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capitolo xiv 263

     Allor fuggio da me com’uom che scorni,
coll’arco in mano e cogli oscuri dardi;
30né credo che piú a me giammai ritorni.
     La dea a me:— Se questo Amor riguardi,
egli è cosa infernal, e chi lo scuopre
conosce i modi suoi falsi e bugiardi.
     Chiamato è ’l forte dio nel mondo sopre
35da quegli stolti, che sol guardan fòre
all’apparenza, che spesso il ver copre.
     Ma, perché sappi ben che cosa è amore,
sappi che amore è presente diletto
ovver futur piacer, che spera il core.
     40E questo puote aver triplice obietto:
primo è l’utilitá, qual se si toglie,
manca l’amor, che all’util facea aspetto.
     L’altro è amor vero, a cui le verdi foglie
non secca tempo o loco, e che sta fermo
45ad ogni caso, che Fortuna voglie;
     e non è losinghiero in atti o sermo
e coll’amico sta costante e vivo,
quando è in avversitá povero o infermo.
     E questo vero amore, il qual descrivo,
50si chiama virtuoso ovver onesto,
tesoro alli mortal celeste e divo.
     Il terzo amor, ch’io dico dopo questo,
«piacer concupiscibile» si chiama,
ché sol da corporal desio è desto.
     55E questo è il folle amore, il qual tant’ama,
quanto dura il diletto e la bellezza,
e poi si secca in lui la verde rama.
     Questo è Cupido, di cui gran fortezza
racconta il mondo e ch’a nullo perdona
60e che infiamma li dii e la vecchiezza;
     e che giá ferí Febo si ragiona,
quando la bella Dafne si fe’ alloro,
che imperatori e poeti incorona;