Il Novellino/Parte quarta/Novella XXXVI

Novella XXXVI - Dui cari compagni con strane intermesse l'un gode de la moglie de l'altro, a la fine s'accordano, e ogne cosa insieme abottinano

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Novella XXXVI - Dui cari compagni con strane intermesse l'un gode de la moglie de l'altro, a la fine s'accordano, e ogne cosa insieme abottinano
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NOVELLA XXXVI.




ARGOMENTO.


Doi cari comapgni per uno strano e travagliato caso l’uno conosce carnalmente la moglie de l’altro, e l’altro dell’uno: divolgase el fatto tra loro: per non guastare l’amicizia abbuttinano le mogli e li altri beni, e con quiete e pace insieme godeno.


A LO MAGNIFICO MESSER UGOLOTTO FACINO,

DE LO ILLUSTRISSIMO DUCA DE FERRARA

ORATOR DIGNISSIMO.


ESORDIO.


Se el dolerme de mia prava Sorte, magnifico missere Ugolotto, rendesse al presente mio bisogno alcun profitto, io a lei di lei medesima de continuo me doleria, per cagione che tra la mente revolgendomi li molti onori, le grandi e non simulate accoglienze da te, virtuoso cavaliero, recevute, e non vedere in me modo alcuno a la recompensa de quelli né poco né molto possere satisfare; nondimeno da tale necessità astretto ho avuto recorso a le non saporose erbecciole del mio incolto giardino, de le quali composta la presente insalatuccia a te fiume de eloquentia la mando. E te supplico che senza aspettare da me altra suntuosa cena, assaggiare la debbi, a tale che de quella alcun piacere restandote te possi del tuo Masuccio, ove che col tempo serai, alquanto rammentare. Vale. [p. 384 modifica]


NARRAZIONE.


Non molto lontano da le nostre contrade è un luoco poco noto e meno frequentato, il quale ancora che de gente inculta e de grossa pasta sia abitato, pure poco tempo che vi furono doi giovani l’uno molinaro chiamato Augustino, e l’altro calzolaro per nome ditto Petruccio, tra i quali da loro fanciullezza era contratta tanta amicizia e compagnia quanta per veri amici usata fosse mai; ed avendo ognuno di loro moglie assai giovene e bella, tra esse similmente era una domestichezza e familiarità sì grande e continua che rado o non mai separate se vedeano. Ed in tanta perfezione d’amore perseverando, avvenne che el calzolaro, ancora che bellissima fosse la moglie, pur piacendoli alquanto più la moglie de l'amico, o talvolta per mutare pasto, essendogli un di più che ’l solito da commodità concesso posserle parlare, con acconcia maniera el suo volere con la passione insieme le discoperse. Caterina, che così avea nome la molinaria, intesa tale richiesta, ancora che non molto le fosse rincrescevole, pur senza resposta sdegnosetta gli se tolse dinanzi; e come prima se retrovò con la Salvaggia moglie del calzolaro le disse come el suo Petruccio l’avea di battaglia dimandata. La zavattera1 quantunque turbatissima l'ascoltasse, pur refrenatase alquanto le occorse a un’ora vindicarse del marito, e non guastare in niun atto tanta loro continuata amicizia, e dopo le molte grazie a la cara compagna rendute, la pregò che al marito promettesse di una cotale notte l'aspettare [p. 385 modifica]dentro il suo letto, e che in scambio de sè vi ponesse lei, che ne seguiria grandissimo piacere. La molinara desiderosa de compiacerle disse de farlo: alla quale pochi dì appresso Petruccio con la Caterina trovatosi le fè la simile richiesta e con maggiore instanza che pria fatta le avea; de che lei, che l’ordita trama volea mandare ad effetto, dopo più e diverso non molto caldo negare, mostrò quietarse al suo volere, e avendo a trattare del quando dove e come, la giovene gli disse: Io non ho altra attitudine se non quando mio marito fosse de notte occupato al molino, e allora te potria dentro el mio proprio letto recevere. Petruccio lietissimo rispose: Io vengo adesso dal molino, ed èvvi tanto grano che pria saranno doi terzi de notte passati che de macinar sia fornito. El che lei disse: Sia al nome de Dio, verrai tra le doe e tre ore de notte, che te aspetto, e lasserote l’uscio come sai sono solita lassare a mio marito, e senza altramente fare motto te ne entra in letto: ma dimme come lasserai moglieta, che io la temo più che la morte? Respose lui: Io pur adesso ho pensato farme inprontare l’asino da compare Arciprete, e ad essa dirò che voglio andare fora el paese. Disse lei: Questo me piace assai. E partiti loro ragionamenti, Petruccio andò verso lo molino per rassicurarse della occupatione del compagno, ove tra quel mezzo Caterina diede a la compagna dell’ordine preso col marito pieno avviso. Petruccio che trovato avea lo molinaro e lo molino al suo modo occupato, se ne ritornò in casa, e tutto travagliato fingendose, disse a la moglie che lui voleva in quella ora partire per Policastro per comparare del coriame per la poteca. La moglie che sapeva dove [p. 386 modifica]andare voleva gli disse: Va in bon’ora; e fra sé ridendo disse: questa volta comprarai pure del tuo e non de l’altrui coriame. Petruccio fatta vista de partirsi se occultò a un certo loco del casale, e quivi aspettando l’ora se dimorò. La Caterina come notte fu se n’andò in casa de la Selvaggia, e secondo l’ordine tra esse preso lei se restò, e Selvaggia ne andò a casa de Caterina; e intratasene in letto con piacere aspettava el marito a la disiata battaglia, tra sé più volte ripetendo quello che dopo il fatto gli avesse da dire. Petruccio quando tempo gli parve con lento passo verso la casa del compagno se avviò, ed essendo quasi per entrare sentì e cognobbe che il molinaro se ne ritornava a casa, però che il molino oltre il suo credere era guasto in maniera che per quella notte non se ne averia alcun lavoro possuto fare; de che Petruccio impaurito e poco contento, senza essere stato né visto né sentito se ne ritornò verso casa soa fra sé dicendo: quello che è mancato adesso sarà un’altra volta. Ma per non avere tutta la mala notte compita cominciò quando piano e quando forte a picchiare e chiamare la moglie che gli aprisse. Caterina cognoscendolo a la voce, non solo non gli apriva, ma senza respondergli quieta se stava per non farlo de l’inganno accorto; di che lui alquanto turbato tanto si affaticò che vi aperse, e intrato se n’andò dritto al letto, e sentendo colei che fingeva de forte dormire, demenandola per lo braccio la fé destare, e credendosi che fosse la moglie, sue favole componendo per quale cagione era rimasto d’andare, e dispogliatosi se le pose da lato. Ed essendosi a l’aspettata battaglia preparato deliberò, dopo che nell’altrui terreno non avea [p. 387 modifica]possuto solcare, volere nel suo medesimo il seme spargere, e tenendo per fermo appicciare la soa Selvaggia, recatasi in braccio Caterina gliene donò una picchiata de le bone: el che la poveretta per fargli credere che lei fosse la moglie con piacere e pazienza sel pure sostenne. Il molinaro che lento e affaticato in casa se n’era entrato, e al suo letto postosi per dormire, senza fare motto se stava fermo: Selvaggia estimando del certo che el marito fosse, senza alcuna parola lietamente il ricevette, e dopo che alquanto ebbe aspettato, e non sentendo l’amante darle alcun segno de battaglia, per non essere lei la ingannata e beffeggiata in tale impresa, lo cominciò a tasteggiare: il molinaro che con la moglie credea essere, ancora che più bisogno di dormire che vaghezza di scaramozzare avesse, pur sentendosi e mordere e scherzare, forzato a lavoro, da una in su diede acqua al non suo molino. E parendo a la zavattera tempo de mandare fora el conceputo sdegno, rotto il silenzio, gli prese a dire: Deh traditore cane disleale, chi ti hai creduta tenere in braccio, la moglie del tuo tanto caro amico? al terreno del quale credendote lavorare, forse per servargli amicizia, lo hai più che lo solito coltivato mostrandote sì gagliardo, e a casa pare che non abbi fiato; ma la Dio mercè questa volta t’è pure el pensiero fallito, nondimeno io provederò punirte del tuo peccato. E con simili e assai peggio parole increpandolo, lo molestava che le respondesse. El povero molinaro ancora che a tale partito fosse muto devenuto, pur intendendo le parole cognobbe colei esser la moglie del suo caro compagno, ma comprese el fatto pontualmente come era passato; de che [p. 388 modifica]lo avuto piacere fu subito in merore convertito, e pur col continuo tacere le si tolse da lato; e ancora che dì chiaro non fosse, se n’andò ratto dove estimava del certo che la moglie fosse: e chiamato il compagno che per cosa necessaria a lui venesse, il quale pieno di sospetto fuori uscito, gli disse: Fratello mio, de la toa sola colpa tutti doe ne abbiamo recevuto el danno e la vergogna, e semoci abbattuti a cosa che il tacere ne è più onesto che il parlarne, o farne briga non è necessario. E con grandissimo rincrescimento per ordine gli recontò la istoria come interamente era travenuta, aggiongendo che a lui parea che se la fortuna era stata favorevole a l’astutie e malignità di loro mogli, che essi a loro medesimi non volessero essere inimici e guastare in alcuno atto e diminuire la loro de tanti anni continuata amicizia; e che quello che era stato con inganno per lo innanzi, fosse per emenda del passato rencrescevole errore con comune consentimento e piacere de tutti quattro, e come per addietro aveano tutti loro beni comunicati, così per l'avvenire tra loro le mogli insieme abbottinassero. Petruccio sentendo con la bona conclusione del suo carissimo amico lui avere goduto con lei che unicamente amava, e che il fatto se terminava in amore e carità, deliberò essergli molto più caro lo conservarse l’amico, che per suo mancamento perdere il dovea, che non l’onore del mondo (il quale come oggi e chiaro se vede come cosa poco appregiata non solo se vende ma se ne fa baratto come de vilissima merce), con piacevole viso disse contentarse quanto lo molinaro per comune comodità e loro eterna quiete e pace avea già pensato. E così a non partire chiamata [p. 389 modifica]Caterina, che lei sola non era stata ingannata, e impostole che subito chiamasse la Selvaggia, i quali tutti insieme radunati, ed apertosi tra loro quanto era con inganno seguito, e quanto per la santa unione quiete e pace era tra essi decreto e stabilito; el che a tutti per diversi respetti fu carissimo. E così da qui avanti né de moglie né de altra qualsivoglia natura de roba niuna divisione tra loro fu cognosciuta mai; ed in tale maniera andava la cosa trattata che solo i figliuoli per proprie loro matri cognosceano.


MASUCCIO.


Saranno alcuni che piglieranno in deriso la narrata operatione degli doi cari compagni che volsero la loro amicizia a lo onore comune anteponere; ma io dubito che a chi verrà appresso, se li cieli non fanno altra mutatione, che questo onore che oggi solo per li virtuosi è stimato e celebrato, venerà a termine che sarà con comune dispregio non solo non curato, ma da gli estremi termini della terra con perpetuo exilio discacciato. Però lassando a’ posteri la briga, dico che se la unione fatta tra gli rusticani e villici amici ne avessero preso esempio doi altri nobilissimi compagni nell’amare d’una gentile damigella, de’ quali appresso scrivere intendo, non ne sarebber seguite tante battaglie e morti quante con piacere saranno ricontate.

  1. Zavattera, da zavatta, ciabatta.