Il Re della Prateria/Parte prima/2. La costa brasiliana

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Capitolo Secondo.

La costa brasiliana.



Trovatosi all’aperto, il signor di Chivry si arrestò alcuni istanti come per orizzontarsi; poi si diresse verso il molo che era ingombro di vascelli appartenenti a tutte le nazioni del mondo, e fissò i suoi occhi su di un brick della portata di milledugento o milletrecento tonnellate, che stava ancorato nel mezzo della baia.

Lo osservò per parecchi minuti, ammirando la svelta e alta alberatura, le forme slanciate della sua carena, l’acutezza del suo sperone, e contando i sabordi attraverso i quali si allungavano le bocche di quattro cannoni di grosso calibro.

— Il legno è solido e deve filare come una rondine marina, — mormorò. — Quel Nunez può vantarsi di possedere un bel veliero.

Si portò dall’altra parte dello scalo, e guardò a poppa del legno, sul cui cassero si scorgeva un altro cannone, di quelli così detti da caccia, grossi pezzi che usano portare le navi negriere. Aguzzò gli occhi, fissandoli sul coronamento, sotto cui, in lettere dorate, si leggeva: Albatros-Cadice.

— Il nome è proprio adatto, — disse il signor di Chivry sorridendo. — La nave filerà come l’uccellaccio di cui porta il nome. Benissimo! Ora possiamo partire. — [p. 12 modifica]

Levò l’orologio che portava nella larga fascia rossa che cingevagli i fianchi, e guardò.

— Le due, — disse. — Siamo esatti; gli uomini mi devono aspettare e la macchina deve essere sotto pressione da dieci minuti. —

Si calò sugli occhi il largo cappello, una specie di sombrero messicano con un’immensa tesa, si avvolse nel serapè malgrado che il caldo fosse intenso e si rimise in cammino, lungo la riva.

Giunto di fronte all’isola dei Cobras, e precisamente nei pressi della chiesa di San Bento, in un luogo sgombro di navi e pel momento deserto, si arrestò dinanzi ad una grande scialuppa a vapore ancorata presso lo scalo, e dalla cui ciminiera uscivano nembi di fumo nerissimo, misto a scintille.

La montavano sei uomini, sei marinai a giudicarli dalle vesti [p. 13 modifica]che indossavano, ma che avevano certe fisonomie particolari da rassicurare poco. Due erano bianchi, gli altri quattro erano meticci, uomini di potente muscolatura, e dotati di un’agilità e di una vivacità straordinaria.

Vedendo giungere il signor di Chivry, lo salutarono fissandolo in volto.

— Siamo pronti? — chiese il francese.

— La macchina è sotto pressione, — rispose uno dei due bianchi, che pareva il capo.

— Le mie armi?

— Sono a bordo, rinchiuse nella cassa della Eccellenza Vostra.

— I viveri?

— Sono stati imbarcati fino da ieri sera.

— Partiamo. —

Balzò nella scialuppa, si sedette a poppa prendendo la barra del timone, poi disse:

— Avanti, e a tutto vapore. —

I meticci allontanarono la scialuppa con una scossa vigorosa, l’elica si mise in movimento mordendo furiosamente l’acqua, e i sette uomini furono trasportati attraverso alla baia, in una rapida corsa.

Il signor di Chivry spinse dapprima la scialuppa verso l’isola dei Cobras, per evitare la triplice fila di velieri e di vapori che si estendeva dinanzi ai docks, poi virò di bordo, mettendo la prua fra le due penisole che chiudono l’ampia baia, alle cui estremità si vedevano giganteggiare i forti di San Joao e di Santa Cruz.

In quindici o venti minuti superò il passo, lasciò a tribordo l’isola Tucinha e la rapida imbarcazione si slanciò muggendo e fischiando sulle acque dell’Oceano Atlantico, tagliando coll’acuto sperone le lunghe ondate che venivano dal largo, e lasciandosi a poppa una scia spumeggiante che si perdeva in lontananza.

— La rotta? — chiese il capo dell’equipaggio, avvicinandosi al francese col berretto in mano.

— L’imboccatura del Rio Grande del Sud.

— Si va laggiù, signore?

— Sì, signor Juvencio de Aguiar, — rispose seccamente il signor di Chivry. [p. 14 modifica]

— È la che faremo il colpo, Eccellenza?

— Vedremo.

— Là o altrove, poco importa.

— Lo credo.

— Il signore paga come un proprietario di miniere, e noi obbediremo sempre.

— Lo spero.

— Desidera altro?

— Una risposta.

— M’interroghi.

— Sono fidati i vostri uomini?

— Vostra Eccellenza non avrà da lagnarsi di loro.

— Pronti a tutto?

— Anche a dar fuoco a una città, se Vostra Eccellenza lo desidera.

— Basta così: alla vostra macchina, e badate che la scialuppa non rallenti la corsa, poichè ho i giorni contati.

— Il carbone non mancherà prima di giungere alla foce del Rio, anzi spero che andremo più innanzi senza imbarcarne altro.

— Sta bene: al vostro posto. —

Il francese trasse una piccola bussola, la guardò con profonda attenzione per orizzontarsi; indi diede mezzo giro di timone lanciando la scialuppa al largo, in modo da evitare la profonda insenatura che la costa brasiliana descrive, cominciando da Rio Janeiro e terminando presso l’isola di Santa Caterina.

Un profondo silenzio, rotto solo dai muggiti della macchina che funzionava rabbiosamente, regnò ben presto a bordo della rapida imbarcazione. Il francese era ricaduto nelle sue meditazioni e guardava distrattamente le onde che venivano a infrangersi contro la prua: il macchinista non pareva occupato che a riempire la macchina di carbone, onde la velocità si mantenesse costante, e gli altri stavano seduti sui banchi colle braccia incrociate, senza pronunziare parola.

Il mare si manteneva tranquillo, ed il cielo era così limpido, da permettere di scorgere i profili acuti della Sierra di Layes, quantunque la distanza fosse ragguardevole: se non avveniva qualche cambiamento di tempo, la scialuppa, che divorava la via con [p. 15 modifica]crescente rapidità, poteva ritornare a Rio Janeiro prima del giorno stabilito.

Calata la notte, il signor di Chivry fece accendere i fanali per evitare qualche collisione; cosa non difficile a succedere in quei paraggi che sono tanto frequentati dalle navi provenienti dai porti dell’Europa o dai porti del sud, che esercitano un grande traffico con quelli dell’impero brasiliano.

Verso la mezzanotte, dopo d’aver raccomandato agli uomini di quarto di fare buona guardia, il signor di Chivry aprì la sua cassetta, levò un paio di pistole, le caricò con cura studiandosi di farsi vedere dai suoi uomini, se le mise alla cintura e avvoltosi nel suo serapè, si sdraiò su di un banco per prendere un po’ di sonno. Da quelle diverse manovre si capiva, che dei suoi uomini si fidava molto poco, e che temeva qualche brutto tiro.

Nulla però accadde durante quella prima notte; i suoi arruolati se ne stettero tranquilli ai loro posti, procurando di non scemare la velocità della scialuppa, la cui macchina sbuffava incessantemente e con tale violenza da far vibrare e scricchiolare la prua, la poppa e le costole del piccolo legno.

All’alba il francese, che aveva dormito tranquillamente come si fosse trovato in un comodo letto anzichè sul duro banco d’un battello, si ripose al timone. Corresse la rotta dirigendo la scialuppa verso la costa americana, essendo l’Oceano un po’ agitato, ed essendo sicuro di aver evitata tutta la profonda insenatura; poi volgendosi a Juvencio de Aguiar, gli chiese bruscamente:

— Conoscete la laguna dos Patos?

— Sì, Eccellenza, — rispose il capo degli arruolati.

— L’avete percorsa?

— Più volte.

— È frequentata?

— Da pochi battelli a vapore e da pochi velieri che si recano a Porto Alegre.

— Meglio così. —

Guardò l’Oceano per qualche istante, poi riprese:

— Conoscete Porto Alegre?

— Ci sono stato due volte. [p. 16 modifica]

— Avete mai veduto una vasta possessione che si chiama San Joao do Livramento? —

Il capo pensò alcuni istanti, frugando e rifrugando nella sua memoria; poi disse:

— Vostra Eccellenza intende parlare della borgata di Sant’Anna do Livramento che si trova sulla collina dello stesso nome?

— No.

— Aspetti un po’...; sì, è così, si trova in riva al Rio Jacuhy a dieci o dodici miglia da Porto Alegre.

— Conoscete il proprietario?

— Non so chi sia.

— Lo dite sinceramente?

— Può credermi; non sono avvezzo a mentire. —

Un sorriso sardonico spuntò sulle labbra del signor di Chivry a quella affermazione, che suonava male in bocca a un tale individuo, poi borbottò:

— Tanto meglio.

— La costa! — esclamò in quell’istante uno dei quattro meticci.

Il francese, che stava sempre al timone spinse la barra all’orza, facendo descrivere all’imbarcazione un mezzo giro a tribordo, poi guardò attentamente verso l’ovest.

A dodici o quindici miglia appariva un gruppo d’isole, le quali spiccavano nettamente sul purissimo orizzonte.

Era il gruppo di Santa Caterina formato dall’isola omonima, da San Francesco e d’altre piccole terre, e che dà il nome a quella provincia, che si estende lungo il litorale per cinquecento miriametri.

Santa Caterina è la più importante, e si può anzi dire che il suo porto, che si chiama Desturro, e che ha una popolazione di circa 8000 anime, è uno dei più frequentati del Brasile e uno dei più belli.

Il litorale dipendente dall’isola si chiama Layes, ma non è che un distretto, quantunque abbia una superficie vastissima. È un territorio elevato, fertile e salubre, bagnato da molti affluenti del Paraguay e dell’Uruguay, attraversato da una lunga catena di montagne, che chiamasi Sierra di Layes. [p. 17 modifica]

Quantunque abbia una estensione di circa 800 miriametri quadrati, ha una popolazione molto scarsa: è assai se tocca le 110,000 anime, e questa è composta più di tedeschi che di brasiliani. È indubitato però che a questo vasto territorio è riserbato un bell’avvenire, anche per la sua vicinanza colla Repubblica Argentina, col Paraguay e coll’Uruguay.

La scialuppa che non distava molto dall’imboccatura del Rio Grande del Sud, si mise a seguire la costa brasiliana che appariva qua e là montuosa e coperta da immense boscaglie.

Verso sera il signor di Chivry fece rallentare la corsa, essendo diventati frequenti gl’incontri delle navi ed essendosi il cielo coperto di grossi nuvoloni.

Per maggior precauzione si avvicinò ancor più alla costa per rifugiarsi in una delle tante insenature, nel caso che l’oceano diventasse troppo cattivo.

Tutta la notte larghe ondate, colle creste coperte di candida spuma e che un fresco vento dell’est spingeva addosso alla costa, urtarono la scialuppa facendola rollare disperatamente. Il signor di Chivry non lasciò un solo istante il timone, e più volte fu costretto a far vuotare l’acqua, che le onde avventavano al disopra dei bordi.

Verso l’alba però il vento cadde e l’Oceano riprese la sua calma. La scialuppa era allora poco lontana dalla larga foce del Rio Grande o meglio dalla laguna dos Patos.

A mezzogiorno il capo degli arruolati si avvicinò al signor di Chivry.

— Ci siamo, — disse.

— Dov’è il passo?

— Laggiù, all’estremità di questa lunga penisola.

— Prendi il timone dunque.

— Devo far preparare le armi?

— Non sono necessarie per ora.

— Ma dove andiamo?...

— Dove voglio io.

— Come piace a Vostra Eccellenza.

— Entriamo nella laguna e bada di non urtare. —

Il capo degli arruolati lanciò l’imbarcazione verso l’ovest, là dove si vedeva aprirsi nella costa una larga imboccatura. [p. 18 modifica]

Passò come una freccia fra l’isola dos Marinheiros e la città di Rio Grande, che è situata sulla sponda settentrionale della laguna, alla foce del così detto Rio del Sud, fondata nel 1737 dal brigadiere Josè da Silva Paes, un tempo capitale di tutta la provincia, ed ora innalzata a capitaneria generale; poi piegò verso il nord e si trovò in mezzo ad un ampio braccio di mare. Quel vasto tratto d’acqua era la laguna dos Patos, o meglio delle Anitre, la quale si prolunga per dugento chilometri fino oltre Porto Alegre, prendendo più sopra il nome di Guahuba.

È alimentata da parecchi fiumi, fra i quali primeggiano il Guahuba, il Jacuhy, il Grevàtahy, il Rio do Sinos, il Camacuam e il San Gonzales, che unisce la laguna a quella di Mirim situata sulla costa dell’Oceano, all’estremità della provincia di San Pietro del Rio Grande.

Nel momento in cui la scialuppa entrava nella laguna, questa sembrava deserta, e solamente in lontananza qualche battello a vapore o qualche piccolo legno a vela apparivano: invece immenso era il numero delle anitre che volteggiavano per l’aria, facendo un baccano assordante.

— Devo tenermi lontano dalle coste, Eccellenza? — chiese il capo dell’imbarcazione.

— Sì, finchè si può, — rispose il francese. — Non amo che ci vedano.

— E andiamo?

— A Porto Alegre ora.

— Ci giungeremo tardi.

— Bisogna che io mi trovi colà prima che si chiudano le trattorie e i caffè.

— Conta di pernottare a Porto Alegre?

— Lo vedremo. —

Poi il francese volse le spalle al capo e si mise a guardare distrattamente la costa orientale, che era la più vicina e che appariva coperta da grandi alberi, fra i quali si distinguevano senza fatica taluni di quei jatolà, alti più di trenta metri, con un tronco che ha sovente una circonferenza di dieci, e non pochi cabaca, alberi che producono frutta così enormi da adoperarne i gusci come recipienti. [p. 19 modifica]

La terza notte calò, ma Porto Alegre non era ancora in vista. Il francese, per la prima volta dacchè si era imbarcato, cominciò a dare segni d’impazienza.

Si vedeva guardare spesso l’orologio e si udiva borbottare:

— Più presto!... Più presto!... —

Alle nove il capo dell’equipaggio, che aguzzava gli occhi verso il nord, additò al signor di Chivry dei punti luminosi che apparivano sulla linea oscura dell’orizzonte.

— Che cosa sono? — chiese.

— È Porto Alegre, — rispose il capo.

Il francese mise un sospirone mormorando:

— Il marchesino è mio!... —