Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Moliere e Leandro.

Leandro. Eh via, Moliere, amico, mostratevi gioviale;

Un autor di commedie, un uom che ha tanto sale,
Che con le sue facezie fa rider tutto il mondo,
Co’ propri amici in casa non sarà poi giocondo?
Moliere. Oh quanto volentieri al diavol manderei
Tutte le mie commedie, e i commedianti miei!
Leandro. Oh bella, oh bella, affé, or sembra che v’attedie
L’amabile esercizio di schiccherar commedie;
E pur v’hanno acquistato la protezion reale,
E un migliaio di lire di pensione annuale.
Moliere. Servir sì gran Monarca, se non foss’io obbligato,
Vorrei andare a farmi rimettere soldato,

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O sopra una montagna a viver da eremita,

Anzi che pel teatro menar sì dura vita.
Leandro. Ma ditemi, di grazia: dite, che cosa avete?
Moliere. Deh, non mi fate dire... Per carità, tacete.
Il pubblico indiscreto non si contenta mai,
Oh quanti dispiaceri, quanti affanni provai!
E quel ch’or mi deriva da’ miei nemici fieri,
Sembravi ch’esser possa un dispiacer leggieri?
Leandro. Dir v’intendete forse, d’allor che l’Impostore
Vi venne proibito?
Moliere.   Di quello, sì signore.
Noi tutti eravam lesti; di popolo era piena.
Come di Francia è l’uso, oltre il parter, la scena;
Quando a noi giunse un messo col reale decreto,
In cui dell’Impostore lessi il fatal divieto.
Leandro. Ma se vi fu sospeso un’altra volta ancora,
Perchè violare ardiste l’ordine uscito allora?
Moliere. Il Re dappoi lo lesse, e l’approvò egli stesso,
E di riporlo in scena diemmi1 il real permesso.
Fu mia sventura estrema, che in Fiandra indi sen gisse,
E la licenza in voce mi ha data, e non la scrisse.
Spedito ho immantinente un abile soggetto,
E a momenti la grazia in regal foglio aspetto.
Vedranno quei ministri, che a me non prestan fede,
Che a Molier si fa torto, quando a lui non si crede.
E gl’ipocriti indegni, spero, avran terminato
Di cantar il trionfo, ch’hanno di me cantato.
Leandro. Ma per dir vero, amico, avete agl’impostori
Rivedute le buccie.
Moliere.   Eh, che son traditori.
Dall’altra trista gente difender ci possiamo;
Ma non dagl’inimici che noi non conosciamo.
Ed è, credete, amico, santa, lodevol opra,

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Che l’arte degl’indegni si sappia e si discopra.

Leandro. Basta, vi passo tutto; ma vedervi desio
Senza pensieri tristi, allegro qual son io.
Moliere. Un uom che ha il peso grave di dar piacere altrui,
Non può sì lietamente passare i giorni sui.
Voi altro non pensate, che a divertir voi stesso;
Viver senza pensieri a voi solo è permesso.
Leandro. E tutto il gran pensiere, che m’occupa la mente,
La mattina per tempo bilanciar seriamente
Qual partita d’amici a scegliere ho in quel giorno,
Per passar la giornata in questo o in quel contorno.
Moliere. Siate più moderato: so io quel che ragiono.
Leandro. Viver, viver vogl’io. Filosofo non sono.
Moliere. E ben: chi viver brama, dee usar moderazione.2
Leandro. Chi sente voi, Moliere, io sono un crapulone.
Moliere. A un amico si dice la verità sincera:
Qual siete la mattina, voi non siete la sera.
Leandro. Bevo, eh?
Moliere.   Sì, un pò’ troppo.
Leandro.   E il vin desta allegria3.
Moliere. Talvolta...4
Leandro.   E il vostro latte v’empie d’ipocondria5.
Fate così anche voi: bevete, e state allegro;
Che latte? altro che che latte! mescete6 bianco e negro.
Moliere. Voi non m’insegnerete una sì trista scuola.
Leandro. Né io la vostra imparo; no, sulla mia parola.
Moliere. Oibò, quell’inebriarsi!
Leandro.   Ditemi, amico mio,
A letto più contento andate voi, o io?
Moliere. Voi non potete dire d’andar contento a letto;
Un ebrio non discerne7 il bene dal difetto.

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Leandro. Oh, oh! mi ha inaridito filosofia il palato.

Ecco, per causa vostra sentomi già assetato.
Moliere. Volete il thè col latte?
Leandro.   No, no, non m’abbisogna:
Più tosto una bottiglia del Reno o di Borgogna.
Moliere. A quest’ora?
Leandro.   Non bevo, come voi vi credete,
Quando suonano l’ore, ma bevo quando ho sete.
Se foste galantuomo, di quegli amici veri.
Me la fareste dare adesso.
Moliere.   Volentieri.
Dalla Bejart potete andar per parte mia;
Il vin che più vi piace, fate ch’ella vi dia.
Leandro. Ah! sì sì, la Bejart a voi fa la custode!
Moliere. Ell’è una brava attrice, che merta qualche lode:
Son anni che viviamo in buona compagnia,
Ed ella gentilmente mi fa l’economia.
Leandro. Ehi, per cagion di questa, un dì mi fu narrato,
Che al comico mestiere vi siete abbandonato.
Moliere. No, no8, son favolette.
Leandro.   Eh taci, malandrino.
Ti piacciono le donne.
Moliere.   Quanto a voi9 piace il vino.
Leandro. Bada bene, che il vino non mi può far quel danno,
Che agli uomini sovente le femmine fatt’hanno.
Moliere. Vedo venire a noi della Bejart la figlia.
Leandro. Amico, l’occasione che cosa ti consiglia?
Sono10 del sangue istesso.
Moliere.   Via, via, siete11 sboccato.
Leandro. Un comico poeta s’avrà scandalizzato?
Di’ quello che tu vuoi, la gente è persuasa
Che, come sul teatro, tu fai le scene in casa.
Moliere. Giudizio, se si può, giudizio, chiacchierone.

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Leandro. Osserva, se ho giudizio; non ti do soggezione.

Addio.
Moliere.   Dove, signore?12
Leandro.   A bere una bottiglia,
E a trattener la madre, finchè stai colla figlia, (parte)

SCENA II.

Moliere, poi Isabella13.

Moliere. Oh bel temperamento è quello di costui!

Se il vin non l’opprimesse, meglio saria per lui14.
Quanto più l’amerei, s’ei fosse men soggetto...
Ma ecco l’idolo mio, ecco il mio dolce affetto.
Il duol dal mio pensiero dileguar può ella sola;
E quando lei rimiro, sua vista mi consola.
Isabella. Poss’io venir?
Moliere.   Venite.
Isabella.   Mi treman le ginocchia.
Moliere. Perchè?
Isabella.   Perchè mia madre mi seguita e m’adocchia.
Moliere. Crediam ch’ella s’avveda del ben che vi vogl’io?
Isabella. Non già del vostro affetto, ma s’avvedrà del mio.
Moliere. Perchè dovrebbe accorgersi di voi più che di me?
Isabella. Perchè l’affetto vostro pari del mio non è.
Perchè v’amo più molto di quel che voi mi amate,
E quanto amate meno, tanto più vi celate.
Moliere. Eh furbetta! furbetta! Che arrabbi, s’io lo credo.
Isabella. Voi l’amor mio vedete, il vostro io non lo vedo.
Eccomi; perch’io v’amo, arrischio esser battuta;
Se foste a me venuto, qui non sarei venuta.
Moliere. Ah! quanto verrei spesso a rendermi felice,
Se sdegnar non temessi la vostra genitrice!

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Isabella. Ma se è ver che mi amate, perchè darmi martello?

Levatemi di pena, e datemi l’anello.15
Moliere. Cospetto! S’ella viene a rilevar tal fatto,
Va a soqquadro la casa, ci ammazza tutti a un tratto.
Ella non vuol sentir...
Isabella.   Sì, sì, non vuol sentire.
Tutto, tutto mi è noto.
Moliere.   Che intendete voi dire?
Isabella. La mia discreta madre ha delle pretensioni
Sopra del vostro cuore, ed ecco le ragioni
Per cui, quanto più v’amo, sarò più sfortunata16,
Per cui sarò ben tosto schernita e abbandonata.
Moliere. Eh, può la madre vostra cangiar le voglie sue;
A lasciar sarei pazzo il vitello pel bue17.
Isabella. Il vitello pel bue? È femmina mia madre.
Moliere. Ah, ah, maliziozetta! Ah, pupillette ladre!
Vi ho amata dalle fasce, nascere18 vi ho veduta,
E sotto gli occhi miei siete in beltà cresciuta.
Isabella. Nascere mi vedeste? Oh cieli, non vorrei
Che fossero vietati perciò nostri imenei.
Moliere. Ma voi rider mi fate.
Isabella.   Quel riso non mi piace.
Moliere. Sì, sarete mia sposa; su via, datevi pace19.
Isabella. Ecco mia madre: oimè!
Moliere.   Conviene usar qualch’arte:
Avete nelle tasche qualche comica parte?
Isabella. Ho quella di Marianna... (Isabella cava di tasca la parte)
Moliere. Sì, sì, nell’Impostore.
Via, presto: Atto secondo. La figlia e il genitore.
(Moliere tira fuori la commedia dell’Impostore)
Isabella. Marianna.
 Signor padre. (leggendo)

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Moliere. Qui vieni, ho da parlarti.

Accostati, in segreto20 io deggio ragionarti.

SCENA III.

La Bejart e detti.

Bejart. (Resta in disparte ascoltando.)

Moliere. Marianna, ho conosciuto che di buon cuor tu sei.
Onde a te, più che agli altri, donai gli affetti miei.
Isabella. Padre, tenuta i’ sono al vostro dolce affetto.
Moliere. (Ella ci sta ascoltando). (piano a Isabella)
Isabella.   (Se lo dico, è in sospetto). (fa lo stesso)
Bejart. (S’avanza bel bello.)
Moliere. Che cosa fate lì? Voi siete curiosa.
Standoci ad ascoltare...
Bejart.   Vi è qualche arcana cosa,
Ch’io sapere non deggia? (a Moliere)
Moliere.   Con vostra permissione.
Provavasi21 la scena fra Marianna ed Orgone.
Veduta non vi avea. La parte eccola qui:
Voi siete curiosa: Orgon dice così.
Bejart. Ma qual necessità di ripassar trovate
Parte di una commedia, ch’è fra le condannate22?
Moliere. Torni il compagno nostro, torni Valerio a noi,
E se più fia sospesa, lo vederete poi.
A’ piedi del Monarca spedito ho a tale oggetto
Il giovine gentile, e comico perfetto.
Bejart. E a voi chi diè licenza venire in questi quarti,
A farvi da Moliere veder le vostre parti? (ad Isabella)
Moliere. Via, la vostra figliuola è una fanciulla onesta.
Isabella. Egli non mi ha veduta, signora, altro che questa.
Bejart. Via di qua, sfacciatella.

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Isabella. (Sì, sì, borbotti pure). (da sé)

So qual rimedio alfine avran le mie sventure. (leggendo)
Bejart. Olà, che cosa dici?
Isabella.   Diceva la mia parte.
Moliere. (Quella patetichina ha pure la grand’arte!) (da sé)
Bejart. Con me le vostre parti ripasserete poi.
Isabella. Quel che Molier m’insegna, non m’insegnate voi. (parte)

SCENA IV23.

Moliere e la Bejart.

Bejart. Udiste l’insolente?

Moliere.   Signora, perdonate.
Perchè di precettore la gloria or mi levate?
Bejart. Eh, galantuom mio caro, i sensi di colei
Semplici non son tanto. Conosco voi, e lei.
Moliere. Ma come! io non intendo...
Bejart.   Vi parlerò più schietto.
Mia figlia voi guardate, mi par, con troppo affetto.
Moliere. L’amai sin dalle fasce.
Bejart.   È ver, ma è differente
Dal conversar passato, il conversar presente.
Moliere. Allora io la baciava, ed era cosa onesta;
Adesso far nol posso: la differenza è questa.
Bejart. Su via, se voi l’amate, svelatelo alla madre.
Moliere. (Svelarlo non mi fido). (da sé) Io l’amo come padre.
Bejart. Se con amor paterno la mia figliuola amate,
D’assicurar sua sorte dunque non ricusate.
Moliere. Volete maritarla?
Bejart.   È troppo giovinetta.
Moliere. Anzi pel matrimonio è in un’età perfetta.
Ma che ho da far per lei?
Bejart.   Amate esser suo padre?

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Moliere. Questo è quel ch’io desio.

Bejart.   Sposatevi a sua madre.
Moliere. Che siete voi.
Bejart.   Sì, io sono. Mi reputate indegna,
Di aver per voi nel dito la coniugale insegna?
Moliere. Signora... in verità... voi meritate assai.
Bejart. Vi spiace mia condotta?
Moliere.   Vi lodo, e vi lodai.
Bejart. Circa l’età, mi pare...
Moliere.   Eh, non parliam di questo.
Bejart. Nel mio mestier son franca.
Moliere.   È vero, anch’io l’attesto.
Bejart. Quest’è la miglior dote, che vaglia a un commediante.
Moliere. Assai più ch’io non merto, dote avete abbondante.
Bejart. Dunque che più vi resta, per dir sì a drittura?
Moliere. Signora, il matrimonio mi fa un po’ di paura.
Bejart. Perchè?
Moliere.   Perchè son io geloso alla follia.
Bejart. Non credo, no, che abbiate in capo tal pazzia.
Ma se nudrir voleste il crudo serpe in seno,
Moglie non giovinetta temer vi faria meno.
Moliere. Anzi, più che si vive, più a vivere si apprende;
Più cauta, e non più saggia, l’età la donna rende.
Bejart. Moliere, un tal discorso non è da vostro pari.
Moliere. Lasciatemi scherzare. Non ho che giorni amari;
E cerco, quando posso, di dir la barzelletta
Che tocca e non offende, e rido, e mi diletta.
Bejart. Piacemi di vedervi allegro e lieto in faccia.

SCENA V24.

Valerio e detti, poi Lesbino.

Moliere. Oh, Valerio, Valerio!25 Venite alle mie braccia.

Che nuova mi recate?

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Valerio.   Ecco il real decreto,

Che revoca ed annulla il sofferto divieto.
Moliere. Oh me contento! Presto, ehi, chi è di là?
Lesbino.   Signore.
Moliere. Che s’esponga il cartello, s’inviti all’Impostore
Per questa sera; andate.
Lesbino.   Affé, ch’io son contento;
Gl’ipocriti averanno stasera il lor tormento. (parte)
Moliere. Presto, signora, andate a riveder le carte; (alla Bejart)
E a voi e a vostra figlia ripassate la parte.
Bejart. (Ah, vo’ veder se puote assicurar mia sorte
L'acquisto d’uomo dotto e amabile in consorte). (parte)

SCENA VI26.

Moliere e Valerio.

Moliere. E ben, narrate, amico, come la cosa è andata.

Valerio. Il Re pien di clemenza la supplica ha accettata.
Fe’ stendere il decreto; indi mi disse ei stesso,
Che odiava sopra tutto d’ipocrisia l’eccesso.
È sua mente sovrana, che i perfidi impostori
Si vengano a spacchiare ne’ loro propri errori;
E il mondo illuminato vegga la loro frode,
E diasi all’autor saggio, qual si convien, sua lode.
Moliere. Ah! questo foglio, amico, mi fa gioir non poco;
Avranno gl’inimici finito il loro gioco.27
Gran cosa! a niun fo male, e son perseguitato;
Il pubblico m’insulta, e al pubblico ho giovato.
Di Francia era, il sapete, il Comico Teatro
In balia di persone nate sol per l’aratro.
Farse vedeansi solo, burlette all’improvviso.
Atte a muover soltanto di sciocca gente il riso.

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E i cittadin più colti e il popolo gentile

L’ore perdea28 preziose in un piacer sì vile:
Gl’istrioni più abietti venian d’altro paese,
A ridersi di noi, godendo a nostre spese;
Fra i quali Scaramuccia, siccome tutti sanno.
Dodicimila lire si feo29 d’entrata l’anno;
E i nostri cittadini, con poco piacer loro,
Le sue buffonerie pagarno a peso d’oro.
Tratto dal genio innato e dal desio d’onore.
Al comico teatro died’io la mano e il cuore;
A riformar m’accinsi il pessimo costume,
E fur Plauto e Terenzio la mia guida, il mio lume.
L’applauso rammentate dell’opera mia prima:
Meritò lo Stordito d’ogn’ordine la stima;
E il Dispetto amoroso e le Preziose vane
Mi acquistarono a un tratto l’onor, la gloria, il pane.
E si sentì alla terza voce gridar sincera:
Molier, Molier, coraggio; questa è commedia vera.
Valerio. Per tutto ciò dovreste gioia sentir, non pena,
D’aver lasciato il Foro per la comica scena.
Coraggio, anch’io ripeto, coraggio.
Moliere.   Sì, coraggio.
Mi dà ragion d’averlo il popol grato e saggio.
(lo dice per ironia)
Quel tale Scaramuccia, di cui parlai poc’anzi.
Andato era a Firenze co’ suoi felici avanzi.
Lo maltrattaro i figli, lo bastonò sua30 moglie;
Ei lasciò lor suoi beni, per viver senza doglie;
E tornato a Parigi a ricalcar la scena.
Le logge e la platea, ecco, di gente ha piena.
Il pubblico che avea gusto miglior provato,
Eccolo nuovamente al pessimo tornato.
E in premio a mie fatiche (perciò arrabbiato i’ sono)
Corrono a Scaramuccia, lascian me in abbandono.

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Valerio. Per un uom qual voi siete, questo è pensier che vaglia?

Non vedete, signore, che quel foco è di paglia?
Non bastavi per voi che siansi dichiarati
E serbinsi costanti i saggi e i letterati?
Ah, questa gloria sola ogni disgusto31 avanza.
Moliere. Del pubblico m’affligge la facile incostanza.
Valerio. Il pubblico, il sapete, è un corpo grande assai.
Tutti membri perfetti non ha, non avrà mai.
Moliere. Orsù, andiamo a raccorre quanti faran rumori.
Per il cartello esposto, i garruli impostori.
Valerio. Questa commedia vostra ognun vedere aspetta.
Moliere. Che bel piacere, amico, è quel della vendetta!
Però vendetta tale, che il giusto non offenda,
E che utile a’ privati e al pubblico si renda;
E solo in questa guisa io soglio vendicarmi:
La verità e l’onore sono le mie sole armi. (parte)
Valerio. Armi di lui ben degne, di lui ch’ebbe da’ numi
La forza di correggere i vizi e i rei costumi;
E il dolce mescolando alla bevanda amara,
Fa che l’uom si diletti, mentre virtute impara, (parte)

Fine dell’Atto Primo.

  1. Bett. e Pap.: mi diè.
  2. Bett. e Pap.: E ben, più viverete, se avrete più ragione.
  3. Bett. e Pap.: mi fa allegria?
  4. Bett. e Pap.: E come!
  5. Bett. e Pap.: fa a voi malinconia.
  6. Bett.: meschiate.
  7. Bett.: conosce.
  8. Bett. e Pap.: Oibò.
  9. Bett. e Pap.: a te.
  10. Bett. e Pap.: Già son.
  11. Bett. e Pap.: che sei.
  12. Bett. e Pap.: dove ten vai.
  13. Nelle edd. Belt., Pap. ecc. chiamasi Guerrina.
  14. Bett. e Pap.: oh fortunato lui!
  15. Bett. e Pap.: Datemi quella cosa che chiamasi l’anello.
  16. Bett., Pap. ecc.: Per cui la poverina Guerrina e sventurata.
  17. Bett.: Lasciar non son sì pazzo il vitel per il bue.
  18. Bett.: A nascer.
  19. Bett., Pap. ecc.: Sarete la mia sposa, cara, datevi pace.
  20. Bett.: Ma piano, che in segreto.
  21. Bett.: Facevamo
  22. Bett. e Pap.: trovate di studiare — La Commedia sospesa, che più non s’ha da fare?
  23. Nell’ed. Bett. è unita con la scena precedente.
  24. Sc. IV nell’ed. Bett.
  25. Bett. e Pap.: Adorato Valerio!
  26. Nell’ed. Bett. è unita alla scena precedente.
  27. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: Cantato hanno il trionfo sinor le genti strambe, — Ora si cacceranno la coda fra le gambe.
  28. Così in tutte le edd.
  29. Bett. e Pap.: fe'.
  30. Bett. e Pap.: la.
  31. Bett.: spiacere.