Il buon cuore - Anno XII, n. 08 - 22 febbraio 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 08 - 22 febbraio 1913 Religione

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LA CITTÀ DELLE FONTANE


NORIMBERGA



Appena giunto a Norimberga mi son messo subito a cercare con un’ansia un po’ ridicola quel mondo fantastico che mi ero creato nella mente: una città di giocattoli, Non ho trovato invece che poche botteghe su per giù identiche nel loro contenuto alle nostre d’Italia: ma la delusione mi è subito passata e dinanzi a questa città che conserva ancora l’impronta dei secoli, i giocattoli sono scesi spaventosamente nella mia stima. Norimberga se è bella e se piace lo deve ai suoi abitanti, scrupolosi conservatori dell’antico. Questa città possiede ancora le sue belle mura massiccie, le ’sue case in stile gotico, i suoi’ canali che l’attraversano in tutti i sensi con un’acqua calma e verdastra che sembra stanca di rispecchiare da tanti secoli il solito quadro mediovale.

Le mura che si parano per prime dinanzi al viaggiatore che esce dalla stazione, hanno un passato illustre; la casa Hohenzollern, antica padrona di Norimberga spinse invano, fiera di presunti diritti, le milizie mercenarie all’assalto del Burg: i buoni bastioni ed il cuore ardente di libertà dei norimberghesi seppero resistere ai principi spodestati e Norimberga mantenne sempre la propria indipendenza. Ora le mura hanno un aspetto tranquillo di buoni vecchi addormentati ed i gerani che fioriscono alle piccole caratteristiche finestre delle casematte, picchiettano di un rosso vivo il rosso sbiadito dei mattoni millenari; il fossato vuoto ormai d’acqua ospita graziosi giardini, cari ai bimbi di Norimberga che qui trovano i campi riservati ai loro giuochi.

Ma se la fossa non è ora un vecchio baluardo in pensione ha pur sempre assieme alle mura, un significato di difesa; sul suo orlo esterno termina infatti la vita moderna; perchè se Norimberga vecchia esiste ancora, pure è sorta coi suoi’ comignoli e coi suoi immensi edifici, un’altra Norimberga modernissiina che cinge tutt’attorno là città medioevale. Ed è ’precisamente qui, che si fabbricano i gitiocatioli; in modo oserei dire prosaico e che forse spoetizzerebbe qualche testolina infantile che trastullandosi coi pupi e coi cavallini di legno, pensa riconoscente ad una piccola mano femminile o all’opera paziente di un vecchio. E’ il progresso invece che ora crea in poche ore eserciti interi e migliaia di bambole parlanti, ed è passato il tempo nel quale ogni abitante della antica cittadina era un piccolo industriale in giocattoli: l’unica industria che ancora rimane e che fa vivere molte famiglie è quella della colorazione dei soldatini di piombo perchè è il solo lavoro che non possa essere compiuto dalle macchine.

Ma le grandi fabbriche di giocattoli non possono interessare chi abbia un po’ di amore per l’arte; passiamo veloci uno dei tanti ponti levatoi e lasciamoci annoiati dietro alle spalle l’eterna città di lavoro. Entriamo così nel regno della pace, perchè realmente in Norimberga vecchia non sembra che si lavori, ma che si donna o per lo meno che si contempli; certe stradicciole che si arrampicano sulla collina più alta della città e che sono ancora pavimentate rozzamente, tutte a fosse e fossetti, fanno pensare ad un villaggio di montagna spopolato: un villaggio dove una colonia di asceti esca la notte a pregare sul Burg dei Graf e che di giorno stia ritirata a meditare sui libri sacri. Son salito anch’io lassù e dal muraglione immenso ho intravisto sotto di me la città velata da una nebbia leggera leggera; qua e là qualche campanile e qualche torre lanciava fuori dalla cortina di vapore la sua guglia aguzza ricoperta da certe tegole nere e turchine che brillano al sole come smalti: [p. 58 modifica]questa nebbia che sempre, alla mattina anche nell’estate, copre la città e l’immenso piano dei campi, è una caratteristica di questa. parte della Baviera; e Norimberga è più bella velata così, assume un’aria più calma che si confà pittorescamente al suo carattere di città antica. Ho attraversato il Burg dei Graf per sentieri incassati fra case costruite a grossi blocchi di pietra e passando per brevi gallerie oscure son sbucato sulla spianata dove sorge la Torre dei Tormenti. Mi son guardato attorno e nella mattina grigia di nebbia, sotto quel cielo che gocciolava una pioggia umida e fine, mi son sentito un brivido nell’ossa e m’è parso di veder irrompere nella piazza raitri maestosi che in lunga teoria accompagnassero il condannato al supplizio... Sono entrato nella torre: una vecchietta dall’aria mesta e rassegnata mi accompagnava nelle sale deserte in quelle prime ore del giorno, facendomi la descrizione dei soliti supplizi su sedie di ferro, su letti flagellatori e via dicendo; ma qualche cosa di nuovo e di spaventoso mi attendeva al piano superiore: in una piccola stanza nuda e rischiarata da un lumignolo ad olio, una strana rozza statua di ferro raffigurante una fanciulla dall’aspetto di una deità pagana si rizzava, alta quasi due metri, nel mezzo del pavimento; leggermente, senza rumore, la vecchia apri con una maniglia invisibile quel mostro di metallo che il popolo chiama la Vergine di ferro; all’interno mi apparve una nicchia punteggiata da lunghissimi chiodi acuminati... Pensai ai disgraziati che avevano avuto a tormento ed a sarcofago insieme quelli terribile statua e corsi fuori all’aria a cercare la città dei Diirer, dei Peter Ficher, degli Hans Sachs, dei Veit Stoss e di tutti quei grandi a cui Norimberga, fiera dei suoi uomini illustri ha dedicato ovunque lapidi e monumenti. Norimberga si potrebbe chiamare la città del gotico e delle fontane. Chi non ha sentito parlare della graziosa fontana delle oche? Il piccolo uomo di bronzo coi due bipedi che lanciano acqua dai bec-chi, uno per braccio, ha sempre l’omaggio di ogni forestiero e dalla sua tonda faccia barbuta spira un non so che di furbo e di burlesco che sembra una canzonatura a quella vostra visita immancabile. Ed è pure una magnifica fontana, posta in Frauenchich Platz, che ha il vanto di essere giudicata una dei più belli esemplari di puro stile gotico di Europa. Tutta in pietra dorata rassomiglia ad un cono finamente scolpito a piccole guglie ed adorne di minuscole statue. I norimberghesi la chiamano «der schòne Brzinne» la bella fontana, riassumendo in un solo aggettivo l’ammirazione che questo monumento d’arte universalmente riscuote. Il palazzo del Comune, tutto fiorito alle finestre, è in pretto stile della rinascenza italiana; m’ha fatto ricordare che Norimberga è stata parecchi secoli addietro in grandi rapporti commerciali con Venezia e quando, nel «Gerrnanicum Museum», mi soffermai ad ammirare una magnifica Madonna, che non ha impresso sul suo buon legno di noce il nome di chi

l’ha scolpita e che, nel profilo fine e dall’espressione dolcissima, mi è sembrata una Madonna del Reni, ho pensato alla bottega di un intagliatore veneto che fosse rimasto ignoto per non essere stato apprezzato ai tempi suoi. Dalla sala che accoglie la statua della Vergine Madre si passa tosto in una visione di guerra e di battaglie antiche: allineate su parecchie file cento e più corazze fmamente cesellate e portanti ancora impressi i segni dei colpi ricevuti, guardano stupite, dalle visiere calate, l’uomo dell’età nuova che passa fra loro. ricordi di tempi remoti: uno sguardo al Baedeker e posso sapere che questa collezione è una delle più ricche del mondo. Ma il «Germarricum Museum» se mi interessò per l’accozzaglia di oggetti comuni ed artistici che vanno dall’età della pietra ai primi tempi della rinascenza, mi parve cosa ben fredda quando mi trovai a passeggiare sulle mura che stavano ancor là dove erano state costruite, dove Diirer (il gran Diirer che fa rimanere estatici dinanzi alle sue teste di vecchio e alle sue figure di apostoli) divenuto per l’occasione stratega ed architetto, aveva tracciato il solco e de, finito il vallo. E nella pace grande dell’ora vespertina tra l ombre che scendevan veloci mi parve di udire il ritornello musicale dell’antico guardiano di Norimberga, che girando per le strade con una lampada in mano e con uno strano, lungo bastone dal manico ricurvo, diceva l’ora ed augurava la pace a’ suoi concittadini. Cittadini di Norimberga! Dormite tranquilli Sono le dieci ore... Ma di colpo una luce biancastra avvolse me e le mura... Mi scossi dal sogno e guardai il raggio che spaziava intorno illuminando case e foreste sparse per la campagna: era una grande fabbrica di riflettori che provava i suoi apparecchi versando fasci di luce sul piano e sulla città che andava lontanamente velandosi di nebbia; un sibilo acuto, uno sbuffare ansante di macchine, ed ecco il treno sotto di me, a pochi passi dalle mura che mi richiama esso pure alla realtà: mi sovvenni di un altro sibilo che circa tre quarti di secolo or sono qui in Norimberga annunciava la partenza trionfale del primo treno nel continente europeo... E mi cacciai veloce tra quelle stradicciole montanare dove non potesse giungere l’occhio vigile d’un riflettore o il fischio d’una macchina moderna. ZENO VERGA.

FEDERICO OZANAM Si avvicina il centenario della nascita di un uomo, il quale, per le doti della mente e del cuore, per l’attitudine speciale allo studio delle più severe discipline, per l’inclinazione pietosa verso i bisogno [p. 59 modifica]si di soccorso e per la straordinaria ed efficace attività, fu’ tra i più grandi e illuminati benefattori. E’ Federico Ozanam, il quale, nato in Milano il 23 aprile 1813 nella casa di via S. Pietro all’Orto col n. i6, fu poi sempre riguardato, malgrado il suo grande amore all’Italia, come figlio della Francia. La nascita del grande milanese è ricordata con una lapide sulla facciata della casa famosa e più efficacemente nella Basilica di S. Carlo, dove si legge una epigrafe dettata dal Padre scolopio Mauro Ricci, che ricorda il battesimo dell’Ozanam, avvenuto là dove fu la Chiesa di S. Maria dei Servi, accennata nei Promessi Sposi, e segnala l’illustre nostro concittadino come fondatore delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli, come professore insigne, come apostolo della gioventù nelle università di Francia, come amantissimo dell’Italia e delle sue glorie. Federico Ozanam, cresciuto alla scuola e all’esempio di genitori incomparabili, fu non solo uno studioso appro.fonditore della verità in tutti i rami dello scibile umano, ma fu altresì un altruista superiore a qualsiasi filantropo, e collo slancio di una anima votata ad una grande missione, asservì tutto sè stesso specialmente ai giovani, ai soldati, agli infermi, agl’indigenti e a tutti gli sventurati.. Il bambino che fece udire i suoi primi vagiti nella casa di via S. Pietro all’Orto, divenne professore alla Sorbona in sostituzione di Fauriel. Era già divenuto popolare come studente, perchè natura l’aveva meravigliosamente dotato, e l’ambiente famigliare lo aveva reso affettuoso, simpatico, ardente, modesto, gioviale e serio al tempo stesso, senza odio per nessùno, franco sostenitore delle sue convinzioni. Nell’uomo, coll’ingegno poderoso e colla mirabile dignità della coscienza, si rivelò una tenacia di volontà che non ammetteva ostacoli. E divenne un educatore ispirato ai più alti ideali, un oratore dalla parola affascinante, uno scrittore ed un apostolo tale da lasciare opere indistruttibili. Una grande carità si rivelava anche dalla forma dei suoi discorsi o scritti polemici: non era mai aggressivo, tanto è vero che verso il tramonto della sua breve ma laboriosissima vita, potè scrivere: «Una delle mie più dolci consolazioni è là certezza di non a- ver mai insultato, nè irritato alcuno, pur difendendo la verità con energia». Ma più ancora che cogli scritti, l’Ozanam rispose alla questione sociale con una istituzione grandiosa, che caratterizzò la sua epoca più del socialismo. Fu appunto l’opera divenuta mondiale col nome di Conferenze di San Vincenzo. E precisamente parlando di bene sociale e di riforme benefiche, il grande italiano diceva: «Bisogna salire alle stamberghe del povero, sedere al suo capezzale, soffrire il suo medesimo freddo, penetrare nel segreto del suo cuore desolato e della sua coscienza agitata. Quando si è studiato il povero nella sua persona, alla scuola, all’ospedale, all’officina, nelle città,

nelle campagne, in tutte le condizioni in cui Dio l’ha posto, allora solamente, muniti di tutti gli elementi, si comincia a comprendere il formidabile problema e si può pensare a risolverlo D. La grande bontà, la sincerità dell’Ozanam e il suo immenso amore all’umanità lo fecero ammirare ed amare da uomini insigni, appartenenti a scuole diverse. All’indomani della di lui morte, Lacordaire scriveva: a Ho veduto k,ochi uomini del nostro tempo, la cui morte abbia destato in ogni parte così sincero e universale rimpianto». Ernesto Rénan, che fu suo discepolo alla Sorbona, fatto adulto, mirando con occhio pacato la grande figura di quell’educatore, esclamava: a Ozanam! Oh, quanto lo amavamo! Che anima bella!» Il Visconte di Chateaubriand si congratulava coll’Ozanam diciottenne per il suo primo lavoro apologetico, e il poeta Lamartine, che si compiaceva di aver ospite il distinto giovane italiano, rimpiangeva la di lui precoce dipartita con queste poche ma eloquenti parole: a Noi l’abbiamo amato come un amico - questo giovane studioso e pio, e l’abbiamo pianto D. Il Visconte De La Villemarquè riassumeva il suo sentimento con questa frase: a Io lo amavo come un fratello, lo ammiravo come un maestro, lo veneravo come un santo». La gloria di Ozanam varcò tutti i confini e il suo nome fu inscritto alle principali accademie. Le sue pubblicazioni vennero tradotte in parecchie lingue ed una sua tesi di laurea su Dante ebbe contemporaneamente quattro traduzioni italiane. Le sue lettere, alle quali tutti potrebbero attingere, veri tesori di sapienza e di bontà, pubblicate nel 1869, rividero la luce in otto edizioni. Ora noi abbiamo rievocato il ricordo di questo grande milanese, non solo per l’avvicinarsi del suo centenario, ma altresì per mettere in evidenza una novíssima pubblicazione sull’uomo e sull’argomento, uscita dalla penna di quel dotto biografo che è l’egregio Mons. Cesare Orsenigo. Dobbiamo anzi dichiafare che abbiamo scritto ispirandoci al magnifico libro appena uscito alla luce, un libro che avrà certamente grande diffusione con incalcolabile beneficio alla gioventù studiosa. Il Lavoro dell’Orsenigo è presentato con entusiasmo da un distinto arcivescovo, Mons. Luigi Bignami, già prevosto milanese alla Basilica di S. Lorenzo ed ora stimatissimo Arcivescovo di Siracusa. L’egregio Prelato, basandosi su fatti eloquenti per sè stessi, facendo interessanti citazioni e ricordando come nella Città Eterna si parlasse di Federico Ozanam mentre si solennizzava la beatificazione di Giovanna d’Arco, scioglie un inno al grande milanese e afferma come il lavoro dell’Orsenigo sia in tutto, degno del lodatissimo biografo di S. Carlo. Infatti l’Orsenigo presenta la figura dell’Ozanam in tutta la sua parabola luminosa e la fa ammirare e amare in tutte le età, in tutte le manifestazioni, in tutte le opere sue. Così si vede lo studente, la giovane anima di apostolo; lo si vede e si ammira [p. 60 modifica]nel santuario domestico, esempio di amore e di pietà figliale, e lo si ammira pure nella scelta degli amici e nel culto dell’amicizia. Lo si segue poi tra lutti e gioie domestiche, non con quel senso di diffidenza o di noia con cui si vedrebbe un bigotto o un asceta solitario, ma colla soddisfazione che ispira un giovane normale, il quale a suo tempo s’innamora d’una giovane degna di lui e se la sposa e si dichiara felice della sua risoluzione. L’opera di Mons. Orsenigo, benchè di modeste proporzioni, può dirsi completa e mirabile nel complesso e nei particolari. E’ da rilevarsi questa osservazione che il benemerito autore prepone al suo lavoro: a Depongo la penna col dolore che si prova staccandosi da un amico venerato, con cui da più mesi vivevo in fraterna famigliarità. Lo studio. della vita di Ozanam fu un vero diletto per la mia coscienza. ’Certe oasi morali, anche se rintracciate a un secolo di distanza, offrono sempre un soggiorno benefico... E ora mi auguro che le mie povere pagine possano offrire questo soave beneficio anche a molte altre coscienze, specialmente giovanili, perchè ho scritto quasi esclusivamente per queste». Così parla l’egregio educatore, che, col suo nuovo libro, ha compiuto un’altra buona e utilissima azione, di cui molti certamente approfitteranno. Notiamo da ultimo un, prospetto interessante, che offre un’idea esatta dell’importanza e dell’efficacia delle Conferenze di S. Vincenzo, le quali, come rileva l’Arcivescovo di Siracusa, contano cinqueriaila comitati che si disputano i poveri dei due mondi e vantano nella loro costituzione il fiore del laicato, signori e dame dell’aristocrazia che vi ha le prime pa.rti. Milano, tra le città d’Italia, è per fermo la più impegnata di fronte ad un centenario della nascita di Ozanam, e certo i milanesi faranno buon viso alla rievocazione dovuta a Mons. Orsenigo, rievocazione che è per sè.stessa assai più d’un inizio delle onoranze da tributarsi alla memoria del grande italiano. A. M. CORNELIO. NB. — Questo libro magnifico si può avere dalla ditta editrice L. F. Cogliati.