Il buon cuore - Anno XII, n. 26 - 28 giugno 1913/Religione

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Vangelo della 7a domenica dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

Uscendo il Signore Gesù co’ suoi Discepoli da Gerico, andò dietro a lui una gran turba di popolo. Quand’ecco che due ciechi, i quali stavano a sedere ungo la strada, avendo udito dire che passava Gesù, alzaron la voce, dicendo: Signore, figliuolo di David, abbi pietà di noi. Ma il popolo li sgridava perchè tacessero. Eglino però più forte gridavano, dicendo: Signore, figliuol di Davide, abbi pietà di

noi. E Gesù soffermossi, li chiamò e disse loro: che volete ch’io vi faccia? Signore, risposero essi; che si aprano gli occhi nostri. E Gesù, mosso a compassione di essi, toccò i loro occhi: e subito videro e lo seguitarono. S. MATTEO, Cap. 20.

Pensieri. Nei due ciechi che -- trovatisi lungo la via per cui doveva passare Gesù — al suo apparire alzano la voce loro di preghiera, i Padri della Chiesa videro la figura della cecità nella quale gli uomini cadono — o meglio già si trovano — per amore delle cose del mondo e per una lunga permanenza nel peccato. Non raramente la condizione del malvagio, del peccatore è così grave che la luce della verità celeste non colpisce più la loro mente: le terribili prospettive di una morte cerca, di un giudizio rigoroso e di una tremenda punizione non riescono ad impressionarli menomamente, ed a ciò non valgono nemmeno le dottrine consolanti della redenzione, della misericordia divina e del premio futuro. Come i due ciechi vivono in una tenebre angosciosa anche sotto il diretto raggio del sole, stanchi, afflitti, sperduti finchè una occasione viene loro data di sperare, di impietosire con lunghi gemiti, lamenti il viandante. Si scuotono solo perchè s’avvicina Gesù, di cui hanno sentito dire prodigi e cose affatto straordinarie, e di mezzo alla turba che — importunata grida e impone a quei miseri di tacere, essi sperano, credono ed alzano la voce della preghiera. Il mondo soffoca i lamenti del dolore, nasconde le piaghe materiali e morali d’una vita sgraziata, segrega gli infelici in ricoveri perchè la loro vista non importuni i gaudenti, gli sfaccendati, i felici della vita... Oh! questa egoistica filantropia non giova! a lor che cercan luce avrebbero dato un pane, ma sarebbero pur sempre rimasti ciechi. Ai ciechi dello spirito, che desiderano luce, luce all’anima, il mondo dà la luce dell’oro, la luce del piacere, una certa luce che dietro a sè lascia e projetta una più densa, una più folta ed invincibile densità.

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Non così Gesù. Non è disturbato da quel gridar pietoso. A lui, che in viaggio, sta istruendo la folla non rincresce di sospendere il proprio impegno di istruire, e... si china verso quegli sgraziati chiedendo loro che essi vogliono mai. Gesù lo sapeva il loro desiderio, ma vuole che la luce sia cercata, desiderata con forza, con desiderio, con ardore. La luce dell’anima è tale dono che deve essere perseguito con sacrificio..., è l’oro purissimo che deve strapparsi dal segreto, dall’intimo del sasso, dal profondo del fiume. E quei ciechi altro non cercano: Fa, o Signore, che i nostri occhi si aprano! La grande, commovente preghiera di quell’anime buone! Quanto più [p. 204 modifica]ammirevole questa supplica, più assai della costanza dell’animo nell’opporsi alla turba! crúanto più cara’perchè insistente, quanto più nobile perché chiede degnissime cose! E Gesù dà la sua grazia, compiendo nell’ordine della natura tale. miracolo da reggere al suo confronto solo il miracolo della conversione d’un peccatore.

Ma a quali condizioni? Sono evidenti. Opporsi al mondo: vincere ambiente, rispetto umano, e porre — con magnanimità — ove l’occorra sotto i piedi anche le stesse convenienze sociali. Se avessero ascoltato i più, le turbe, quei ciechi avrebbero udito Gesù, il suo passaggio, forse sperato e... nulla più. Occorre pregare, occorre alzare la voce: fiducia in primo luogo, perseveranza di poi; insistere finché rimaniamo- esauditi. Occorre chiedere, adoperarsi per avere la luce. Solo per la coltura religiosa, solo per i problemi dell’anima bastano le semplici risposte del catechismo, quelle poche prediche, qualche conferenza? Quante volte mentre dal volgo ci si distingue per l’abito più scelto e fine, per una mensa più accurata e squisita, quante — se non il più -- col volgo abbiamo comune, indurito, uguale — se non inferiore — la mente ed il cuore. Gridiamo a Cristo la preghiera dei ciechi. B. R..

ITALICA GENS

Gli infortuni sul lavoro fra i nostri emigrati Continuazione del numero precedente

Il principio che serve di base in questa materia nella legislazione operaia europea, cioè quello di addebitare gran parte delle conseguenze materiali dell’infortunio all’industria, è già contenuto, è vero, nella legge di qualche Stato della Federazione: ma in altri Stati leggi simili furono dichiarate incostituzionali, e in quasi tutti poi esse sono ad ogni modo feconde di controversie per la loro applicazione in favore dei nostri emigranti: si discute se l’infortunato è straniero e nazionalizzato, se è rimpatriato o stabilito negli Stati Uniti; e, almeno fino a questi ultiMissimi giorni, la concessione de risarcimenti era subordinata, come vedremo fra poco, alla residenza dei parenti eredi, nel territorio della Confederazione.

Ai danni dell’infortunio, dove vien meno la legge, gli operai americani provvedono colle loro potenti organizzazioni: queste hanno creato e mantengono floride numerose casse di assicurazioni nazionali e locali da loro amministrate (i). A dar una idea della vitalità di questi istituti di previdenza operaia basti il sapere che solamente nel 1907 le somme pagate per i diversi casi di assicurazione dalle casse delle leghe operaie, ammontarono a otto milioni di dollari circa. Un numero molto esiguo dei nostri emigranti può godere dei vantaggi delle Unioni operaie Americane; noi già sappiamo, per averci tante volte insistito, quali difficoltà trovino i nostri operai, anche quelli specializzati, ad essere ammessi in queste organizzazioni che fanno capo alla Federazione Americana del Lavoro. Comunque, alla insufficienza della legge nei casi d’infortunio, alla mancata tutela delle organizzazioni operaie, si aggiungano altri gravi inconvenienti pei nostri emigrati, derivanti dall’ignoranza della lingua, dall’isolamento, dai giudizi lunghi e costosi dalla connivenza e anche dalla corruzione delle autorità giudiziarie americane. Noi sappiamo già in quale iperbolica considerazione sonò tenuti gli italiani dagli americani del Nord: sono essi che loro hanno affidato il soprannome di dagos, sono essi a credere all’onnipotenza di una fantastica mano nera. Figuriamoci che serenità di giudizio devono avere, quando si trovano a dare il loro verdetto nelle cause in cui italiani sono gli attori o i convenuti! Non sono mancati casi di patente violazione dei trattati e dei principii di diritto e di equità. Tutti questi inciampi e questi pericoli della procedura, cui devono aggiungersi le sciagure degli avvocati incontentabili, che vanno a braccetto coi banchisti, non consigliano certo i nostri operai colpiti da infortunio o i loro eredi, di valersi di quel pochissimo che la legge americana accorda in questa materia. C’è un solo vantaggio per il lavoratore straniero che può ispirargli una qualche fiducia. Mentre l’acquisto della cittadinanza americana per parte dell’immigrato gli permette di adire, se egli rimane colpito da infortuni, solamente i tribunali statali; se l’operaio immigrato invece conserva ancora la cittadinanza del luogo d’origine, egli avrà diritto di adire i tribunali federali che, a differenza degli statali, danno maggiori garanzie di impar(t) Vedasi l’interessante rassegna delle varie forme della mutualità operaia americana nel dotto articolo di G. Rocca: Come si provvede alla assicureqione operaia negli Stati Uniti d’America nella ’ Riforma Sociale, del dicembre 1911. [p. 205 modifica]zialità, anche pel fatto che essi risentono più la influenza dei rapporti internazionali. Magro compenso questo però sul piatto della bilancia, quando sull’altro premono tanti e così contrari pesi! Gli uffici legali presso i Consolati Tutte le ragioni su accennate, insieme concorrenti, erano venute creando fino ad alcuni anni fa una condizione assolutamente intollerabile, per cui ai nostri lavoratori ed alle loro famiglie veniva ad essere negato qualsiasi risarcimento, anche nel caso che?e leggi americane, pur così manchevoli sotto questo riguardo avessero concesso qualche diritto ad ottenerlo. Per provvedere a questo stato di cose si sono appunto costituiti presso i principali Consolati gli uffici legali che sono specie di avvocature dei poveri che provvedono a quell’assistenza legale a cui accennavano in principio di questo articolo, e sulla cui necessità ed urgenza abbiamo voluto intrattenerci alquanto., Ora questi uffici legali funzionano regolarmente presso i più importanti Consolati, come New York, Filadelfia, Chicago, Denver, San Francisco; recentemente gli uffici legali sono stati collegati fra diloro mediante un ufficio di consulenza legale istituito presso la R. Ambasciata di Washington. Ad essi sono affidati specialmente le liquidazioni di successioni e di indennità per infortuni sul lavoro, l’incasso di salarii in caso di controversia, la tutela degli interessi di coloro che hanno depositi presso banche fallite, ricupero di somme trattenute illegalmente ecc. Dopo aver istruito la questione per proprio conto, l’ufficio legale cerca di ottenere la soluzione mediante accordi amichevoli ed equi per il lavoratore nostro. In caso contrario ricorre ai procedimenti legali. Per riguardo al loro funzionamento due sono i tipi di uffici da noi adottati: il sistema dell’Investigation Bureau di New York, in cui gli atti propriament, giudiziari sono af fidati di volta in volta ad avvocati locali, non dipendenti dall’ufficio legale, che si incaricano loro di sostenere la causa nei tribunali; e il sistema del Legal Bureau di Filadelfia, diretto da un avvocato locale che non solo si occupa dell’istruzione delle cause, ma anche della loro trattazione giudiziaria. Le Convenzioni Internazionali Particolarmente interessante per il tema che stiamo trattando è il conoscere la posizione dell’emigra to nostro rispetto a’le assicurazioni sociali del paese in cui emigra, la quale non è dalle varie legislazioni regolata in modo uniforme. Alcuni Stati adottano in tale materia il principio dell’uguaglianza di trattamento fra nazionali e stranieri, altri invece escludono totalmente o parzialmente l’immigrato lavoratore dai benefici dell’assicurazione, come molti degli Stati della Confederazione Nord-America. Altri poi si riservano la facoltà di derogare alle norme di esclusione, mediante trattati stipulati sulla base della reciprocità. Nei paesi europei, più progrediti in materia di legislazione sociale, ha avuto benefiche conseguenze per la nostra emigrazione il diritto convenzionale basti accennare al trattato di lavoro con la Francia dell’aprile 1904., alla convenzione con l’Ungheria del settembre igog, e a quella recente con la Germania che mirò appunto a ottenere nei riguardi delle assicurazioni sociali, disposizioni favorevoli agli operai tedeschi in Italia; l’Italia e la Germania, con la suddetta convenzione, si sono ispirate ai deliberati del Congr’esso di Basilea; la legge da applicare è quella del luogo dell’impresa. Di più, sempre negli Stati continentali, intendono a garentire un equo trattamento ai nostri emigrati, per ciò che concerne i loro rapporti di lavoro nei paesi d’immigrazione, le iniziative delle organizzazioni sindacali: accenneremo più innanzi ai trattati stretti tra le organizzazioni degli addetti alle arti edilizie dei diversi Stati europei. Tanto le convenzioni pubbliche quando le intese internazionali ira le diverse organizzazioni sindacali di mestiere trovano la loro pratica giustificazione nello scambio di mano d’opera tra le diverese nazioni. L’Italia è ancora ben lontana dal toccare il pareggio tra l’esportazione e la importazione negli scambi internazionali tra’ lavoratori, dando essa smisuratamente più che non riceva,,ma ad ogni modo può e deve esigere dagli Stati dove si recano i nostri emigrati, che essi siano equiparati nel trattamento -gli operai del luogo e invece escludere, per, ritorsione, dai benefizi della nostra legislazione operaia i cittadini di quegli Stati che facciano agli italiani una condizione meno fàvorevole di quella fatta ai connazionali. Cogli Stati Americani invece è per ora ossia meno facile addivenire a convenzionali in tal materia: e questo non solo perchè non e la mano d’opera americana che viene a offrire le sue braccia in Italia e quindi dia luogo alla su menzionata reciprocità di trattamento, ma perchè essenzialmente la legislazio [p. 206 modifica]ne degli Stati Americani in questa materia, e specialmente in quella di assicurazioni operaie, è ancora negli incunabuli, ed e quindi spesso difficile trovare la base comune su cui iniziare trattative. Quanto poi alla mancanza di intese fra le grandi organizzazioni operaie degli Stati Americani e di quelli Europei che presentano, pure tanta garanzia per un equo trattamento degli operai emigrati da una nazione all’altra in Europa, essa si spiega sopratutto col fatto che potenti unioni operaie negli Stati industriali americani sono contrarie all’afflusso della mano d’opera straniera, e favorevoli anzi ad ulteriori restrizioni per limitare la concorrenza alla mano d’opera indigena. La recente Convenzione cogli Stati Uniti Per altro un fatto nuovo, una recente importante convenzione stipulata fra l’Italia e gli Stati Uniti, viene ad accennare a un indirizzo più felice nella legislazione sociale di quegli Stati e la possibilità di dar sviluppo ad utilissime reciproche intese in questo campo. Proprio mentre stiamo scrivendo queste nostre osservazioni sul trattamento fatto ai nostri emigrati in rapporto specialmente agli infortuni sul lavoro, il telegrafo ci segnala da Washington che è stata firmata il 21 febbraio fra gli Stati Uniti e l’Italia la convenzione che assicura il diritto degli eredi dei lavoratori italiani, ad ottenere tin indennizzo anche se essi eredi non risiedono negli Stati Uniti. E’ noto che fino ad ora anche quel poco che la legge americana accorda in materia di infortunio ai nostri emigrati, dava luogo a numerose controversie; e una delle principali questioni era appunto quella fatta a proposito degli eredi residenti e non residenti negli Stati della Confederazione. Ora resta colli convenzione su accennata, risolta nel modo più soddisfacente per noi, questa vertenza che trasse origine da un giudicato della suprema Corte Fr • derale di Washington in data 5 aprile 1909 nel noto caso Maiorano. Nel dicembre 1903 l’emigrato Carmine Maiorano cadeva vittima di un infortunio ferroviario in Pensylvania. La vedova del defunto che si trovava allora in Italia intentò causa contro la Società Ferroviaria responsabile, per ottenere un’indennità, anche a nome dei suoi figli minorenni. Ma due tribunali di quello Stato, l’uno di prima e l’altro di seconda istanza, ebbero rispettivamente a dichiarare e a confermare che la legge vigente nello Stato circa

la responsabilità civile non era applicabile nel caso Maiorano; perché la vedova era straniera e non residente negli Stati Uniti. Di fronte a un simile giudicato che stabiliva una così grande disparità di trattamento tra i cittadini dei due paesi, coll’aiuto della R. Ambasciata di Washington, gli interessati ricorsero alla suprema Corte Federale, la quale confermò la sentenza nell’aprile 1909. Ognuno vede quanto erano Precarie dopo questo responso le condizioni dei nostri emigrati: essi, adibiti ai lavori più pericolosi, davano un contingente numeroso al numero degli infortunati: la massima parte di essi poi avevano le famiglie residenti in Italia. Le imprese industra1 dello Stato di Pennsylvania fecero tesoro della sentenza della Corte Suprema, per invocarne in ogni caso un prezioso precedente e si rifiutarono perfino di venire ad accordi amichevoli coi rappresentanti degli eredi assenti di italiani, vittime di infortunio. Negli altri Stati poi, quantunque non vi fosse stato alcun rumoroso percedente, le condizioni degli eredi delle vittime d’infortunio non erano tanto diverse. Il Villari nel suo libro riferisce a proposito un sincero e significativo giudizio di un capo dei giurati in una causa per infortunio. Questi parlando con un notabile italiano di Pittsburg ebbe a dichiarare: — Credete voi che noi condanniamo delle grandi imprese americane, che danno lavoro e pane a migliaia di operai in America, a sborsare forti indennità a favore di famiglie che vivono in Italia? Neanche per sogno. Altri rimedi La convenzione del 26 febbraio non definisce che una questione che tutti già appariva meritevole di quella soluzione; quello che viene affermato è un principio di umanità e di giustizia, già sancito da parecchi anni in ogni altro Stato. La istituzione degli uffici legali presso i principali Consolati ed anche la recentissima convenzione cogli Stati Uniti di cui sopra abbiamo parlato, portano un effettivo miglioramento delle condizioni. Ma questo non è che un inizio: altro deve richiedere l’Italia dai paesi d’immigrazione mediante regolari trattati di lavoro con quei paesi che direttamente o indirettamente ci fanno invito di contribuire allo sviluppo delle loro terre o mediante apposite clausole a trattati commerciali con gli altri paesi. Pur ieri il ministro Nitti diceva a questo riguardo che sarà sua intenzione, stringendo i trattati di [p. 207 modifica]commercio con altre nazioni, di contemplare anche gli scambi della merce uomini. Certo non ci lusinghiamo di ottener molto di più• ora dai paesi come gli Stati Uniti, che ad ogni momento minacciano restrizioni alla nostra immigrazione e, pur sfruttandola del loro meglio, ostentano dì ridi ricercarla, ma all’iniziativa ai pubblici poteri deve sottentrare l’iniziativa privata. Un compito all’azione dei privati sarebbe appunto quello di preparare la solidarietà del proletariato nord-americano in favore dei nostri immigrati. Già altre volte dimostrammo che il movimento operaio indigeno è il solo vero arbitro del mercato del lavoro negli Stati Uniti, ed è il solo efficace tutelatore dell’operaio in un paese dove tutto concorrerebbe a sfruttarlo in modo inumano. Gli accordi internazionali tra le grandi organizzazioni operaie hanno fatto molto nei paesi continentali: citiamo, per esempio, l’organizzazione internazionale edile. Prima che essa si costituisse in quei paesi d’Europa, dove emigrano per ogni stagione i nostri operai muratori, manovali e sterratori, loro accadeva ciò che accade attualmente negli Stati Uniti. — Essi capitavano all’estero, ci affermava recentemente l’on. Felice Quaglino, il segretario generale della Federazione edilizia italiana, e non avevano alcun punto di contatto coi colleghi indigeni. Solidarietà era per essi una parola scono sciuta. Le conseguenze di tanta ignoranza erano che ad ogni scoppiare di sciopero gl’italiani fossero gli strumenti passivi degl’imprenditori, contribuendo inconsciamente alle sconfitte degli operai tedeschi. I tedeschi intrapresero per i primi un’azione di difesa, fondando un giornale in lingua italiana esclusivamente per i nostri emigranti. Nel 1902 comìnciammo e poi proseguimmo ogni inverno a visitare i paesi d’origine degli emigranti e a fare una intensa propaganda contro il crumiraggio, per la solidarietà internazionale e per l’organizzazione. Il lavoro tu difficile, ma oggi possiamo dire con soddisfazione che l’emigrazione italiana non costituisce più un pericolo per i nostri compagni dell’estero. Parecchie migliaia d’italiani sono organizzati nelle Leghe tedesche; gli altri se anche si tengono appartati, non si prestano più generalmente, a fare i crumiri. Il loro contegno durante la grande serrata edilizia di quest’anno in Germania n’è la prova evidente. Ancora un paio d’anni di lavoro assiduo e dopo — speriamolo almeno — non vi sarà più ragione alcuna di lamentarsi. Le Federazione Americana del Lavoro dissente

ancora troppo da questi intendimenti. Samuele Gompers, suo presidente, venne in Italia non per iniziare trattative con le nostre. Leghe, ma per cercare di dissuadere la nostra emigrazione dal recarsi negli Stati Uniti. Tuttavia anche negli Stati Uniti si incomincia a comprendere la nuova necessità. L’eSempio è venuto dal Massachussets, dove molti nostri operai, stretti in società d’indole nazionale, si sono federati alle Unioni americane del Lavoro, ritraendo da queste adesione tutte le migliori agevolazioni, e prima di tutte quella di una potente difesa dei loro interessi professionali. EUGENIO BERNARDELLI.