: «. Paulus V Pont. Max. Nauiculae Sacrum monumentum ex ruinìs Vett. Bas. seruatum posteit et ornauit anno saeutis 1618». E perchè stàdo esposta all’aria si andaua consumando, commandò N. S. Urbano VIII, che d’indi si trasferisse in chiesa: onde dì 14 Aprile ’629, si principiò leua:rla, e fu finita di porla in Chiesa: adì 20 Giugno con molta diligenza talchè non patì detrimento notabile. Dietro alla quale adì 3i d’Agosto si posero otto medaglie di bronzo, & adì 2 d’Ottobre otto altre le quali da una in Basilica Principis Apostolorum transtulit, e dall’altra quando ’ apre la Porta Santa di San Pietro: in altre vi è l’alto della Canonicatione di S. Andrea Corsìno, & alcune la fortificatione di Cartel S. Angelo, ha copia dipinta in essa nauicella già posta per prona nella Basilica Vaticana, sin consegua nella donatali da Nostro Signore, sotto la quale vi è: «Hutus picturae exemplar quod ante annos 320 Ci fotto Fiorentino celebri pietose ojere musiuo elaboratum est, Urbanus Pont. Max. ex aera Vaticana in Basilica P.rinc:pis Apostolorum transtuiii anno salutis 1627». Vi è anco in questa iscritione: «Frater Antonius Barberinus S. R. E. Presb. Cardinali. Sanctis lioncePbus Urbani VIII germanus frater, templum ImM acida’tae Vkg. Conceptae Czpucciriis Fratrilus Coenobium (l fundamentis erexit réeigiosi in deipram ossequis, beneftcae in suum ordinem charitatis monumentum anno salutis 1628. Capuccini Fraters grati anini ergo pos Vi si legge anche: Urbanus VITI Pontif. Max. Nolens Pontificiae charitatis magnificentiam capuccinae paupertatis limitibus coerceri aram maximam ornauit. Di detta nauicella se ne ha memoria in un antico m. s. in pergamena nell’archivio ’di S. Pietro con queste parole: «Obiyt sanctae memoriae Dom.

Jacobus Gaitani de Stephanescis S. Giorgi Diac. Cardinalis, Canonicus nostrae Basilicae multa bona contulit, ecc. in Paradiso eiusdem Basilicae de opere musaiico historiam qua Christus B. Petrum Apostolum in Fluctibus ambulante dextera, ne mergeretur erexit, per manus eiusdem singularissimi pictoris fieri fecit, pro suo opere duo milia et duocentos fiorenos persoluit». Le stesse e sole parole ultime citate dalla pergamena sonò però quelle dei Ciamp:,ni in «De Sacris Aedificis» a pag. 77, mentre a sua volta Carlo Fontana in a Tempium Vaticanum» (Romae 1694), osserva solo che a di riscontro (a un bassorilievo del Bernini esistente nell’ultimo portico) per ordine di Alessandro VII fu collocata la navicella d’. S. Pietro opera di mosaico fatta con disegno di Giotto Fiorentino». Vediamo, dunque, che queste citazioni portate a dimostrare la giustezza della attribuzione, se si dicano solo che il Giottà fu trasportato due volte, e che fu curato con molta diligentia, fanno insieme intendere, con quella medesima cicostanza, che esso fu pure ritoccato e restaurato: fatto che proveremo meglio in seguito perchè è da esso che potremo sa/ pere qualche cosa. Abbiamo sicure testimonianze in favore della restaurazione e del rifacimento del Musaico della Navicella. Anzi, sappiamo che il disegno di questo, t] conservato nella raccolta del conte di Pembroke e Chartworth, si può dire totalmente differente nella contposii,one della scena, dal mosaico ora esistente in S. Pietro. Infatti, quello che in origine era rettangolare, men- si tre oggi è emiciclico per la forma arcuata del tiniql pano ove fu posto nel portico, aveva le torri e molte altre scene ora perdute completamente; così che 5i at vede con tal fatto, che il Venturi ha notato, come CU venne eseguito da capo in una restaurazione che Poi in sostanza fu rifacitura. Ed è chiaro, poi il Bonanni quando scrive: a Hanc igitur Navim, Paulus Cp V, e diruta penitus quadriporticu, a Marcello Provenzali pictore reftc3 iussit». (Numismata Summe- da rum Pontificum Templi Vat: Fabbr.). te/ Il De Adisio pur notando come occorra una clu paziente esamina per definire la questione — per spie- ne; garsi un poco in qual modo l’Angelo fu tolto al eh, Mosaico della Navicella, si serve delle testimonianze ci() che provano la sua rifacitura, nella transposizione: nc), dicendo che, — dato il taglio degli angoli superiori dic Per l’adattamento, e dato che, da allora, ’la comPe" Siti sizione generale del mosaico venne rifatta,— l’angelo, forse posto a proteggere S. Pietro nella tenie dei pesta, fu escluso dalla Navicella sia per il cambia’ il, l mento di composizione e sia per l’asportazione dell’angolo. C Però, in tal modo, non viene considerato che in. vue, nessuna delle composizioni nelle tre navicelle di Chartworth e dei Cappuccini si vede l’angelo, nono sPie stante che, specialmente la prima, rifletta appunto la comoposizione originale di Giotto. [p. 123 modifica]E non si considera che nessun fatto viene — poi con alquanta base, a far arguire la-precedente esistenza di quella figura nel Mosaico della Navicella. C’è da osservare, inoltre, che non fu Paolo V a far trasferire l’opera nei portico, durante l’anno 1617 con la seconda trasposizione, ma che fu Urbano VIII (il Fontana pretende Alessandro VII). Infatti Paolo V, nel 1617, la trasferì solo la prima volta, facendola rifare e non tagliare. Quindi, nel caso che l’angelo fosse esistito nel grande mosaico, al tempo di Paolo V, non poteva venir asportato con uno degli angoli, perchè questi, solo con Urbano, solo nel 1629, dovettero venir tagliati nell’adattamento ultimo avvenuto solamente allora. Così è dimostrato che se pure l’Angelo fosse esistito nella Navicella, avrebbe dovuto essere asportato di là solo con l’opera di Marcello ProvenzaI., e non come afferma il Liberati in una sua storia di 130 ville, con la trasposizione nella muraglia; perchè questa lo poteva contenere completamente, quale era in origine. E non c’è da ripetere la congettura che nei rifacimento del Provenzali, l’Angelo già esistente potesse essere escluso allora, perchè abbiamo già veduto che prima della nuova costruzione, il quadro originale di Giotto — a noi noto, abbiamo detto, per il disegno citato — non affatto possedeva P Arigelo. Con la qual circostanza potrebbe venir t roncata ogni discussione, se non restasse ancora il Problema dell’Angelo stesso.

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Una croce, esistente nella medesima chiesa, incon altre opere d’arte cui accenneremo, porta tquesta iscrizione: e Hanc crucem populi adorationi -- in porticu ante a trium Vaticanae Basilicae — expositam et e ruin.s: e cnin angeli figura — servatam. Baptista Simoncellus Paoli V. Pont. Max intimus cubucularius — et a veste ob memoriarn tanti templi — in hoc ab se t5 %dito sacello reposuit anno MCXII». Qui dunque si dice ancora che la croce fu donata ‘-`al pontefice al Simoncelli, intimus cubiculanus, nel tempo stesso in cui fu donato a Giotto. Ma non per questo la Navicella di San Pietro si trovava anch’essa bell’atrio dell’antica Basilica! Era forse l’angelo cu ri(e vi si trovava con la croce. Infatti il primo, quan si demoliva l’antiéo portico per la nuova facciata,14°, 11 poteva trovarsi in quello, percliè gli; scrittori cono che durante il pontificato di Paolo V era i tua.to invece nella muraglia, dove l’abbiamo vedu to• Ecco, dunque che il mosaico di Boville e quelle de;I lla Navicella non hanno relazione comune, perché Primo pare che esistesse nell’atrio dell’antica faccia ta, proprio quando il secondo era altrove. io v Con questo, la iyrizione della croce — che non di l’°1 spiegarci cosa fosse l’Angelo del vecchio atrio dice bene, e quella propria dell’Angelo per voler or S pi egar troppo, cade in contraddizione con le numete testimonianze lette, rivelandosi, molto probasieme

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bilmente, posteriore alla sistemazione di quel mosaico nella chiesa di Boville. E’ da questa epigrafe, dunque, che è sorto l’inganno circa l’attribuzione del mosaico che pertanto resta sempre opera degna di nota. E così pure — nella stessa cappella Simoncelli meglio osservata nei restauri — le altre opere d’arte la cui paternità è ugualmente dubbia. L’abate attuale ha scoperto che due altorilievi, creduti di stucco, perché li seppelliva un fitto strato di calce, sono di marmo finemente lavorato. Rappresentano S. Pietro e S. Paolo, e — contrariamente all’uso — ’si trovano il primo a destra del secondo. E’ facile congetturare per tale circostanza che questi siano altri doni di Paolo V — il cui nome venne onorato nella sistemazione del Bassorilievo di San Paolo — ma non solamente per questo si può affermare che appdrtengono al Bernini, come è stato detto, anche volendosi osservare, in quelle opere, la ma-. niera del cavaliere che, al tempo di Paolo V, ancora gioVinetto, si recava presso la Corte pontificia. C’è stato chi ha sostenuto che il Simoncelli, avendo potuto essere amico del Bernini può aver ordinato a questo i due altorilievi. Ma tutto ciò non si basa che sopra congetture ed arguizioni piuttosto gratuite. E parimenti ’si nota, questo, in riguardo alle attribuzioni pronunziate intorno alla graziosa Sacra Famigl:a, in marmo, del ’460, che è certe volte veramente squisita e fine, pure essendo qua e là un po’ difettosa nella positura del braccio destro del bambino e altrove. ANTON GIULIO BRAGAGLIA.,....z." tp4h,y; „he ii4"*AWA704ii;ZW).;,.4/ArAliW P ".e ia" friA

L’emigrazione ed il Mezzogiorno d’Italia Ritornare sopra un vecchio tema, • ch’è però sempre nella Coscienza nazionale, io credo sia opera utile ed opportuna, ancora. Il problema dell’emigra zione interessa non solo la pubblica economia, ma tocca altresì la dignità nazionale, e ciò spiega l’attenzione, che sopra di esso fu rivolta, e da uomini di studio, da spiriti cioè pratici ed osservatori, da uomini di governo. Fatto sta, che di questa’ benedetta emigrazione chi ne dice male e chi bene, chi la proclama una salvezza e chi una completa rovina per certe nostre regioni, e specie per le meridionali. I più anzi credono e credettero, che sia, una rovina, cosicchè al letto di questa illustre malata non mancarono e non mancano i medici famosi, ognuno proponendo il suo specifico. Ora, discussioni siffatte a me paiono discussioni inutili ed oziose quasi, perchè l’emigrazione non è certo un fatto che diventa esclusivamente dalle singole volontà degli uomini, ma dalle forti ed impellenti necessità, che [p. 124 modifica]investono e.premono la vita stessa, e che determinano l’emigrazione ora lenta ed ora rapida, ma sempre continua ed incessante.. Rintracciare non solo le cause prime di questo fenomeno storico ma proporre éd attuare i mezzi idonei per poterlo attenuare, avrebbe dovuto nei passati decenni, essere lo scopo dei giovani succedutisi in Italia. Ma pur troppo, se si ritorna con la memoria ai tempi andati, il Mezzogiorno fu considerato come la Beozia della penisola, come una terra quasi straniera al paese, non curata, disprezzata talvolta. Anco oggi, se si vuole punire un impiegato lo si confina in un borgo di montagna della Basilicata o della Calabria. Questi sentimenti furono certo noti laggiù, e determinarono nelle popolazioni agricole meridionali quel senso di disgusto e di sfiducia, mutato poi in rancore sordo non solo contro i governi, ma contro la terra natìa, rancore che sovente gli emigranti dalla tolda del bastimento che li portava lontano manifestavano mostrando i pugni, ed imprecando alla patria, che li aveva scacciati dal suo seno! Quella gente vissuta anni ed anni separata dal rimanente della Nazione, tagliata fuori dell’umano consorzio, non poteva nutrire affetto per una terra, ove aveva sofferta la fame, nè per il resto dei suoi ocenazionali, che non si erano curati mai della stia sorte e del suo destino. I salari minimi, le vessazioni dei padroni, le tirannidi del fisco, la perdita della casetta e del campicello, i rigori dell’inverno e dell’usura spietata, questi erano soltanto ricordi, il bagaglio delle memorie che li accompagnavano a traverso l’Oceano per terre ignorate. Lo Stato essi non l’avevano visto se non traverso la divisa del carabliere, o la citazione dell’agente delle tasse, e quindi era naturale, che la vita diventata supplizio, trovasse nell’emigrazione come una virtù liberatrice, e fu accettata con entusiasmo. Sono cose oramai note, ma è bene che si ripetano fino alla sazietà, acciò, se sia possibile, rest:no confitte come chiodi nella coscienza degli italiani. Innanzi ad uno spettacolo di dolore nessun cuore gentile può rimanree indifferente. Un popolo che si proclama civile, ha l’obbligo, anzitutto, d’interesiarsi della condizione dei suoi fratelli prossimi. Eppure di quella gente del Mezzogiorno, nessuno si è curato mai, perchè spesso attirati nel vortice delle questioni politiche, nella politica grande, noi dimentichiamo le questioni urgenti, le quali stanno a base della nostra vita economica e più della dignità nazionale, e somigliano a quei ’fanciulli, i quali, second6 la frase del Ros seau, ascoltano le parole, ma le idee non li penetrano. Eppure, bisogna che queste idee ci penetrino é si facciano sangue del nostro sangue, dimodochè il problema dell’emigrazione sia studiato ed amato; materia non solo d’intelletti vigili ed accorti, ma anco di cuore. Non faccio mio il detto del Say, che ogni emigrazione sig-nifita per la patria una battaglia perduta. Non voglio arrivare a questa che mi pare conclusione esagerata, ma voglio no tare soltanto, che se l’emigraiione ha il suo lato positivo di bene, ha ancora il suo negativo di male, al quale bisogna provvedere. Parlando del Mezzogiorno, si è fatta molta dottrina e molta critica. Io non nego il valore nè all’una nè all’altra, Però non so che farmene, se esse s’intrattengono soltanto a notomizzare il male ed a diagnosticarlo. Quello che invece importa, è l’opera assidua, seria, efficace per la riabilkazione del’Mezzogiorno, opera che fino al momento è un voto ed un desiderio; non altro. L’argomento è penoso. Non si parla, per esempio, anche tuttavia, del Mezzogiorno come di un’i/a/M barbara? La frase ha fatto fortuna, ha girato il mondo, con quel profitto che i meridionali sanno all’estero. I giornali, i comizi e tutta, la letteratura spicciola, che a certi dati momenti si affolla dietro un argomento che ha sembiante di novità, s’incaricarono di fare il resto. Cosicchè uomo del mezzogiorno (parlo, s’intende, delle basse classi sociali) significò, se non significa, uomo barbaro o poco meno. Ancora sarebbe il caso di ripetere la vecchia frase, quella di correre alla scoperta del Cilento, della Basilicata o,della Calabria. E difatti, per la mag-, gior parte degl’itaiani, queste regioni italiane sono’ ancora sconosciute come il Tibet o la Patagonia. non lo dico io, ma lo notava, tanti anni or sono, no nobile intelletto lombardo, Tullo Massarani, il quale non sapeva perdonare agli italiani il peccataccio di non essersi mai presa la cura di scivolare qui ver; so, il tallone d’Italia e di osservare, vedere, studiare le cose e gli uomini coi propri occhi e con la propria mente ed esporre poi con ’sincerità le loro osservazioni ed i loro studi. Ed invece di visitare la Norvegia o l’alta Russia,,’ Dublino o Copenaghen, forse, e senza forse, da tali viaggi-scoperta, avrebbero v:sto quanta ricchezza«naturale, ignorata per colpa degli uomini, va per’duta nelle provincie meridionali, e quante energie; e quanto ingegno vivido e potente, di cui era entusiasta il De Sanctis, muore laggiù, dissipato, traviato,, avvizzito con danno della Patria comune. Coloro che scrissero dell’Italia meridionale (tranne le pochissime onorevoli eccezioni) la conobbero" passando di corsa per la tisica linea Reggio - Eboli. Da queste corse improvvisate, in sintesi affrettata sommaria, hanno tratte le loro conclusioni, e subito hanno giudicato il popolo meridionale popolo in tardo, mezzo selvatico, superstizioso, ecc. La Cala’ bria, la Basilicata, il Cilento, gran parte della Sioilia furono studiate proprio così. Le nere montagne boscose della Sila, i monti rocciosi della Lucania non dicevano altro che le memorie di banditi famosi.: Molti, fino a tempo dietro, ripetwano rncora la ver chia leggenda del brigantaggio e dei a tromboni». Ed a furia di dirla e di ripeterla, non ostante i dinieghi e le continue proteste dei meridionali in Ita lia e fuori, qualcosa della brutta nomea restò attaccata a quelle popolazioni. Si parlava in nome della [p. 125 modifica]scienza, e la scienza aveva dichiarato l’inferiorità delta razza, affetta da tiegenerazione, da apatia, nate dalla tradizione, dall’analfabetismo, dal clima, ecc. Io non nego che qualcosa di tutto questo c’è in quelle popolazioni, ma ad arrivane al punto di parlare di razza degenerata,’ ci corre. E’ vero che qUei contadini e quegli operai non hanno appresa nè la marsigliese nè l’internazidnale, ma è vero pure che hanno il culto per la famiglia e per l’onore, e la tenacia ne’ propositi, qualità, che gli uomini degenerati ed apatici non possiedono affatto. Noi ammiriamo e giustamente gli eroi delle battaglie, i poveri oscuri eroi, che nel nome del dovere gittano la giovane vita, e dei quali raramente la storia tramanda il nome, come onoriamo tutti coloro che sinceramentie s’immolano per un santo ideale. Ma vi sono pure altri eroi, le cui...gesta si coprirono e si compiono tacitamente, lontano dalla nostra zona, e la cui opera ci -rimane ignorata, quasi completamente. E costoro sono quelli che compongono la grigia ed immensa legione degli emigranti, la folla eroica, che, armata di una vanga e di un pane breve, ha sfidato i pericoli portando il lavoro e la civiltà sopra terre deserte. Io non so — eccettuato quello del soldato, del missionario, della suora di carità o simile — quale altro eroismo si possa paragonare a codesto. Altro che razza decaduta ed apatica! Eppure quei contadini meridionali, abbandonati a sè stessi, inalveandosi per paesi lontani ove eravi bisogno maggiore di volontà e di braccia robuste, trapiantati in diverso ambiente, mutarono lande deserte in fiorenti giardini. ’ Quegli ’uomini, dalle rive ubertose del’Plata si slanciarono fin sotto le Ande, nella Patagonia, nel euquen, nelle provincie lontane del Perù e del Brasile. I floridi vigneti, la immensa produzione di grano per la quale la sola Argentina è diventata uno dei più grandi granai del mondo, tutto ciò è dovuto nella maggior parte alle braccia forti ed alla volontà costante di quel semi-barbaro che qui civilmente era stato abbandonato come un cencio a mori— ’ ne sul lastrico! Chi non è stato in quelle contrade non può equamente apprezzare in quale estimazione sono tenuti quei lavoratori nostri laggiù; stimati ed apprezzati non solo dagli argentini o dai brasiliani, ma dagli europei anzitutto,. francesi, inglesi e tedeschi che colà sono ancora possessori di vaste contrade. Qui da noi, come schiavi bianchi, erano obbligati per meno di una lira a lavorare dalle 14 alle 16 ore al giorno, ed era naturale, che la miseria, spingendoli nell’ozio, ne Tacesse tanti candiidati al. delitto. Ma in America, posti con la faccia rivolta al destino, questi uomini si trasformarono, divennero economici, senza vizi, senza alcool e senza delitti. L’emigrazione fu una disinfezione. La vita premuta dalle necessità urgenti fu per loro ’la grande maestra. E fu una disciplina della volontà. Se la rigenerazione di un popolo dipendente dalla ricostituì

zione della sua facoltà volitiva, gli emigranti ne sono un classico esempio. Anco la loro vita è,seminata di martiri oscuri ed gnorati, irrorata di sangue e di lagrime, una lotta contro le piccole tirannidi e le prepotenze. La storia loro, che è quella infine di una parte nobilissima della famiglia italiana, è una storia altamente interessante e drammatica e piena di ammaestramenti. Ma non per questo la loro marcia si arrestò e l’esercito restò sgominato. Altre falangi, altre schiere riempivano i vuoti e proseguirono avanti fino al successo. Quanti di quei poveretti, partiti anzi divelti dal loro nido,con la morte nel cuore, son diventati ricchi proprietari di terre, e direttori di fortunate aziende. Sono le vendette della fortuna:, ma è ancora un premio dovuto alla loro operosità ed al loro ardire. Spesso pei borghi agricoli, disseminati nelle plaghe immense dell’America del Sud, si celebra la festa non di questo o di quell’uomo politico, di’ questo o di quell’altro avvenimento mondano, ma in orhaggio ai più vecchi agricoltori, cioè agli uomini più arditi i quali furono esempio di lavoro onesto e fruttifero. Ora cominciano anco da noi ad essere compresi ed apprezzati. Forse col tempo si apprezzeranno meglio, e forse, a traverso del loro immane lavoro portato su lontane terre straniere, noi intenderemo meglio le virtù nascoste e fattive del nostro popolo meridionale, di quel popolo a cui, diceva il Villari, nessuno ha mai parlato al cuore, cioè con animo infiammato di carità e preoccupato delle sue strane vicende. Ma per giudicare per bene dei fatti; basta avvertire come quegli uomini siano stati capaci di spezzare la cerchia di ferro che li avvolgeva per soffocarli, e cercare altrove il pane e là libertà. E che meraviglia, se non occupandoci di essi, continueranno, ora che la via è stata aperta il loro esodo per lontane regioni? Libero Maioli. •

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