Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro V/Capitolo XXVI

Brunetto Latini - Il Tesoro (XIII secolo)
Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
Capitolo XXVI
Illustrazioni al Libro V - Capitolo XXV Illustrazioni al Libro V - Capitolo XXVII
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;i stonili ciiiicilbriiii. ’ iiiaiidaim l’uoi-i lali’ido. che

udito di lontano. non «" disaiinonico. Nel libro secondo i\eW’ Iliade, il (ìi-inio rotofirafo della natura cantava, secondo la sphMidida vcinjììho del Monti al verso 601.

E quai d’oche o di (ii’ii volanti eserciti,
Ovver di cigni, che snodati il tenue
Collo, van d’Asio ne’ bei verdi a pascere
Luniio il Caistro, e vagolando esultano
Sulle larghe ale, e nel calar s’incalzano,
Con tale un rombo, che ne suona il prato.

1/ apparecchio per lo quale i cigni producono tal grido, fu argomento di lungo studio ad illustri naturalisti.

(’Ai’rroLo XXVI.

Brunetto trasse questo capitolo da Solino, capitolo XLVI, e da Alberto Magno.

Crii Arabi con molta perspicacia denominarono la fenice, la creatura di cui si conosce il nome, e s’ignora il corpo. Tutti ne parlarono, e nessun la vide. Dopo la d(!scrizione di Erodoto ( Lib. II, cap. 73 ) può dirsi, che non sia scrittore greco e latino che non vi accenni, compresi alcuni rabbini e padri della Chiesa. Alcuni scrittori la vollero vedere anche nella Bibbia: ma altri negano che vi sia. Tutti ripetono la stessa descrizione, o la supi)ongouo già

nota a chi legge: tanto è iamosa! [p. 294 modifica]
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Tacito, critico tanto severo, fu iugaunato dalla

generale credenza. Scrive negli Annali, (lib. VI, cap. 28,) secondo la traduzione del Davanzati: «Essendo consoli Paulo Fabio e L. Vitellio, voltati molti secoli venne la fenice in Egitto: materia ai dotti della contrada e della Grecia, di molto discorrere di tal miracolo. E degno fia ove convengono, ove discordano, raccontare. Tutti scrivono essere questo uccello sagrato al sole: nel becco, e penne scriziate, diverso dagli altri. Degli anni, la più comune è, che ella venga ogni cinquecento; alcuni affermano, millequattrocentosessantuno: e che un’altra al tempo di Sesostride, altra di Amaside, la terza di Tolomeo, terzo re di Macedonia, volarono nella città d’Eliopoli, con gran sèguito d’altri uccelli, corsi alla forma nuova. È molto scura l’antichità: da Tolomeo a Tiberio, fu meno di dugencinquaut’anni; onde alcuni tennero questa fenice non vera, ne venuta di Arabia; e niente aver fatto dell’antica memoria. cioè che forniti gli anni, vicina al morire, fa in suo paese suo nidio; gettavi il seme; del nato e allevato feniciotto la prima cura è di seppellire il padre; a caso noi fa, ma provasi con un peso di mirra a far lungo volo; se gli riesce, si leva il padre in collo, e in su l’altare del sole lo porta e arde: co.e incerte, e contigiate di favole. Ma non si dubita che qualche volta non si vegga questo uccello in Egitto.

L’anno del consolato di Paulo Fabio e L. Vitellio,

è il 34 dell’era volgare. [p. 295 modifica]

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Dante ripeteva la lezione del maestro Brunetto:

Così per li gran savi si conlessa,
Che la fenice muore e poi rinasce,
Quando al cinquecentesimo anno appressa.

Erba nè biada in sua vita non pasce,
Ma so’ d’incenso lagrime e d’amomo;
E nardo e mirra son l’ultime fasce.

( Inf. XXIV.)

Il bello augel che più d’un secol dura

(Oì’kmdo Furioso XXV.)

l’augel che si rinnova.
E sempre unico al mondo si ritrova

(Chiando Furioso XXVI).

Ove rinasce l’immortai fenice,
Che tra i fiori odoriferi, che aduna
All’esequie, ai natali, ha tomba e cuna

(Gerusalemme Liberata XVII.)

È la fede degli amanti
Come l’araba fenice:
Che vi sia, ciascun lo dice:
Dove sia, nessun lo sa.

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LiO

Se tu sai dove ha ricetto.
Dove muore e torna in vita.
Me l’aridità, e ti prometto
Di serbar la fedeltà.

(Metastasio.)

Ancora sul Capitolo XXVI.

Un anonimo contemporaneo di Brunetto Latini, il quale in dialetto veneziano scriveva la Cronica degli Imperatori, tino a Luigi IX di Francia, al quale appunto Brunetto dedicava il suo Tesoretto, parlando dell’imperio di Claudio, nota intorno alla Fenice, che era oggetto di molto interesse a quelr epoca: «In questi tempi uno oxello che ave nome fenix, aparse in Egypto, lo qual avanti VI anni era aparso in Arabia; lo qual oxel vive in fine cinque cento anni, si comò vien dito, e poi si medesimo ardendose in lo nido, si renasci; e questo oxello è a modo di agoya grande, abiando una cresta in cavo e circa al collo color d’oro, exeto la coda, lo splendor del qual sì conio rosa è ceruleo, secondo che vien scrito.»

La cronica fu edita da Antonio Ceruti nel voi. III. \(ò\X Archivio Glottologico di G. I. Ascoli pagina

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C.MMIOl.i» XX\ 11.

Kra r)i’S(» la i-emiuiscenza delh If’zioiii li ev Hninctto, elio ra-ova fantai- Dante:

K coiiif i iru van caniaïKlo lor lai,
Facendo iii aor di sp lunga rijja.

(Inf. V.)

Poi come ixvu. che alle montagne Rile
Volassei- parte, e parte iuver l’arene,
Queste del gel, quelle del sole schife.

(Purg. XXVI.)

Come gli augei che elnan lungo il Nilo.
Alcuna volta di lor fanno schiera,
Poi volati più in fretta, e vanno in filo.

(Purg. xxn-).

Capitolo XXVIII.

Postilla il Sorio: Anche nel Fiof di rirtii, al cap. IX, si recita dello uccello Ipega ( varia lecito Lupica) questa amorevolezza usata alla madre. Io credo, che il nome di Ipega, fos.se da \’pega: e che Upica sia la medesima cosa, pronunciato? riwZ/ow.