Il Re della Prateria/Parte prima/6. Il Gulf-Stream
Questo testo è completo. |
◄ | Parte prima - 5. Il marchesino Almeida | Parte prima - 7. L'evasione del marchesino | ► |
Capitolo Sesto.
Il Gulf-stream.
Il tempo che si manteneva buono, quantunque verso la costa brasiliana fossero sempre addensate considerevoli masse di vapori, favoriva la navigazione.
L’Albatros, che era una vera nave da corsa, dopo di essersi allontanata considerevolmente dalla terra più vicina per far perdere le tracce degli inseguitori, dato il caso che il marchese avesse diretto le ricerche da quel lato, aveva messo la prua verso il nord per raggiungere il capo di San Rocco che si protende verso l’Atlantico, più di qualunque altro punto delle coste dell’America meridionale.
Nulla era venuto a turbare la tranquillità che regnava a bordo della nave negriera, dopo il colloquio burrascoso del marchesino Almeida e del barone di Chivry. Il giovanotto, che dapprima aveva fatto tante minacce e che pareva deciso a ribellarsi contro tutti, pareva che si fosse rassegnato a quella forzata prigionia.
Si manteneva tranquillo nella sua cabina, passando la maggior parte del tempo a guardare l’Oceano attraverso il sabordo di poppa ed a fantasticare. Faceva buon’accoglienza al gigantesco Mumbai incaricato della pulizia della cabina e di portargli i pasti; anzi qualche volta scambiava con lui poche parole interrogandolo sulla rotta della nave o sui costumi marinareschi; ma guai se il barone si mostrava sulla porta della cabina!
Allora quella calma, più apparente che reale, si convertiva come per incanto in un impeto di furore irrefrenabile e pareva che diventasse pazzo. Due volte gli si era slanciato contro per strangolarlo e i marinai avevano faticato assai a strapparglielo dalle mani. Per questo motivo il barone aveva rinunciato a visitare l’intrattabile prigioniero, come pure aveva rinunciato il capitano Nunez che non godeva miglior simpatia. Pareva che il signor di Chivry soffrisse assai di quelle brutte accoglienze, e più volte fu sul punto di scendere nella cabina del prigioniero per dargli, chissà mai, quali spiegazioni, ma si frenava e pareva che si calmasse ripetendo:
— Un giorno forse non mi odierà più! —
Il 20 aprile l’Albatros, che ormai si trovava a poche diecine di leghe dal capo di San Rocco, entrava nella grande corrente equatoriale, le cui acque, più azzurre di quelle dell’Oceano, si distinguevano con sufficiente chiarezza.
Questa grande corrente, che deriva da quella del capo di Buona Speranza, attraversa l’Oceano atlantico da est a ovest, e giunta presso il 30° meridiano, si divide in due rami distinti. Quello che piega verso il sud, lambe le coste del Brasile e si perde verso la foce del Rio della Plata, forse in causa dell’impeto della fiumana gigante; l’altro invece, che è il principale, rimonta verso le Antille e si versa nel Golfo del Messico formando quella grande corrente che prende il nome di Gulf-Stream, o corrente del Golfo.
È la più grande, la più rapida, la più meravigliosa che solchi le acque salate del nostro globo. È un vero fiume, ma un fiume immenso, che scorre in mezzo all’Oceano atlantico, più rapido dell’Amazzoni, più impetuoso del Mississippi, e così gigantesco, che la massa unita di questi due fiumi non rappresenta che la millesima parte delle acque da lui spostate. Acquistata maggior velocità nel golfo messicano in causa del restringersi delle sue acque; gira dapprima attorno al mare delle Antille, costeggia la Florida e all’altezza di New Jersey si spande nell’Atlantico percorrendolo fino alle coste dell’isola di Terranuova; poi devia verso l’est, attraversa l’Oceano raffreddandosi un po’, tocca le coste occidentali dell’Europa, la Gran Bretagna, la Scozia, l’Irlanda, la Norvegia, e si perde nei paraggi delle isole Spitzberg, dopo aver percorso oltre mille leghe.
Appena uscito dal Golfo, ha una larghezza di quattordici leghe, una profondità di mille piedi e una rapidità di otto chilometri all’ora; ma questa di mano in mano scema avvicinandosi alle coste europee.
Il signor di Chivry che stava quasi tutto il giorno in coperta, udendo annunciare la vicinanza della corrente equatoriale, era salito sul castello di prua per meglio osservarla, accompagnato dal capitano Nunez che aveva dato l’ordine di dirigere l’Albatros nel bel mezzo di quello strano fiume, avente per letto e per sponde l’Oceano, e della cui velocità intendeva giovarsi per giungere più rapidamente all’arcipelago delle Antille.
— La vedete? — chiese al barone.
— Perfettamente, — rispose di Chivry. — Le sue acque spiccano nettamente su quelle dell’Oceano, che ora mi sembrano più sbiadite.
— È di una non piccola efficacia per le navi che vanno nel Golfo del Messico. Mi giovo sempre di questa corrente quando lascio le coste dell’Africa per venire al Brasile o per andarmene a Cuba.
— Lo credo. Quale velocità può avere?
— Presso il capo di Buona Speranza percorre circa quattro chilometri per ora, ma poi perde la sua velocità di mano in mano che s’inoltra nell’Atlantico, e la riprende più rapida nel Golfo del Messico.
— Ma allora la corrente si chiama Gulf-Stream.
— Sì, signor di Chivry.
— E da cosa credete voi che derivi questa grande corrente?
— Da un intero sistema di movimenti oceanici determinati da una ragione facilissima.
— Non vi comprendo, capitano.
— Mi spiego, signor di Chivry. Un tempo si credeva che le correnti, e specialmente il Gulf-Stream, fossero causate dalle correnti dei fiumi. Si diceva, per esempio, che quella del Messico era prodotta dalle acque del Mississippi a causa della loro forza, supposizione questa molto barocca, poichè non si può ammettere che un fiume abbia tanta forza da aprirsi il varco attraverso gli oceani per un migliaio di leghe.
Franklin invece suppose che quella del Messico fosse causata dai venti alisei del nord-est, i quali, secondo lui, dovevano accumulare l’acqua dell’Oceano nel Golfo, costringendola poi a uscire dall’altra parte, ossia dal canale di Bahama; ma studi più accurati hanno fatto luce piena su questi grandi fiumi oceanici e sulle cause che li producono.
Quelle porzioni degli oceani che si trovano in prossimità dell’Equatore, in causa dell’evaporazione a cui vanno soggetti pel grande calore solare e pel loro riscaldamento, fanno perdere agli strati superiori delle loro acque una parte della loro gravità! Cosa ne deriva?
— Un disequilibrio, — rispose di Chivry.
— Avete indovinato. L’Oceano adunque deve disequilibrarsi, e questo viene ristabilito dalle grandi correnti polari, le quali, trascinando seco acque più fredde e più dense, occupano gli spazi abbandonati dalle acque alleggerite dalla evaporazione e dal riscaldamento. Queste correnti polari corrono perpendicolarmente all’Equatore, occupando gli spazi abbandonati dalle acque più leggere e svaporate, ma prima di giungervi, il loro movimento iniziale viene deviato dall’influenza della rotazione diurna della terra che le costringe a prendere una direzione obliqua. Questo continuo perturbamento delle acque equatoriali forma la grande corrente del Gulf-Stream.
— È molto larga questa corrente?
— All’uscita del Golfo messicano ha una larghezza di sessantaquattro chilometri, all’altezza di Charleston raggiunge i dugentoquaranta, e più oltre i cinquecento e anche più.
— Ma le sue acque sono fredde o calde? — chiese il barone, che prestava molta attenzione a quelle spiegazioni.
— Calde; anzi vi dirò che l’ammasso di calorico sparso in un sol giorno sulle regioni che esso percorre è tale, che se si potesse svolgere istantaneamente, sarebbe capace di portare alla temperatura del ferro fuso la colonna atmosferica che sovrasta a tutta la corrente. Però non conserva sempre una temperatura eguale, poichè di mano in mano che si allontana dalle regioni equatoriali, si raffredda. Se la memoria non m’inganna, io so che a Sandy-Hock la sua temperatura fu riscontrata di 23° centigradi alla superficie e di 18° a 22° alla profondità di dugento metri e di soli 2° a 4° alla profondità di seicento, mentre sulle coste europee non ne conservava che 18° alla superficie e soli 3° a dugentocinquanta metri di profondità.
— E credete voi, capitano Nunez, che sia utile questa corrente o dannosa? Mi hanno detto che le grandi nebbie, che riescono così pericolose alle navi che si recano a Terranuova, sono causate dal Gulf-Stream.
— È vero, signor di Chivry, — disse il negriero. — Le acque calde della corrente incontrandosi con quelle fredde che scendono lungo le coste del Labrador e recanti gli ammassi di ghiaccio che si staccano dai grandi banchi polari, cagionano nebbie intense sommamente pericolose alle navi; ma se non vi fosse la corrente, vi dirò pure che l’Inghilterra e tutte le terre del nord-ovest dell’Europa non godrebbero il clima relativamente mite che oggidì hanno, e nulla avrebbero da invidiare alle gelide coste della baia di Hudson e di Baffin. Il loro clima lo devono alla benefica influenza delle acque della corrente, le quali spargono una gran parte del loro calorico lungo le coste europee che radono.
— Ma, durante gli uragani, non riesce pericolosa questa corrente?
— Tutte lo diventano quando il vento si scatena, sollevando le acque. Allora fra la corrente e il mare circostante s’impegnano lotte furibonde che i navigli devono evitare.
Mi ricordo che una volta il Gulf-Stream, spinto dal vento, ricacciò verso la foce il fiume Bahama, il quale, non potendo più scaricarsi, si alzò per oltre trenta piedi. Mi ricordo pure che nel 1780 la grande corrente, sollevata da un terribile uragano, uscì furiosamente dal suo letto rompendo le acque dell’Oceano che le facevano argine e si rovesciò con tale furore contro il grande arcipelago delle Antille, da squarciare perfino le terre, da demolire intere colline, annegando circa ventimila persone.
— Che lotta mostruosa deve essere stata!
— Lo credo, signor di Chivry. —
In quell’istante, verso l’ovest, apparve un punto oscuro che spiccava nettamente sull’azzurra superficie del mare. Era il capo di San Rocco, uno dei capi più sporgenti dell’America meridionale.
Il capitano Nunez, dopo d’aver fatto il punto per essere più certo del fatto suo, lanciò l’Albatros verso il nord-ovest, onde rimontare la costa americana che si ripiega verso l’est fino presso la foce dell’Amazzoni, per riprendere di poi la direzione settentrionale fino al capo Orange.
In quel giorno, per la prima volta, vennero a svolazzare nei pressi della nave negriera i rincopi, uccelli che per lo più si tengono nel mare delle Antille, ma che di frequente s’incontrano sulle coste settentrionali dell’America del Sud, spingendosi fino alle spiagge del Brasile.
Questi volatili sono grandi distruttori di pesci. Percorrono senza posa il mare, tenendosi a fior d’acqua. Il loro becco è piatto e si compone di due mandibole sovrapposte come le due lame di una forbice, però quella superiore è di un buon terzo più corta dell’inferiore.
Quando l’uccello pesca, sfiora rapidamente il mare tenendo immersa nell’acqua solamente la mandibola più lunga, mentre l’altra rimane aperta. Appena s’imbattono in un pesciolino, i rincopi la chiudono con rapidità fulminea e d’un colpo inghiottono la preda.
Il signor di Chivry, che cominciava ad averne abbastanza dei cibi salati di bordo e che desiderava un po’ di carne fresca, si fece portare in coperta un fucile da caccia ed abbattè parecchi di quei volatili, nel momento in cui passavano sopra la nave. Dovette però più tardi confessare che quella carne fresca, che sapeva di pesce e di olio rancido malgrado le salse piccanti preparate dal cuciniere di bordo per renderle meno sgradevoli, non valeva gran cosa.
Il giorno dopo, il tempo che fino allora si era mantenuto favorevole, accennò a cambiare. Il vento crebbe di violenza, obbligando l’equipaggio a prendere terzaruoli sulle vele basse ed a imbrogliare i pappafichi e i contropappafichi, e l’Oceano cominciò ad agitarsi coprendosi di candida spuma e facendo rollare fortemente il veliero.
Violenti acquazzoni si succedevano ad intervalli di due in due ore, obbligando il signor di Chivry a rimanersene sotto coperta.
Al tramonto fu veduto, verso l’est, un piroscafo che pareva in rotta alle lontane coste dell’Europa. Si mostrò un momento sull’orizzonte, poi sparve fra le tenebre che cominciavano a calare con quella rapidità che è propria delle regioni equatoriali.
La notte fu cattiva. Violentissime raffiche si rovesciarono sull’Oceano sollevandolo a grandi altezze. Alcune montagne d’acqua varcarono le murate dell’Albatros e si sfasciarono in coperta atterrando gran parte degli uomini di quarto.
Il capitano, che non aveva abbandonato il ponte di comando, fu costretto a far chiudere i sabordi di babordo e di tribordo e ad assicurare i cannoni. Anche gli sportelli di poppa furono chiusi, per impedire ai marosi di allagare il quadro.
Mumbai, che era incaricato di vegliare sul marchesino, discese più volte nella cabina del prigioniero per rassicurarlo; ma lo trovò sempre coricato e addormentato. Pareva che quell’incessante e i muggiti delle onde non facessero molto effetto sul giovane brasiliano.
All’alba il cielo si rasserenò e il vento scemò di violenza; ma l’Oceano si mantenne parecchie ore agitato, specialmente verso il sud, dalla cui direzione salivano delle lunghe ondate, segno evidente che più oltre la burrasca continuava ancora. Il 20 aprile l’Albatros giungeva in vista dell’isola Marajo e navigava nelle acque dolci dell’Amazzoni, la cui corrente si spinge fino a venti miglia dalla foce, aprendosi il passo fra le acque salate ed amare dell’Oceano atlantico.