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investono e.premono la vita stessa, e che determinano l’emigrazione ora lenta ed ora rapida, ma sempre continua ed incessante.. Rintracciare non solo le cause prime di questo fenomeno storico ma proporre éd attuare i mezzi idonei per poterlo attenuare, avrebbe dovuto nei passati decenni, essere lo scopo dei giovani succedutisi in Italia. Ma pur troppo, se si ritorna con la memoria ai tempi andati, il Mezzogiorno fu considerato come la Beozia della penisola, come una terra quasi straniera al paese, non curata, disprezzata talvolta. Anco oggi, se si vuole punire un impiegato lo si confina in un borgo di montagna della Basilicata o della Calabria. Questi sentimenti furono certo noti laggiù, e determinarono nelle popolazioni agricole meridionali quel senso di disgusto e di sfiducia, mutato poi in rancore sordo non solo contro i governi, ma contro la terra natìa, rancore che sovente gli emigranti dalla tolda del bastimento che li portava lontano manifestavano mostrando i pugni, ed imprecando alla patria, che li aveva scacciati dal suo seno! Quella gente vissuta anni ed anni separata dal rimanente della Nazione, tagliata fuori dell’umano consorzio, non poteva nutrire affetto per una terra, ove aveva sofferta la fame, nè per il resto dei suoi ocenazionali, che non si erano curati mai della stia sorte e del suo destino. I salari minimi, le vessazioni dei padroni, le tirannidi del fisco, la perdita della casetta e del campicello, i rigori dell’inverno e dell’usura spietata, questi erano soltanto ricordi, il bagaglio delle memorie che li accompagnavano a traverso l’Oceano per terre ignorate. Lo Stato essi non l’avevano visto se non traverso la divisa del carabliere, o la citazione dell’agente delle tasse, e quindi era naturale, che la vita diventata supplizio, trovasse nell’emigrazione come una virtù liberatrice, e fu accettata con entusiasmo. Sono cose oramai note, ma è bene che si ripetano fino alla sazietà, acciò, se sia possibile, rest:no confitte come chiodi nella coscienza degli italiani. Innanzi ad uno spettacolo di dolore nessun cuore gentile può rimanree indifferente. Un popolo che si proclama civile, ha l’obbligo, anzitutto, d’interesiarsi della condizione dei suoi fratelli prossimi. Eppure di quella gente del Mezzogiorno, nessuno si è curato mai, perchè spesso attirati nel vortice delle questioni politiche, nella politica grande, noi dimentichiamo le questioni urgenti, le quali stanno a base della nostra vita economica e più della dignità nazionale, e somigliano a quei ’fanciulli, i quali, second6 la frase del Ros seau, ascoltano le parole, ma le idee non li penetrano. Eppure, bisogna che queste idee ci penetrino é si facciano sangue del nostro sangue, dimodochè il problema dell’emigrazione sia studiato ed amato; materia non solo d’intelletti vigili ed accorti, ma anco di cuore. Non faccio mio il detto del Say, che ogni emigrazione sig-nifita per la patria una battaglia perduta. Non voglio arrivare a questa che mi pare conclusione esagerata, ma voglio no tare soltanto, che se l’emigraiione ha il suo lato positivo di bene, ha ancora il suo negativo di male, al quale bisogna provvedere. Parlando del Mezzogiorno, si è fatta molta dottrina e molta critica. Io non nego il valore nè all’una nè all’altra, Però non so che farmene, se esse s’intrattengono soltanto a notomizzare il male ed a diagnosticarlo. Quello che invece importa, è l’opera assidua, seria, efficace per la riabilkazione del’Mezzogiorno, opera che fino al momento è un voto ed un desiderio; non altro. L’argomento è penoso. Non si parla, per esempio, anche tuttavia, del Mezzogiorno come di un’i/a/M barbara? La frase ha fatto fortuna, ha girato il mondo, con quel profitto che i meridionali sanno all’estero. I giornali, i comizi e tutta, la letteratura spicciola, che a certi dati momenti si affolla dietro un argomento che ha sembiante di novità, s’incaricarono di fare il resto. Cosicchè uomo del mezzogiorno (parlo, s’intende, delle basse classi sociali) significò, se non significa, uomo barbaro o poco meno. Ancora sarebbe il caso di ripetere la vecchia frase, quella di correre alla scoperta del Cilento, della Basilicata o,della Calabria. E difatti, per la mag-, gior parte degl’itaiani, queste regioni italiane sono’ ancora sconosciute come il Tibet o la Patagonia. non lo dico io, ma lo notava, tanti anni or sono, no nobile intelletto lombardo, Tullo Massarani, il quale non sapeva perdonare agli italiani il peccataccio di non essersi mai presa la cura di scivolare qui ver; so, il tallone d’Italia e di osservare, vedere, studiare le cose e gli uomini coi propri occhi e con la propria mente ed esporre poi con ’sincerità le loro osservazioni ed i loro studi. Ed invece di visitare la Norvegia o l’alta Russia,,’ Dublino o Copenaghen, forse, e senza forse, da tali viaggi-scoperta, avrebbero v:sto quanta ricchezza«naturale, ignorata per colpa degli uomini, va per’duta nelle provincie meridionali, e quante energie; e quanto ingegno vivido e potente, di cui era entusiasta il De Sanctis, muore laggiù, dissipato, traviato,, avvizzito con danno della Patria comune. Coloro che scrissero dell’Italia meridionale (tranne le pochissime onorevoli eccezioni) la conobbero" passando di corsa per la tisica linea Reggio - Eboli. Da queste corse improvvisate, in sintesi affrettata sommaria, hanno tratte le loro conclusioni, e subito hanno giudicato il popolo meridionale popolo in tardo, mezzo selvatico, superstizioso, ecc. La Cala’ bria, la Basilicata, il Cilento, gran parte della Sioilia furono studiate proprio così. Le nere montagne boscose della Sila, i monti rocciosi della Lucania non dicevano altro che le memorie di banditi famosi.: Molti, fino a tempo dietro, ripetwano rncora la ver chia leggenda del brigantaggio e dei a tromboni». Ed a furia di dirla e di ripeterla, non ostante i dinieghi e le continue proteste dei meridionali in Ita lia e fuori, qualcosa della brutta nomea restò attaccata a quelle popolazioni. Si parlava in nome della