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146 libro secondo

     100Minerva salse il monte e poscia volle
che dietro a lei seguissi le vestige,
se non voleva andar sí come uom folle.
     Quand’io fu’ in cima, vidi il lago Stige,
fatto alla forma ch’io l’avea veduto
105giú nell’inferno in ogni sua effige.
     Io era insino al lito suo venuto,
e per mirar fermai i passi mei,
per la gran nebbia risguardando acuto.
     — Questa negra palude, che tu véi,
110è quella, per cui iura il sommo Iove
— disse Minerva— e iuran gli altri dèi.
     Ciò che cade da cielo, ovver che piove,
ciò che dall’aere o su dal foco cade,
e ciò che l’acqua sé purgando move,
     115si aduna qui da tutte le contrade:
ogni sozzura ed ogni sucidume,
tutta la marcia delle cose frade.—
     Per penetrar la nebbia e ’l folto fume,
facea cogli occhi miei lo sguardo aguzzo,
120come fa alcun, quand’egli ha poco lume.
     Quanto piú m’appressava, maggior puzzo
senteva al naso e tanto n’era offenso,
che soffiando io facea dell’aere spruzzo.
     Tutta la timiama ovver l’incenso,
125che mai d’Arabia ovver d’Assiria venne,
non mitigaría quel fetore immenso.
     Lí eran l’arpie con pallide penne,
con facce umane, storte, irate e guerce,
fetenti sí, che ’l naso nol sostenne.
     130Facean lamenti su le smorte querce,
e ’l misero Fineo mangiava sotto
vivande, ch’eran di lor sterco lerce.
     Una di lor mi disse questo motto:
— O tu, che questo inferno passi vivo,
135dietro alli passi di Palla condotto,