Il buon cuore - Anno XII, n. 06 - 8 febbraio 1913/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 06 - 8 febbraio 1913 Religione

[p. 41 modifica]Educazione ed Istruzione


QUELLO CHE HA FATTO L’ITALICA GENS

nel primo biennio

ed i suoi progetti per l’avvenire

(Continuazione del num. precedente)



Le buone condizioni economiche degli italiani nel Cile hanno loro permesso di sopportare meno duramente le conseguenze della crisi economcia da cui il Cile è stato colpito in questi ultimi anni, crisi che trova le sue determinanti principali, nel terremoto che distrusse il 16 agosto 1906 tanta parte di Valparaiso e delle borgate circostanti; nell’eccesso d’importazione, non compensato dall’esportazione dei nitrati è dei pochi altri prodotti che il Cile può vendere all’estero, e infine e sopratutto, nell’abuso del credito all’estero.

Noi osserviamo però che le due prime cause sono del tutto transitorie e l’altra va sempre’ più affievolendosi, in modo da permettere il risorgimento economico del Cile, che si va lentamente determinando. E infatti per quanto ha tratto alle conseguenze del terremoto, l’attività e il coraggio dei cileni e delle colonie straniere al Cile bene sono degni di essere paragonati a quelli degli abitanti di S. Francisco di California, che nello stesso anno venivano colpiti dallo stesso flagello e fecero risorgere in breve tempo la città devastata. Quanto incremento poi abbia avuto la produzione del nitrato, principale elemento dell’esportazione, e dei cereali, l’abbiamo visto nelle cifre più su esposte, quando abbiamo anche accennato alle previsioni della produzione agricola-mineraria per l’anno 1911-12; quanto alla causa di carattere più permanente, cioè il credito abbondante all’estero, essa non è tale però che non possa essere a mano a mano eliminata da una oculata politica finanziaria.

Ora siffatto paese può presentare un buon campo aperto all’emigrazione? La risposta, per quanto ha tratto alla colonizzazione, l’abbiamo già data implicitamente, esaminando le vicende dei nostri esperimenti al Cile. Certamente questo Stato non ha grandissimi territori adatti alla colonizzazione; e per questo rispetto una vasta immigrazione agricola italiana non troverebbe di che accontentarsi. Ma è del pari certo che il Cile sarà un utile e buon campo adatto a nuovi, installamenti di coloni italiani, quando, ben inteso, dal Governo siano tolte di mezo le difficoltà accennate e l’opera di colonizzazione abbia carattere agricolo-industriale, anziché prettamente agricolo.

Per quanto concerne invece gli operai in genere, l’invio di un forte numero di essi, specialmente se sprovvisti di capitale, non avrebbe assolutamente buon esito, dato che i capitali stranieri, e principalmente inglesi, sono ora restii ad affluire nel Cile: per i limitati bisogni delle industrie locali gli operai cileni lavorano forse a migliori condizioni per gli industriali che gli operai nostri. Dove invece rimane Sempre dischiusa l’attività’ dei nostri è nel commercio: una buona clientela e brillanti tradizioni hanno i commercianti italiani sulla costa del Cile. Ma per il fatto che i commercianti non s’ [p. 42 modifica]provvisano; che loro occorre un discreto capitale e un buon tirocinio fatto sui luoghi, sono pochi tra i nostri emigranti quelli che aspettano da noi di esservi indirizzati. Il Coletti crederebbe opportuno di iniziare ora col Cile una politica di trattati per la nostra emigrazione diretta a questo Stato, avvertendo che convenzioni simili non sarebbero per ora attuabili °all’Argentina e il Brasile. Il conflitto avvenuto coll’Argentina nel luglio scorso e la ferma condotta del Governo italiano in questa occasione hanno suggerito, a nostro avviso, prima di quel che si poteva credere, una nuova azione circa la nostra politica d’emigrazione; speriamo che le convenzioni ed i trattati ora in progetto sul solo argomento sanitario, possano felicemente estendersi anche alla colonizzazione e al lavoro. Ora però il Cile, di cui esaminammo le opportunità e le defincienze per la nostra emigrazione, sarebbe certamente lo Stato più propizio per la conclusione di un simile trattato. EUGENIO BONARDELLI.

Gli Italiani nell’Uruguay.

I nostri operai e contadini non hanno fatto fino ad ora dell’Uraguay la meta di una numerosa immigrazione: anzi, se vi hanno fatto capo, è stato alle volte per rendersi più agevole il passaggio nel Brasile, e più specificatamente nello Stato di Rio Grande do Sul, di difficile accesso dalla parte de lmare, o altrimenti per raccogliersi in un primo approdo innanzi di affrontare con più probabilità di successo la vicina Repubblica Argentina. Gli italiani stabilitisi nella Repubblica Orientale dell’Uruguay, quantunque vi abbiano lasciato traccia della loro operosità e abbiamo attualmente uno dei primi posti nell’attività economica dello Stato, ciò nondimeno non vi hanno compiuto quella vasta e preziosa opera, per cui si sono resi indispensabili nella vicina Repubblica Argentina: voglio dire la valorizzazione delle terre dello Stato. Quali le ragioni per cui quest’opera non fu compiuta nell’Uruguay che, pur con una superficie di kmq. 186.925, alimenta appena una popolazione di 1.042.668 abitanti? Le ragioni le dà in una dotta monografia il signor Carlo Umiltà, R. Viceconsole in Montevideo (Boll, dell’emigrazione, anno 1911, n. 5). Esaminando attentamente, sotto i molteplici punti di vista — sociale, nazionale, economico — le condizioni degli ita liani colà stabiliti in numero di circa i00.000, egli studia anche, con eguale diligenza, le possibilità di successo che vi avrebbe attualmente una forte corrente emigratoria. Le terre dell’Uruguay sono eccellenti; ma l’agri°altura, anche intensiva, non è così diffusa come dovrebbe e potrebbe essere perchè l’allevamento del bestiame ne tiene il luogo: questo è la principale industria del paese. Per l’allevamento del bestiame il suolo offre condizioni senza rivali nell’America del Sud; le bestie, a causa della bontà dell’alimento, dovuta alla natura particolare del suolo, ben irrigato e tutto ondulato, danno una carne più sostanziosa e più nutritiva di quella dell’Argentina; e inoltre la sua qualità va sempre migliorando, essendosi introdotte per l’incrocio le migliori razze d’Europa. Con l’allevamento del bestiame sono pure sorte le industrie derivate: basti accennare ai prodotti, di rinomanza mondiale, della fabbrica Liebig di FrayBentos. L’allevamento del bestiame però, sebbene sia una grande risorsa per l’economia nazionale del paese, è una prima causa della mancanza di una vera colonizzazione agricola dell’Uruguay; e infatti questa industria già di per sè non esige una grande quantità di mano d’opera, e d’altronde l’elemento straniero, per la vita rude, difficile, isolata che vi dovrebbe condurre, sarebbe poco adatto per essa. Inoltre è connesso con questa industria sistema del latifondo. Il proprietario del latifondo dovrebbe far ingenti spese per trarre un reddito dall’agricoltura: dovrebbe investire capitali nel dissodamento, nel piantamenta e nell’irrigazione della terra, oltre che nella costruzione di case coloniche e nell’acquisto degli strumenti e delle sementi, mentre che ora l’allevamento del bestiame, pure osai redditizio, gli costa pochissimo; esso è ancor fatto, nella massima parte, senza quei metodi razionali e moderni, per cui sono meritamente note le estancias degli inglesi nell’Argentina. Gli animali sono senza ricovero durante la notte e sempre sono esposti, alle intemperie. A questi fatti s’aggiungano le poche ferrovie, la scarsità e il cattivo stato delle strade carrozzabili in buona parte dello Stato, il flagello quasi periodico delle cavallette e si avrà un’esatta idea degli impedimenti che ostacolano una estesa economia agricola come nell’Argentina. I nostri coloni poi non trovarono, né avrebbero potuto trovare condizioni vantaggiose nell’acquisto dei terreni, perchè il Governo dell’Uruguay, a differenza degli altri Stati dell’America del Sud, non [p. 43 modifica]possiede quasi terreni demaniali che possa distribuire a titolo gratuito o cedere a condizioni favorevoli: per tener fronte alle molte guerre e rivoluzioni, il Governo fu costretto a spogliarsi di ogni suo avere. E neppure ha potuto farsi iniziatore di una politica colonizzatrice, perchè a questo fine non può convergere alcuna somma del bilancio, i cui proventi ogni’ anno sono devoluti nella massima parte al pagamento degli interessi dell’elevato debito pubblico. Gli agricoltori italiani nell’Uruguay, secondo l’ultimo censimento, sono appena 322o e le loro proprietà immobiliari hanno un valore di 46.119.625 pesos. Ma quantunque poco numerosi, essi riescono ad eccellere: il principale stabilimento agricolo dello Stato è di proprietà di un italiano, il cav. Bonaventura Caviglia. Trovasi a 30o km. dalla capitale, nel dipartimento di Sariano, quasi vicino a Mercedes. In questo stabilimento del cav. Caviglia i coloni vi hanno un lavoro permanente, mentre le altre popolazioni rurali, addette all’allevamento del bestiame, ricevono unicamente salario in estate, all’epoca della tosatura del bestiame e della preparazione della carne salata. Inoltre i contadini dell’estancia Caviglia dimorano in sane e ben costrutte case di pietra e si cibano, oltre che di carne, anche di pane, nutrimento che fino a poco tempo fa era ritenuto di lusso. Nonostante le molteplici difficoltà che incontra il progredire dell’agricoltura, rilevate dal sig. Carlo Umiltà, si verifica, in questi ultimi tempi, una tendenza a trasformare i territori, che fino ad ora furono a pascolo, in campi agricoli; di ciò parlava nel numero di agosto-settembre del decorso anno di questo Bollettino il P. Riccardo Pittini, salesiano, residente in Uruguay, ed accennava al numero considerevole di macchine agricole a vapore, che solamente negli ultimi mesi erano state introdotte nella Repubblica, e ad importanti lavori di dissodamento che si stanno compiendo sulle rive del ’fiume San Salvador. Ed il pensiero della convenienza di tale trasformazione per l’avvenire del paese sembra si vada facendo strada anche presso il Governo, che sta studiando provvedimenti onde facilitarla, e fra i proprietari stessi, dei quali già alcuni per proprio conto ne iniziano l’attuazione. Sono per lo più Italiani che promuovono l’agricoltura e per opera loro si vedono qua e là sorgere vigne e poderi coltivati all’italiana. Anche i Padri Salesiani, che portano seco ovunque idee e sistemi italiani, propugnano, per quanto possono, questo movimento, e ne sono all’avanguar

dia con qualche pratico esperimento. A Manga, oò lonia non molto d’istante da Montevideo, essi hanno un possesso di alcune centinaia di ettari che stanno mettendo a coltivazione: buona parte è già distribuito fra otto coloni a mezzadria; altra parte ù tenuta da due lecheros (lattai) che vi esercitano l’industria del latte e dell’allevamento, del bestiame; altra parte infine è lavorata direttamente per conto dei proprietari per mezzo di peones (braccianti). I coloni impiegati nell’azienda sono quasi tutti italiani, e specialmente piemontesi e genovesi; i mezzadri abitano per ora ranchos o case costrutte con mattoni di terra cruda, coperte di zinco o di paglia. Oltre il grano ed il granturco, anche gli ortaggi e le frutta sono fra i prodotti più importanti, data la vicinanza della colonia alla città. Si sono fatte pure estese piantagioni di peschi e di ulivi con buoni resultati. Le rendite del suolo bastano ai mezzadri ed alle loro famiglie per campare, conducendo però finora vita molto modesta. I Padri Salesiani hanno fatto il contratto coi coloni solamente per otto anni, passati i quali, essi intendono sul terreno in tal modo preparato, di stabilire una scuola agricola. ’Presso la Casa salesiana della colonia di Manga vi è una scuola per alunni esterni, frequentata da circa 45 allievi, di cui 25 nel decorso anno erano figli di italiani, quasi tutti appartenenti alle famiglie dei coloni: in essa siinsegna pure l’italiano. E’ questa una buona iniziativa, che è sperabile darà buoni lresultati, e che, in caso di un maggiore sviluppo della colonizzazione italiana in Uruguay, può servire di esempio come uno dei mezzi più praticamente utili per assisterla ed aiutarla. Frattanto gli agricoltori italiani nell’Uruguay, essendo, come abbiam veduto, appena 322o, non sono la parte principale della popolazione italiana: toltine circa quarantamila italiani che risiedono in Montevideo, la massima parte dei nostri connazionali sono sparpagliati ’nelle varie cittadine di provincia, più che nelle campagne, dove diffiCilmente, per le condizioni su accennate della cultura e dell’allevamento del bestiame, potrebbero trovarsi bene. Questi italiani delle principali città si sono dati al grande e piccolo commercio, e generalmente godono di una prospera condizione economica. I principali alberghi della capitale e delle città sono italiani, come pure sono italiani’ molti dei piloti e degli impiegati del porto, italiani quasi unicamente gli artisti, come decoratori, pittori, scultori, maestri di musica e suonatori delle orchestre nei teatri e nelle [p. 44 modifica]bande della città e dei dipartimenti, e anche costoro sono, in generale, in floride condizioni finanziarie. Dobbiamo lamentare però che molti di questi italiani abitanti delle città, sebbene per lo più conservino la nostra cittadinanza, non abbiano saputo sottrarsi alla forza grande di attrazione che esercita l’ambiente americano, influenza che trova il suo terreno più adatto in quelli che.sono giunti in Uxuguay privi o quasi di educazione e d’istruzione. Costoro si sono rapidamente snazionalizzati; mentre per lo contrario la notevole emigrazione intellettuale che da pochi anni si è indirizzata dall’Italia all’Uruguay ha portato in questo Stato, oltrechè un fecondo contributo scientifico, uno spirito vigoroso di dignità e nazionalità italiana. Sono ingegneri, medici, agronomi, architetti, enologhi, veterinari, agrimensori, elettricisti emigrati dall’Italia che vengono impiegati a condizioni vantaggiose dal Governo Orientale, dalle Società industriali che si vanno istituendo e dalle poche imprese agricole fiorenti. E’ opportuno vedere a questo riguardo, come funziona la scuola italiana, che certo è uno dei mezzi, principali per la conservazione della nazionalità. Le scuole esclusivamente italiane in Uruguay, come riferisce il sig. Console Umiltà, sono due: una in Montevideo, l’altra in Paysandù; una che era stata istituita in Salto fu chiusa nel 1906 per mancanza di alunni. La scuola di Montevideo è certamente una delle migliori scuole italiane all’estero: è mantenuta dal concorso di tutte le società italiane di Montevideo, ha un bellissimo stabile di sua proprietà; vi si fanno le cinque classi elementari maschili.e femminili e due corsi di disegno. E’ frequentata, in media, da oltre trecento alunni. La scuola di Paysondù è frequentata in media da 3o alunni: ambedue sono sussidiate da R. Governo. In Uruguay vi sono inoltre nove istituti tenuti dai Padri Salesiani e altrettanti tenuti dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, nei quali pure si insegna la ’lingua italiana: ma a differenza delle scuole laiche italiane il programma d’insegnamento vi è svolto in lingua spagnuolai:,.ciò. nonostante, considerevolissima è.,-liiinfluenza italiana e la propaganda di italianità che esse esercitano sugli alunni, pel fatto solo di essere gli insegnanti italiani in gran parte, e tutti animati da spirito di italianità; presso queste scuole medesime si trovano inoltre divertimenti, giuochi, ricreatoci festivi, ecc., ed a ciò il sig. Console Umiltà attribuisce la maggiore attrattiva che queste hanno verso gli alunni e particolarmente figli d’italiani. Infatti tutti quegli istituti sono molto frequentati:

oosì, im Montevideo, sono, fra i più importanti il Collegio D. Bosco dei PP. Salesiani, che ha anche scuole di arti e mestieri, frequentato da circa zoo fanciulli ed il Collegio delle Figlie di Maria Ausiliatrice, frequentato da circa altrettante fanciulle. In Montevideo i Padri Salesiani hanno pure il collegio del S. Cuore di Gesù, che fu il primo istituto che essi fondarono in quella città: esso è frequentato da 150 alunni ed ha annesso un oratorio e ricreatorio festivo, cui accorrono circa zso ragazzi, dei quali moltisSinai2 sono ’figli d’italiani: e la sua importanza per noi, deriva appunto dal fatto che esso è situato nella parrocchia in cui, riesiede la maggioranza degli italiani, cioè un nucleo da trenta a quaranta mila. Una volta anzi, quell’istituto era affollatissimo di fanciulli italiani; ma poi col sorgere delle scuole elementari governative locali, questi a poco per volta diminuirono. Sono veramente degne di nota le cure ed i provvedimenti che il Governo uruguaiano prende per ’l’istruzione primaria e per l’educazione nazionale dei fanciulli: le scuole pubbliche sono numerosissime e ben tenute, e non si tralascia alcun mezzo per attirarvi gli alunni: è noto per esempio che ad essi si regalano tutti i libri, e che le maestre vanno anche per le case facendo propaganda e racoogliendo• allievi. Questa è la prima ragione della difficoltà che trovano le scuole italiane in genere, parrocchiali e laiche, a raccogliere intorno a sè un numero maggiore di figli di italiani. Qui dunque anche più che altrove, si dimostra necessario migliorare l’organizzazione della scuola italiana, in modo che questa possa prendere sempre maggior piede e rispondere efficacemente al suo compito. Questa è in ogni modo una delle cose di ’maggiore importanza, cui occorre sia dato assetto prima che si possa dire che l’Uruguay è paese atto a ricevere emigrazione italiana. Il cav. Umiltà conclude la sua dotta dissertazione, affermando che la Repubblica dell’Uruguay è, così politicamente come economicamente, uno dei paesi del Sud America che molto potranno valere in un non lontano avvenire; ma per ora egli non crede alla possibilità e alla convenienza di avviare in questo paese una forte contente migratoria a scopo agricolo; e noi siamo in tale conclusione pienamente d’accordo con lui. Si è già detto che il Governo non ha terre demaniali o ne ha ben poche; che i privati continuano a preferire nella massima parte l’allevamento del bestiame, che rende discretamente e per il quale poche sono le spese e minimi i rischi. Ora se si dovesse [p. 45 modifica]tentare un esperimento di colonie agricole, occorrerebbero invece forti capitali per l’acquisto del terreno, per la costruzione delle strade carrozzabili, se non delle ferrovie, e infine per la costruzione di ponti e di casf. coloniche. Come osserva giustamente il cav. Umiltà, da tutto questo, siamo ancora lontani, e le garanzie che allo stato attuale delle cose il Governo potrebbe offrire, sarebbero più che altro illusorie. E noi sappiamo invece che necessità prima per avviare una forte corrente emigratoria,nell’Uruguay, sarebbe accordarsi col Governo locale ed esigere serie garanzie.