Pagina:Il buon cuore - Anno XII, n. 26 - 28 giugno 1913.pdf/3


IL BUON CUORE 203


contrapposto al nominalismo. L’Acri è l’ultimo continuatore originale del Platonismo italiano. Egli lascia orma durevole nella filosofia; e quest’orma sarebbe più profonda, se i suoi scritti, frutto di una fervida mente disciplinata dal rigore dialettico, non fossero sgraziatamente incompiuti e frammentari, e se egli avesse seguito un indirizzo più risolutamente razionalistico e più conforme alla pura speculazione. Sebbene egli non assuma il dogma come elemento positivo nella sua speculazione tuttavia si studia di non mai sconfessare la tradizione cristiana, e profondo conoscitore della filosofia antica, medioevale, moderna, si accosta, con una critica ragionata, a quelle dottrine che meglio si conciliano con le sue credenza religiose. Buona, dice l’Acri, la filosofia, perciocchè ella è amore della sapienza, e la sapienza è Dio. Ma la filosofia qual’è concepita dalla mente degli uomini, ora è buona ora è mala, e però il suo insegnamento ora è desiderabile, e ora è abominevole, secondochè in quella è l’amore a Dio, o vero l’odio a Dio. Ogni filosofia offende e difende la religione. La filosofia, ch’è regno di Eolo, spelonca dei vinti, se non c’è un Nettuno che regoli, meglio è che stia chiusa. Se mai si riduca alla storia sua e alla esposizione dei testi di Platone e di Aristotile: piuttosto niente, che la filosofia laica, perchè ella annoia, attrista, mette inquietudini, dubbi in coloro che la odono, e fa, a coloro che la ricevono, insopportabile la vita e sconfortata la morte. Ogni scienza è cotesto: coscienza d’infinita ignoranza. Il savio sente la vanità e la noia della scienza, sente il bisogno e il desiderio di quella cotale ignoranza, per la quale, così dice Dante, si diviene cittadini del verace regno. Quando la speculazione filosofica più non lo soddisfa, l’Acri adunque cessa di essere filosofo, e non si sente più altro che cristiano. G. M. FERRARI. ordinario di pedagogia nella R. Università di Bologna.

Religione


Vangelo della 7a domenica dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

Uscendo il Signore Gesù co’ suoi Discepoli da Gerico, andò dietro a lui una gran turba di popolo. Quand’ecco che due ciechi, i quali stavano a sedere ungo la strada, avendo udito dire che passava Gesù, alzaron la voce, dicendo: Signore, figliuolo di David, abbi pietà di noi. Ma il popolo li sgridava perchè tacessero. Eglino però più forte gridavano, dicendo: Signore, figliuol di Davide, abbi pietà di

noi. E Gesù soffermossi, li chiamò e disse loro: che volete ch’io vi faccia? Signore, risposero essi; che si aprano gli occhi nostri. E Gesù, mosso a compassione di essi, toccò i loro occhi: e subito videro e lo seguitarono. S. MATTEO, Cap. 20.

Pensieri. Nei due ciechi che -- trovatisi lungo la via per cui doveva passare Gesù — al suo apparire alzano la voce loro di preghiera, i Padri della Chiesa videro la figura della cecità nella quale gli uomini cadono — o meglio già si trovano — per amore delle cose del mondo e per una lunga permanenza nel peccato. Non raramente la condizione del malvagio, del peccatore è così grave che la luce della verità celeste non colpisce più la loro mente: le terribili prospettive di una morte cerca, di un giudizio rigoroso e di una tremenda punizione non riescono ad impressionarli menomamente, ed a ciò non valgono nemmeno le dottrine consolanti della redenzione, della misericordia divina e del premio futuro. Come i due ciechi vivono in una tenebre angosciosa anche sotto il diretto raggio del sole, stanchi, afflitti, sperduti finchè una occasione viene loro data di sperare, di impietosire con lunghi gemiti, lamenti il viandante. Si scuotono solo perchè s’avvicina Gesù, di cui hanno sentito dire prodigi e cose affatto straordinarie, e di mezzo alla turba che — importunata grida e impone a quei miseri di tacere, essi sperano, credono ed alzano la voce della preghiera. Il mondo soffoca i lamenti del dolore, nasconde le piaghe materiali e morali d’una vita sgraziata, segrega gli infelici in ricoveri perchè la loro vista non importuni i gaudenti, gli sfaccendati, i felici della vita... Oh! questa egoistica filantropia non giova! a lor che cercan luce avrebbero dato un pane, ma sarebbero pur sempre rimasti ciechi. Ai ciechi dello spirito, che desiderano luce, luce all’anima, il mondo dà la luce dell’oro, la luce del piacere, una certa luce che dietro a sè lascia e projetta una più densa, una più folta ed invincibile densità.

  • • •

Non così Gesù. Non è disturbato da quel gridar pietoso. A lui, che in viaggio, sta istruendo la folla non rincresce di sospendere il proprio impegno di istruire, e... si china verso quegli sgraziati chiedendo loro che essi vogliono mai. Gesù lo sapeva il loro desiderio, ma vuole che la luce sia cercata, desiderata con forza, con desiderio, con ardore. La luce dell’anima è tale dono che deve essere perseguito con sacrificio..., è l’oro purissimo che deve strapparsi dal segreto, dall’intimo del sasso, dal profondo del fiume. E quei ciechi altro non cercano: Fa, o Signore, che i nostri occhi si aprano! La grande, commovente preghiera di quell’anime buone! Quanto più