Il Novellino/Parlamento
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PARLAMENTO
DE LO AUTORE AL LIBRO SUO.
Essendo la Dio mercè a la fine de la cominciata fatica già venuto, el mio unico e tanto aspettato desiderio ad ultimo e lieto effetto mandato, me pare omai tempo e assai dovuta cosa mandare te, mio umile libretto, nel cospetto de Colei, per la quale tanto al mio fragile intelletto quasi insopportabile lavoro ho già preso. E sappi de certo, Novellino mio, che Lei non solo tra le umane madonne de ogni singulare virtù è illustrata, ma con la deità celeste pò e meritamente essere accompagnata. E però prima da me te sia imposto che con ogni umiltà che tu potrai dinanzi te le rappresenta, e basata che averai la soa candida e formosissima mano, te medesimo senza altro fido latore da mia parte gli te dona, e dopo che ne la soa mercè e piedi me averai recomandato, fa che non te esca de mente de singulare grazia li chiedere, che te come a minimo dono a schivo non prenda. Ma se per avventura tu cognosci che per la toa poca presentia con isdegnoso volto te recevesse, rammentale ch'io non dubito Lei avere tra le degnissime greche istorie già letto come Xerxes, gloriosissimo re de molti regni e potentissimo de gente e de tesori, un dì cavalcando per lo suo dominio accompagnato da molti de soi baroni, come a sì gran principe se richiedeva, essendo al valicare d'un fiume, alla riva del quale era un agricola che con li altrui boi sulcava il non suo terreno, al quale fu detto: Ecco il Re; il poveretto sapendo che de costume antiquato già era che ognuno a la prima vista del Re gli dovesse fare alcuna oblatione, quale poco e quale molto, secondo che era el potere de ciascuno; e lui vedendosi senza modo alcuno possere, come era già debito, il Re in segno di maggioranza onorare, compunto subito da mirabile tenerezza procedente dal centro del suo core, lassati i boi, con frettolosi passi se buttò dentro il fiume in mezzo del quale vide el Re, e con le mani gionte pigliò un pugno d’acqua, e andò verso lui, e gli disse: Signor mio, in me non è oro nè argento nè niuna altra facoltà da posserte, come è già debito, reverire e come a Re mio signore cognoscere, se non de questa poca acqua, quale nelle mie faticose mani già vedi: prendila dunque te supplico con quella purità de core con la quale te la dono, e sappi del certo che se da lieta fortuna me fosse stato concesso, come se te conviene te averia fatta la debita oblatione. Mirabile fu la umanità del Re adoperando gesto degno de vero e naturale gran signore; e non isdegnò inclinare la soa delicatissima bocca nelle lutulente e rozze mani del villico coltivatore della terra a bere de quella acqua, non avendo respetto a la qualità del piccolo dono, ma solo al puro affetto del donatore; e del tenero suo amore rengraziatolo, cavalcò oltre e andossene con Dio. Dunque tornato che avrai a memoria il detto esempio per autorità
qui prodotto, li torna a dire che quantunque io vero cognosca che a la grandezza del suo magnanimo e peregrino spirito ogni suntuoso dono sarebbe scarso, nondimeno se degni non la poca toa qualità ma la grandissima affezione de colui che a donare gli te manda prendere ne debbia; e con quella umanità che Soa Maiestà suole le piccole cose avere care, e tra el detto numero aggregarte li piazza, e de Masuccio suo deditissimo schiavo per alcuno tempo non se pona in oblio. E perchè me persuado che esequito che abbi a bastanza il sopradetto ordine, tu sarai da tale serena Stella lietamente ricevuto, da necessità me pare essere costretto con temperata maniera te instruere come averai tutto il tuo vivente con le altre private genti che te leggeranno da passare.
E prima voglio che per niuno tempo debbi presumere de persuadere pregare o forzare altrui che te debbia leggere, a tale che le longhe e non saporose novelle delle quali tu se' con mal ordine e inornato parlare composto non dieno a chi non vole fastidio e rincrescimento; ma a coloro che volontarii a leggere ti veneranno con piacevolezza grande ogni tuo secreto senza resparagno alcuno gli mostra. Pure starai attento che de certissimo de traverso usciranno alcuni susurroni, ai quali da la natura il ben dire è stato interdetto, e il mordere de' virtuosi da li loro medesimi vizii è stata loro ampia facultà concessa, che me crociaranno de quanto contro la onestà de donne e guasta vita de finti religiosi ho scritto. Novellino mio, fa che nel rispondere sei provisto, e con breve e sententiose parole dirai, che quello che de donne ho narrato, come le più de loro a loro medesime possono rendere testimonio, a respetto de quanto con approbatissima verità ne averia possuto dire, altro non è che a togliere una anguistara d’acqua del mare maggiore. Ma a la partita de’ reprobati religiosi, ove non dubito romperanno le botte, fa che senza turbarti rispondi, e di’, che tu non cognosci che niuna ragione voglia, nè da alcuna onestà sia concesso, che coloro che non usano nè vita nè costumi de religiosi possano o debbiano per religiosi essere tenuti nè chiamati: però che commettono tante evidenti scelleragini e coronate ribalderie quante ne lo passato hanno commesse e ogni di manifestamente de novo commettono, non altramente che per lupi rapaci, anzi per soldati del gran diavolo li potemo e meritamente ascrivere e chiamare: e però se contra de questi tali ho sì largamente e non anco a bastanza parlato, niuno me potrà degnamente reprendere; e certo se io avessi creduto essere stato inteso, mai religiosi, se non1 ministri de Satanasso de loro scrivendo li averia appellati. Stàganose2 dunque li veri e perfetti religiosi nelle loro solitudini sante e approvate religioni, poi che contra de loro io non ho parlato, nè presumerla de parlare; anzi dirai ciò ho detto dico e confesso, che coloro che solo attendono a lo intiero servizio de Dio e a la pura delicatissima celebratione del culto divino, fuggendo il mondo con le soe dolose insidie, donde voluntarii se sono absentati, non solo come religiosi devono essere onorati amati
e recevuti, ma come beati e santi e in vita e in morte da noi meritano essere commendati tenuti e reputati, attento che con infallibile verità se pò dire loro essere diamantine colonne e perpetuo sostenimento de la nostra cristiana religione e fede. E questo basti per finale risposta a coloro che discosti con venenate arme me balestrano. E se pure replicare volessero che io non essendo loro giusto giudice a me non s'aspettare lo cognoscere de loro vicii né fare distintione da li boni a li rei, e che deve bastare a me quello che a tutto el resto de viventi è bastato e basta; fermo, Novellino, e con securtà respondi, che essendone alcune scelleragini de questi tali laceratori e destruttori de religione venute in pubblica voce del volgo, a tale che altri non creda che tutti sono de una pece ammacchiati, me pare che da Dio, e da la natura de laudevoli costumi, e da li boni anche medesimi me sia concesso con la detta distintione esaltare i perfetti, e dannare li cattivi scelerati, siccome chiaramente a la toa prima parte con verità e scusandome ho a bastanza parlato. A le quali vere ragioni non possendo né sapendo respondere, tal volta averanno ricorso al dire de vili femenelle, che dicono, ne vederanno sentenzia al dì del giudizio. Se pure con tale biastema me credessero percotere, fa che senza pensarvi loro respondi, che io dal canto mio non cerco nè voglio più longo tempo che de tale generale giudizio, dove tutti saremo del bene e del male puniti e commendati.
Dopo costoro estimo che saranno altri de assai meno mala sorte che diranno che de cinquanta novelle, delle quali io te ho ordinato, la maggiore parte sono favole e buscìe: a' quali te piazza nondimeno lo dire che loro se delongano molto della verità, e invoca l'altissimo Dio per testimonio che tutte sono verissime istorie, le più nelli nostri moderni tempi travenute; e quelle che de antique veste e de canuta barba sono ornate, da persone de grandissima autorità me sono state per istorie in contando approvate.
E così opponendo e respondendo a tanti e sì diversi argomenti a toe conclusioni fatte, sei al tuo Masuccio ottimo e eterno difensore e scudo. Però non te maravigliare se a sì alto viaggio povero de vestimenti e de lacrime ammacchiate te mando; attento che a te non deve essere ignoto che el novo e fiero accidente l'acerbo e sanguinoso caso con questo insieme il mio perpetuo dolore e continuo lacrimare ha causato. Dunque tu con cambiata vesta e novi sembianti piangendo te parti, e fin che sei gionto e il datoti ordine averai fornito, de piangere non restare, dopo che al tuo conditore il sole è ecclissato, oscurata la luna, e li cieli pianete e stelle dare loro eterni lumi sono restati; morto è lo liggiadro e bello cavaliero, lo illustre peregrino e magnanimo signore, lo serenissimo Roberto Principe Salernitano3, lo sapientissimo e grande Ammiraglio del nostro denigrato e viduo Reame; per el quale con approvata verità, pure piangendo, dirai e la virtuosa liberalità con perpetuo esilio discacciata, questa dispiatata e cruda morte con violenta rapina ha la carità estinta, lo refrigerio dei poveri mancato,
e lo presidio de indigenti finito, e finalmente le porte del generale albergo de' gentiluomini in eterno serrate. Piangi, Novellino mio, che è già morto colui per cui le lettere e latine e materne erano celebrate, per cui la militare disciplina e con opere e con consilio così nelli bellicosi esercitii come nelle regali palestre e suntuosi giochi de Marte con ordene grande era adoperata, e per cui li feroci e timidi animali venando erano molestati, e tante nature de uccelli inquietati. Esclama dunque, povero Novellino, che tale excelso principe con la soa morte ha occisa la giustizia, che con tanta integrità la facea ministrare, per essa è la verità ascosa, e ogni fiorita virtù prostrata a terra; e con alta voce che te ritrovi chiama: O glorioso Principe, dove è la toa ornata o sentenziosa eloquenzia, dove è il mirabile ingegno, e gran vedere, e lo ottimo giudicio, e perfetto consilio che così nelle importanti e pubbliche come nelle minime private cose con tanta prudèntia e secondo la opportunità loro chiedeva, con iusta bilanza donavi? E però piangendo, dolente mio criato, a presenti ed a posteri de dire non restare che de tale e tanta oscura e repentina morte essendo a me mancata la vita, non te posso, come avea già deliberato, d’altre assai delicature e notevoli parti accompagnare. Essa dunque imprevista e quasi violenta morte me ha voluntario fatta la mia lira destemperare, el stracco calamo a Mercurio votato innanzi il prepostato termine del tutto offrire, e in maniera tale che a me medesimo perpetuo silenzio imponendo, voglio che de cose liete piacevoli e gioconde non me sia insino l'amara vita me dura mai più lo scrivere concesso. E così del tuo Masuccio lacrimoso e mesto lasciandolo de nero vestito togli il tuo ultimo commiato. Vale.
FINE DEL NOVELLINO.
Stampato in Napoli dai fratelli Morano in Ottobre 1873, regnante Vittorio Emanuele, primo Re d’Italia.