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26 ATTO PRIMO
O sopra una montagna a viver da eremita,

Anzi che pel teatro menar sì dura vita.
Leandro. Ma ditemi, di grazia: dite, che cosa avete?
Moliere. Deh, non mi fate dire... Per carità, tacete.
Il pubblico indiscreto non si contenta mai,
Oh quanti dispiaceri, quanti affanni provai!
E quel ch’or mi deriva da’ miei nemici fieri,
Sembravi ch’esser possa un dispiacer leggieri?
Leandro. Dir v’intendete forse, d’allor che l’Impostore
Vi venne proibito?
Moliere.   Di quello, sì signore.
Noi tutti eravam lesti; di popolo era piena.
Come di Francia è l’uso, oltre il parter, la scena;
Quando a noi giunse un messo col reale decreto,
In cui dell’Impostore lessi il fatal divieto.
Leandro. Ma se vi fu sospeso un’altra volta ancora,
Perchè violare ardiste l’ordine uscito allora?
Moliere. Il Re dappoi lo lesse, e l’approvò egli stesso,
E di riporlo in scena diemmi1 il real permesso.
Fu mia sventura estrema, che in Fiandra indi sen gisse,
E la licenza in voce mi ha data, e non la scrisse.
Spedito ho immantinente un abile soggetto,
E a momenti la grazia in regal foglio aspetto.
Vedranno quei ministri, che a me non prestan fede,
Che a Molier si fa torto, quando a lui non si crede.
E gl’ipocriti indegni, spero, avran terminato
Di cantar il trionfo, ch’hanno di me cantato.
Leandro. Ma per dir vero, amico, avete agl’impostori
Rivedute le buccie.
Moliere.   Eh, che son traditori.
Dall’altra trista gente difender ci possiamo;
Ma non dagl’inimici che noi non conosciamo.
Ed è, credete, amico, santa, lodevol opra,

  1. Bett. e Pap.: mi diè.