Il Quadriregio/Libro terzo/XIV
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CAPITOLO XIV
Della lussuria e delle sue specie.
Su nell’ultima piaggia io era giunto;
e, quando per la strada io movea ’l passo,
scontrai Cupido, il qual m’avea trapunto,
non però mai ch’e’ mi gittasse al basso:
5timor di Dio e vergogna del mondo
mi tennon ritto come quadro sasso.
Trovai adunque lui vaghetto e biondo,
de cui beltá negli altri versi scrissi,
che mai sí bello fu, né sí giocondo.
10Ma ora veggio ben che ’l falso dissi;
ch’egli è crudele e brutto e pien di tosco,
chi ben rimira lui cogli occhi fissi.
Quando mi vide, egli fuggí in un bosco,
ch’era ivi appresso, ove nulle eran frondi;
15ma era smorto, secco e tutto fosco.
— Perché, Cupido, da me ti nascondi?
— chiamava io forte, dietro seguitando;—
perché pur fuggi, perché non rispondi?
Io son colui che teco venni, quando
20le ninfe mi mostrasti e la via dura,
e sempre stetti presto al tuo comando.
Demostra la tua faccia bella e pura.—
Allor voltossi, ed era sí travolto,
che, quando el vidi, mi mise paura.
25Egli era smorto, e gli occhi brutti e ’l volto;
e su nel capo nero avea due corni,
e gli atti avea pazzeschi come stolto.
Allor fuggio da me com’uom che scorni,
coll’arco in mano e cogli oscuri dardi;
30né credo che piú a me giammai ritorni.
La dea a me:— Se questo Amor riguardi,
egli è cosa infernal, e chi lo scuopre
conosce i modi suoi falsi e bugiardi.
Chiamato è ’l forte dio nel mondo sopre
35da quegli stolti, che sol guardan fòre
all’apparenza, che spesso il ver copre.
Ma, perché sappi ben che cosa è amore,
sappi che amore è presente diletto
ovver futur piacer, che spera il core.
40E questo puote aver triplice obietto:
primo è l’utilitá, qual se si toglie,
manca l’amor, che all’util facea aspetto.
L’altro è amor vero, a cui le verdi foglie
non secca tempo o loco, e che sta fermo
45ad ogni caso, che Fortuna voglie;
e non è losinghiero in atti o sermo
e coll’amico sta costante e vivo,
quando è in avversitá povero o infermo.
E questo vero amore, il qual descrivo,
50si chiama virtuoso ovver onesto,
tesoro alli mortal celeste e divo.
Il terzo amor, ch’io dico dopo questo,
«piacer concupiscibile» si chiama,
ché sol da corporal desio è desto.
55E questo è il folle amore, il qual tant’ama,
quanto dura il diletto e la bellezza,
e poi si secca in lui la verde rama.
Questo è Cupido, di cui gran fortezza
racconta il mondo e ch’a nullo perdona
60e che infiamma li dii e la vecchiezza;
e che giá ferí Febo si ragiona,
quando la bella Dafne si fe’ alloro,
che imperatori e poeti incorona;
e ch’egli porta le saette d’oro,
65e Pluto innamorò, quando gli piacque,
e Iove fe’ mutar in cigno e toro.
Di questo anco si dice ch’egli nacque
di quella che fu data a dio Vulcano,
nata de’ membri osceni in mezzo all’acque.
70E dal ver, forse, questo non è strano;
ché di Venus, cioè concupiscenza,
nasce Amor cieco, fanciullesco e vano;
e da quel nasce poi la rea semenza
di molti vizi, a’ quai lussuria induce.
75E, perché n’abbi perfetta scienza,
sappi che la Natura e l’alto Duce
ad alcun fin perfetto ha ordinato
ogni appetito che ’n voi si produce.
E, se da quel buon fin è disviato,
80quanto quel fine ha piú perfezione,
chi erra in quello fa maggior peccato.
Tra tutte cose uman, che sonno buone,
la meglio è conservar l’umana spece,
prima nell’esser, poi in coniunzione.
85Ed a questi duo fin l’alto Dio fece
l’appetito lascivo: a questo solo,
ed a null’altro fine usarlo lece.
Di questo al padre nasce il bel figliolo
e tutta prole umana, il degno frutto
90fatto a laudare Dio nell’alto polo.
E, se questo buon fin fusse distrutto,
mancaría l’uomo, amore e parentele
e stato di vertú verría men tutto.
Adunque quel peccato è piú crudele,
95dal qual questo buon fine è impedito;
e questa specie a Dio piú è infedele.
Questo è il vizio nefando subdomito,
pien di vergogna detestando scelo
e strazio umano e infernale appetito,
100pel qual il foco piobbe giá da cielo
infino a terra e aprilla ed engollosse
insieme il biondo col canuto pelo,
l’un ch’era stato, e l’altro che non fosse
corrotto tanto. Ahi, smisurato eccesso,
105che Dio facesti che tant’ira mosse!
Per questo in terra fu il diluvio messo,
quando Dio vide che malizia tanto
avea corrotto l’uno e l’altro sesso.
E, per disfar cotanto infetta pianta,
110Noè servò e i figli dentro all’arca,
sola nel mondo la progenie santa.
Natura d’esta offesa si rammarca
innanti a Dio e priega ch’egli scocchi
le sue saette quel sommo Monarca.
115Dell’altro vizio omai convien ch’io tocchi,
ch’è grosso come trave, e quasi stecca
vien reputato da’ miseri sciocchi.
Dicon che uomo e femmina non pecca,
consentendosi insieme, essendo sciolti,
120se l’un coll’altro fornicando mecca.
E, perché in questo error son ciechi molti,
tanto è piú grave il mal, se ben discerno,
quanto nel suo error ne tien piú involti.
Sappi che ha ordinato Dio eterno
125che tutti gli animali, i cui figlioli
richiedon padre e madre e suo governo,
che insieme s’apparecchino duo soli,
(o reptile che sia o quadrupéde,
o che in acqua ovvero in aere voli),
130e stiano uniti insieme in questa fede,
ché, quando avvien che alcun di loro si parte,
s’abbandonan li figli, s’e’ non riede.
E, se il padre e la madre ognun ci ha parte
giá nella nata ovver nascenda prole,
135pensa se pecca qual di loro si parte;
ché, se l’un lassa l’altro, quando vuole,
chi il patrimonio e senno dá alli figli?
chi guarda e dá la dote alle figliole?
Però determinonno i gran consigli
140della ragione e delli saggi antichi
che sien le mogli e sien padrifamigli.
Questa la casa e quel di fuor notríchi
i maggior fatti, ed insieme coniunti
nel matrimonio fedeli e pudichi.
145Del terzo vizio se vuoi ch’io racconti,
è l’adulterio; e piú pericoloso
nullo è nel mondo e che piú altri adonti.
Quando la moglie si tolle allo sposo,
l’animo mite rabido diventa:
150tanto al consorzio uman questo è noioso.
Per questo Troia fu deserta e spenta,
e la real progenie fu disfatta
in Roma, che di Troia fu sementa.
Questo peccato in ciel gran colpa accatta;
155ché avviene spesso che ’l marito pasce
gli altrui bastardi e la moglie gli allatta.
E, quando cresce ed è fuor delle fasce,
avvien che alcuna al fratel si marita
e forse al proprio padre, del qual nasce.
160Perché la moglie è col marito unita
in una carne in fede ed amor puro
per tutto il tempo che dura lor vita,
però chi cerca averla, è ladro e furo;
e, se la donna ad adulterio piega,
165commette anco peccato grave e duro,
ch’è traditrice, fuia e sacriléga,
ch’al matrimonio e fede fa lo ’nganno
ed anco al sacramento che la lega;
e dell’altrui sudore e dell’affanno
170spesso nutríca li figlioli altrui,
onde è tenuta a soddisfar il danno
al marito, che crede che sian sui.—