Il Tesoretto (Assenzio, 1817)/XXIX
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XXIX.
Or vedi, caro amico,
E ’ntendi ciò, ch’i’ dico;
Vedi quanti peccati
Io ti aggio contati,
E tutti son mortali:
E sai, che c’è di tali,
Che ne curan ben poco.
Vedi, che non è giuoco
Di cadere ’n peccato,
E però dal buon lato
Consiglio, che ti guardi,
Che ’l mondo non t’imbardi.
Or’ a Dio t’accomando,
Ch’i’ non so dove, e quando,
Ti debbia ritrovare.
I’ credo pur tornare
La via, ch’i’ m’era messo:
Che ciò m’era permesso
Di veder le sette Arti,
Et altre molte parti;
Io le vo’ pur vedere,
E cercare, e savere,
Da poi, che del peccato
Mi son penitenziato,
E sonne ben confesso,
E prosciolto, e dimesso.
I’ metto poco cura
Di andare a la Ventura.
Così un dì di festa
Tornai a la foresta,
E tanto cavalcai,
Ched io mi ritrovai
Una doman per tempo
In su ’l monte de l’Empo
Di sopra in su la cima.
E qui lascio la rima,
Per dir più chiaramente
Ciò, ch’i’ vidi presente.
Ch’i’ vidi tutto ’l mondo,
Sì com’egli è rotondo,
E tutta terra, e mare,
E ’l foco sopra l’a’re.
Ciò son quattro alimenti,
Che son sostentamenti
Di tutte creature,
Secondo lor nature.
Or mi volsi di canto,
E vidi un bianco manto
Così da la finestra
Da una gran ginestra;
Et i’ guardai più fiso,
E vidi un bianco viso
Con una barba grande,
Che su ’l petto si spande:
Ond’i’ m’assicurai,
E ’nnanzi lui andai,
E feci uno saluto;
E fui ben ricevuto.
Et i’ presi baldanza,
E con dolce accontanza
Li domandai del nome,
E chi egli era, e come
Si stava sì soletto
Senza niun ricetto.
E tanto ’l domandai,
* * * * *
Colà dove fue nato
Fu Tolomeo chiamato,
Mastro di strolomia,
E di filosofia:
Et a Dio e piaciuto,
Che sia tanto vivuto.
Qual che sia la cagione,
Io ’l misi a ragione
Di que’ quattro alimenti,
E de’ lor fondamenti;
E come son formati,
Et insieme legati.
Et ei con belle risa
Rispose ’n questa guisa.