Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro V/Capitolo XVIII
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Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
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È soverchio ripetere quanto siill’api scrissero molti entomologi, e correggere gli errori volgari riferiti dal maestro Brunetto. Osserviamo piuttosto come l’esule adombri con molto affetto nella descrizione del governo delle api, e delle doti del re, le virtù civili di governati e di governatori, delle quali a quei giorni aveva grande bisogno la sua nazione, e della mancanza delle quali egli era vittima, come qua e là con generoso lamento ricorda nel suo Tesoro.
Capitolo XVIII.
Il Carrer avverte, che nelle tre edizioni, dopo le parole: «E’ 1 suo polmon schiara gli occhi a chi gli ha turbati» concordemente si legge. «perchè la Bibbia ne comanda, che nullo debba mentire di vero, ne disdire quello che sia prode e non puote.» Appartava il brano in una nota, non avendo agio di consultare il testo francese. In queto si legge: «La Bible commande que nus n’en maujast» senza più.
Come si e annotato nel testo, questo inciso non
si legge in Alberto Magno, dal quale è attinto il capitolo.287 |
sonerento luuaiiiLà la prodijiiosa virtù della calaudra, e del calandrino. Se il numero dei testimouii bastasse a dimostrar che è ciò che non è, la prodiposa virtù della calandra sarebbe dimostrata a meravifiiia. «Un uccello che ha nome calandrino, ha cotale propi-ietìi, che si porrà dinanzi allo infermo; se lo inlermo dee morire, non gli volge lo cai)o, e non lo guata mai; se lo ’ulermo dee guarire, sì lo guarda, e ogni sua malattia gli toglie (Fiore di Virtù)» «Calandrino, ovvero calandra, è un uccello, che ha questa natura, che essendo portato innanzi allo infermo, se egli dee morire gli volge il capo, e non lo guata mai; e se lo infermo dee campare, sì lo guata, ed ogni malanno gli leva da dosso (Franco Sacchetti, Op. div. XC).» Ed il Pulci nel canto XXV del Moì-gante maggiore:
Non so se del calandro udito hai dire,
Il qual posto aT infermo per obbietto,
Si volge a drieto, se quel dee morire;
Così al contrario, pel contrario effetto.
Dell’allodola, consanguinea della calandra, cantò Dante:
Qual lodoletta che in aere si 8jazia
Prima cantando, e poi tace contenta
Dell’ultima dolcezza che la sazia.
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poetica supposizione! Quanto egli vola come aquila sovra le ridicole superstizioni del suo tempo, dalle quali talvolta mostrò i)ure di sapersi francare il suo buon maestro ’
Capitolo XIX.
La superstizione dell" impiccato, è coiìiala da Palladio Lib. I. titolo XXIV: «Et iiequc locum deserunt, si per omnes fenestras aliquid de strangulati hominis loro, aut vinculo, aut fune, suspendas.»
Il pittore divino della natura, ci lasciò questi quadri:
Quali colombe del disio chiamate,
Con l’ali aperte e ferme, al dolce nido
Volan, per V:ìev dal voler portate
(Inr. \.)
«
Come quando, cogliendo biada o loglio,
Li colombi adunati alla pastura,
(vllieti, senza mostrar 1" usato orgoglio,
Se cosa appare, ond’elli abbian paura,
Subitamente lasciano star l’esca,
Poi-chè assaliti son da maggior cura.
(Piirg. II.)