Per la Via Appia

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PER LA VIA APPIA


D
a quel giorno uno strano malessere si impadronì di Catullo.

— Non ridete, Catullo? — gli domandavano gli amici.

Fuggiva gli amici : viveva in un suo pensiero. Graziose fanciulle gli fecero cortesi inviti. Rispondeva con male parole.

— Eri tanto gentile, — dicevano, — e ora ti sei fatto ben scortese. Ti ha morso la tarantola? Hai visto la versiera?

Incontrò Ipsililla e si gli disse:

— Catullo, la porticina di casa mia dopo mezzodì è sempre socchiusa. Ogni giorno io ti aspetto e sono sola, e tu non vieni. O com’è? Ti ha preso la podagra o la mentulagra?

Ipsililla era quella cara, quella graziosa fanciulla, non di severe virtù, ma tanto piacevole, tanto arrendevole che lui la chiamava «pupattola, bambolina mia», come oggi dicono Dolly, per vezzo.

A questa fanciulla lui, già tempo, aveva mandato un biglietto che intero non si può riportare per tante giuste ragioni, e anche per [p. 76 modifica] quella storia del tramutarsi delle parole: ma ad’ogni modo, trasformato alquanto può quel biglietto valere per dare un’idea che ragazzaccio era Catullo, e che temperamento! Quel biglietto diceva:

«Fammi il piacere, Ipsililla, bambolina mia, di invitarmi a fare siesta con te. Gioia mia, dolcezza mia, senti: se mi fai questo piacere, procura che la porticina di casa rimanga socchiusa, cosi capirò che sei sola. E non ti venga il capriccio di andar via, ma sta in casa e denti pronta che arriva un cavaliere furibondo che spezzerà nove lance l’una dopo l’altra. Se questa faccenda ti va, fàmmelo sapere senz’altro, perché dopo che ho mangiato e bevuto e me ne sto sdraiato non ho pazienza e mi succedono guai serii».


Ora non ne vuole più sapere né di Ipsililla, né di altre buone fanciulle. Ha veduto passare la fata Morgana, ha udito la sua voce e vive sotto quella folgorazione. È un dolce pensiero, è una gran sofferenza. La vista gli barbaglia, i sensi stanno muti per troppa passione. Saffo canta gran cantilena, passa Diana nel cielo, regina delle selve virenti, dei monti segreti, dei fiumi sonanti. A Saffo non si mandano biglietd come a Ipsililla. E un [p. 77 modifica] mortale soltanto, il solo Endimione, ebbe la ventura di essere baciato da Diana.

— Oh, luce mia, — esclamava, — oh, candida Dea, oh, veneranda Signora, oh, Lesbia divina! — e altre sciocchezze diceva. A chi diceva? a Diana? a Saffo? alla Dama? La grande dama romana, sposa del console che è signore di Roma, che ha tanto corteo come Diana ha di ninfe.

Voleva solamente lei, e nel tempo stesso gli pareva che toccata appena, dovesse dileguare, e rifiutare creatura mortale. Attraverso gli occhi era penetrata la concupiscenza di quella donna, poi attraverso il naso, poi attraverso gli orecchi, e ne era colmo come talvolta è la terra per certi fiumi strani che vi si inabissano e formano paurosi torrenti. Le altre fanciulle entravano e uscivano piacevolmente dalla sua giovinezza. Gli altri due sensi, il gusto e il tatto, rimasti insaziati, spasimavano. Di soddisfarli non aveva speranza e lei sola domandavano.

Catullo, Catullo, non avevi una mamma che ti dicesse: «Bada, figliolo, a quello che fai»?

Egli era solo.

È la madre che si accorge di queste sofferenze e perturbazioni nei figli. Essa li ha generati per effetto a sua volta di una sua perturbazione; e perciò non li può, non li sa [p. 78 modifica] rimproverare perché fu lei la cagione involontaria di quel patimento: e non resta che piangere presso la croce del figlio, quale esso sia, come è significato per le parole sante: Stabat mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa.


Or lui va solitario per la via dei Sepolcri: quell’Appia via per cui tanta storia passò e ripassò.

Saltellavano i passeri per la via davanti a lui: invisibili i rosignoli dagli allori e dai mirti mandavano grida gioiose e lamenti. Amaranti, rose, viole..., profumo di lei!

Un nome gli ricorreva : «Lesbia, mia Lesbia! O, amata quanto nessuna donna sarà mai tanto amata!»

Un giorno disse: «La odio e la amo. Se vuoi sapere perché, non te lo so dire. È cosi. È un martirio».

E li per li non s’accorse che erano versi dell’uomo alla donna, come quelli della donna all’uomo: «Se io lo contemplo, mi sembra simile a un Dio».