Il Tesoretto (Laterza, 1941)/XVI
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XVI
Lo cavaler valente
si mosse isnellamente,
e gìo sanza dimora
loco dove dimora
1575Cortesia graziosa,
in cui ognora posa
pregio di valimento.
E con bel gechimento
la pregò che ’nsegnare
1580li dovess’e mostrare
tutta la maestria
di fina cortesia.
Ed ella immantenente
con bel viso piacente
1585disse in questa manera
lo fatto e la matera:
«Sie certo che larghezza
è ’l capo e la grandezza
di tutto mio mistero,
1590sí ch’io non vaglio guero;
e s’ella non m’aita,
poco sarei gradita.
Ella è mio fondamento,
e io suo doramento,
1595e colore, e vernice.
Ma, chi lo buon ver dice,
se noi due nomi avemo,
quasi una cosa semo.
Ma a te, bell’amico,
1600primeramente dico
che nel tuo parlamento
abi provedimento.
Non sia troppo parlante,
e pènsati davante
1605quello che dir vorrai;
ché non retorna mai
la parola ch’è detta,
sí come la saetta,
che va, e non ritorna.
1610Chi ha la lingua adorna
poco senno gli basta,
se per follia nol guasta.
E ’l detto sia soave,
e guarda non sia grave
1615in dir ne’ regimenti;
ché non puoi ale genti
far piú gravosa noia.
Consiglio che si moia
chi spiace per gravezza,
1620che mai non si ne svezza.
E chi non ha misura,
se fa ’l ben, sí lo fura.
Non sia inizzatore,
né sia redicitore
1625di quel ch’altra persona
davante a te ragiona,
né non usar rampogna,
né dire altrui vergogna,
né villania d’alcuno;
1630ché giá non è nessuno
cui non posse di botto
dicere un laido motto.
Né non sie sí sicuro,
che pure un motto duro
1635ch’altra persona tocca
t’esca fuor dela bocca,
ché troppa sicuranza
fa contra buona usanza.
E chi sta lungo via
1640guardi di dir follia.
Ma sai che ti comando,
e pongo a breve bando?
Che l’amico da bene
innori e quanto tene
1645a piede ed a cavallo.
Né giá per poco fallo
non prender grosso core,
per te non falli amore.
E abie senpre a mente
1650d’usar con buona gente,
e dal’altra ti parti,
ché, sí come dell’arti,
qualche vizio n’aprendi,
sí ch’anzi che t’amendi
1655n’avrai danno e disnore.
Però a tutte l’ore
ti tieni a buona usanza,
perciò ch’ella t’avanza
in pregio ed in valore,
1660e fatt’esser migliore,
e dá bella figura;
ché la buona natura
si rischiara e pulisce,
se ’l buon uso seguisce.
1665Ma guarda tuttavia,
s’a quella compagnia
tu paressi gravoso,
di gir non sie piú oso;
ma d’altra ti procaccia
1670a cui ’l tuo fatto piaccia.
Amico, e guarda bene:
con piú ricco di tene
non ti caglia d’usare,
ché starai per giullare,
1675o spenderai quant’essi,
ché, se tu nol facessi,
sarebbe villania;
e pensa tuttavia
che larga incomincianza
1680si vuol perseveranza.
Dunque dèi provedere,
se ’l porta tuo podere
che ’l facce apertamente.
Se non, sí poni mente
1685di non far tanta spesa,
che poscia sia ripresa;
ma prendi usanza tale,
che sia con teco iguale.
E s’avanzasse un poco,
1690non ti smagar di loco,
ma spendi di paragio;
non prendere avantagio.
E pensa ogne fiata,
se nella tua brigata
1695ha omo, al tuo parere,
men potente d’avere,
per Dio, no llo sforzare
piú che non possa fare.
Ché se per tuo conforto
1700lo suo dispende a torto,
e torna in basso stato,
tu ne sarai biasmato.
E ben ei son persone
d’altra condizione,
1705che si chiaman gentili;
tutt’altri tegnon vili
per cotal gentilezza.
E a questa baldezza
tal chiaman mercennaio,
1710che piú tosto uno staio
spenderìa di fiorini
ch’essi di picciolini,
benché li lor podere
fossero d’un valere.
1715E chi gentil si tene
sanza fare altro bene
se non di quella boce,
credesi far la croce,
ma e’ si fa le fica.
1720Chi non dura fatica,
sí che possa valere,
non si creda capere
tra gli uomini valenti,
perché sia di gran genti.
1725Ch’io gentil tengo quegli
che par che modo pigli
di grande valimento
e di bel nudrimento,
sí ch’oltre suo lignagio
1730fa cose d’avantagio
e vive orratamente,
sí che piace ale gente.
Ben dico, se ’n ben fare
sia l’uno e l’altro pare,
1735quelli ch’è meglio nato,
tenut’è piú a grato;
non per mia maestranza,
ma perché sia usanza,
la qual vince e rabatti
1740gran parte di mie’ fatti,
sí ch’altro non ne posso.
Ch’esto mondo è sí grosso,
che ben per poco detto
si giudica ’l diritto;
1745ché lo grande e ’l minore
ci vivono a romore.
Perciò ne sie aveduto
di star tra lor sí muto,
che non ne faccian risa.
1750Pàssati ala lor guisa;
ché ’nanzi ti comporto
che tu segue lo torto.
Ché se pur ben facessi,
daché lor non piacessi,
1755nulla cosa ti vale
e dir bene né male.
Però non dir novella,
se non par buona e bella
a ciascun che la ’ntende.
1760Ché tal ti ne riprende
e agiunge bugia,
quando se’ ito via,
che ti dèe ben dolere.
Però dèi tu sapere
1765in cotal compagnia
giucar di maestria:
ciò è che sapie dire
quel che deia piacere.
E lo ben, se ’l saprai,
1770con altrui lo dirai
dove fie conosciuto
e ben caro tenuto.
Ché molti sconoscenti
troverai fra le genti,
1775che metton magio cura
d’udire una laidura
ch’una cosa che vaglia;
trapassa e non ti caglia!
E sie bene apensato,
1780s’un om molto pregiato
alcuna volta faccia
cosa che non s’aggiaccia,
in piazza, né in tempio,
no ’nde pigliare asemplo;
1785perciò che non ha scusa
chi al’altrui mal s’ausa.
E guarda non errassi,
se tu stessi o andassi
con donna o con segnore
1790o con altro magiore.
E benché sia tuo pare,
che lo sapie innorare
ciascun per lo suo stato.
Siene sí apensato,
1795e del piú, e del meno,
che tu non perde freno.
Ma giá a tuo minore
non render piú onore
ch’a lui si ne convenga,
1800né ch’a vil te ne tenga.
Però, s’egli è piú basso,
va sempre inanzi un passo.
E se vai a cavallo,
guárdati d’ogne fallo;
1805e se vai per cittade,
consiglioti che vade
molto cortesemente;
cavalca bellamente,
un poco a capo chino,
1810ch’andar cosí ’n disfreno
par gran salvatichezza;
e non guardar l’altezza
d’ogne casa che truove;
guarda che non ti move
1815com’on che sia di villa;
non guizzar com’anguilla,
ma va sicuramente
per via e tra la gente.
Chi ti chiede in prestanza,
1820non fare adimoranza,
se tu li vuol prestare.
Nol far tanto penare,
che ’l grado sia perduto
anzi che sia renduto.
1825E quando se’ in brigata,
seguisci ogne fiata
or via e lor piacere,
ché tu non dèi volere
pur far ala tua guisa,
1830né far di lor divisa.
E guardati ad ogn’ora
che laida guardatura
non facce a donna nata
a casa o nella strata.
1835Però chi fa ’l sembiante
e dice ch’è amante,
è un briccon tenuto.
E io ho giá veduto
solo d’una canzone
1840pegiorar condizione;
ché giá ’n questo paese
non piace tal arnese.
E guarda in tutte parti
ch’Amor giá per su’ arti
1845non t’infiammi lo core.
Con ben grave dolore
consumerai tua vita,
né giá di mia partita
non ti potrei tenere,
1850se fossi in suo podere.
Or ti torna a magione,
ch’omai è la stagione,
e sie largo e cortese,
sí che’n ogne paese
1855tutto tuo convenente
sia tenuto piagente».