Il Libro dei Re - Volume I/Invettiva di Firdusi contro Mamhûd
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III.
Invettiva di Firdusi contro Mahmûd.
D’alcun non hai, temi di Dio, chè molti
Fûr pria di te monarchi e regnatori
Che avean corona e potestà nel mondo.
5Eran di te per genti e per tesori,
Per sovrano poter, per regal seggio
E corona di prenci, assai più grandi,
Nè fean opre giammai che di giustizia
Non fossero e di pregio, e ad opre abiette
10Ed a nequizia non volgeansi mai;
Ma giustizia rendeano a’ lor soggetti,
Solo adorando Iddio, nè per la terra
Altro a cercar che un illibato nome
Ivano intenti, e del cercar quel nome
15Bello e lieto era il frutto. I re che all’oro
Tengonsi avvinti, d’uom sapiente agli occhi
Mostransi abietti e vili. — Or tu, se in terra
Hai di monarca potestà, Che vale,
Che val, dirai, tanto clamor, tal grido
20Audace e stolto? — Oh! tu non sai l’ardente
Anima mia, nè pensi al ferro mio
Che sangue sparge! — Empio m’appelli, a falsa
Religïon devoto? — Io no! Leone
Bieco son io, se tu zeba m’appelli!
25 «Questo inetto cantor, la stolta gente
Così dicea, me me vituperando,
Invecchiò nell’amor ch’egli consacra
Al Profeta e ad Alì». — Quei che nel core
Odio nasconde per Alì, nel mondo
Fino a quel dì che sorgeranno i morti,
Servo sarò a que’ due, s’anche le carni
Cadermi a brani mi facesse il prence
In suo furor; nè dall’amor di quelli
35Ritrarrassi il cor mio, s’anche la spada
Sovra il mio capo rapida scendesse
Del crucciato signor. Servo son io
Devoto a quella del divin Profeta
Inclita casa, e adoro, al suol prosteso,
40La polve che dal pie del suo Compagno
Fu tocca un giorno. Ma tu, o re, con alta
Minaccia il core mi feristi! «Il tuo
Vil corpo, hai detto un dì, sotto a le piante
D’un elefante vo’ mirar calpesto,
45Ravvolto in sè come l’acqua d’un fiume!»
Non io temo però, chè mi rinfranca,
Nella purezza del cor mio, l’amore
Che pel Profeta e per Alì m’accende.
Oh! che dicea, che mai dicea quel santo
50Rivelator delle dottrine ascose,
Ch’ebbe al divieto ed al comando in terra
Alto poter? «Son io d’ogni scïenza
Qual munita città; porta sublime
È per entrarvi, Alì». — Vera fu questa
55Del Profeta sentenza, e testimonio
Ben io farò che in essa era nascosto
Ogni secreto del suo cor. Diresti
Che pieni di tal voce ho ancor gli orecchi!
E tu, se hai fior di senno e mente e savio
60Consiglio in cor, t’eleggi un nobil loco
Del Profeta e d’Alì seduto al fianco,
Sempre fidando in lor. Che se da questo
Consiglio mio ti verrà danno, tutta
Cada su me la colpa. Io bene affermo
65Esser cotesta la segnata via,
Questo il costume e la ben certa norma.
In tal legge io nascea, morrò fedele
A questa legge; e tu, se il sai, di questo
Fammi ragion, ch’io son la polve umile
70Che il pie d’Alì calpesta. Io per le altrui
Opre cura non ho, non ho pensiero,
Nè molto ho a dir sul nobile soggetto;
Ma questo ben dirò, che, se tal legge
Lascia Mahmûd, meno d’assai d’un picciolo
75Grano d’avena la sua mente pesa.
E allor che sopra un regal seggio Iddio
Porrà d’Alì, del suo Profeta, in cielo
L’anime sante, se lor pregi eletti
Con vero amore proclamai nel mondo,
80Di ben cento Mahmûd sol io, nel cielo,
Potrò vantarmi protettor sovrano.
Fin che il mondo sarà, fin che regnanti
Saranno, giunga ad ogni re sovrano
Questo mio dir, che di Mahmûd nel nome
85Questo suo libro mai compor non volle
Firdusi che da Tus venne, ed avea
Caro e diletto ogn’uom d’intatta fede.
Del Profeta e d’Alì nel santo nome
Io l’ho composto, ed infilai ben molte
90E d’alto senso rilucenti perle.
Tempo fu che Firdusi ancor non era,
E sì fu, chè non anche la sua sorte
Vigoreggiava. Ma tu, o re, d’un guardo
Il libro mio pur non degnasti, e fuori
95Del tuo retto sentier balzasti errando,
Vinto al mentir d’un uom perverso e vile.
Quei che il mio verso dispregiò, non abbia
Aita mai da questo ciel che ratto
Su noi si volge. Cotal libro illustre,
100Libro d’antichi re, nella mia dolce
Favella già composi; e allor che giunse
D’ottant’anni al confine il viver mio,
Tutta vid’io dissolversi la cara
Speranza del mio cor, qual nebbia al vento.
105 Eppur, gran tempo qui penai, nel mondo
Sì tristo e gramo, e d’un tesoro il frutto
Sperai dell’opra al fin. Fûr trentamila
E trentamila i distici sonanti,
Copia infinita, ond’io fiere tenzoni
110Già descrissi e battaglie e dardi e ferri,
Lacci con archi flessuosi e attorti,
Clave nodose e brandi acuti e arnesi,
Elmi e gualdrappe, e il mar profondo e l’ampia
Campagna e il suol deserto e le scorrenti
115Acque dei fiumi. Favellai di agresti
Belve, di lupi e di leoni in giostra,
D’elefanti, di dèmoni e di pardi,
Di draghi e mostri dell’immenso mare,
Dei dèmoni gl’incanti e le malìe
120Dei Devi e lo stridir che alzano al cielo.
Parlai d’uomini in guerra illustri e forti,
D’antichi eroi, gagliardi entro la pugna,
E i prenci tutti ricordai che nome
Hanno e gloria ed onor dai prischi tempi.
125Tur e Salm e Afrasyâb sono tra questi
E Fredûn, re possente, e quel malvagio
Dahâk, ribelle a Dio, Kobâd illustre,
Sam con Ghershaspe e Nerimân gagliardo,
Gran vassalli del regno, e in questa terra
130Per sovrana virtù forti e possenti.
Hoshêng e Tahmurâs, colui che i Devi
Un giorno incatenò, son di tal schiera
Con Gemshîd, regnatore inclito e grande,
Con Minocîhr, con Kâvus re, col prode
135Khusrêv, adorno di regal corona,
Con Rustem battaglier, con quel famoso
Isfendyâr che parea di ferro avesse
La robusta persona. E Gûderz pure
E gli ottanta suoi figli ricordai,
140Tutti prodi e animosi e cavalieri
Nella palestra, e re Lohrâsp, cui molta
Gloria adornò, Zerîr, inclito duce,
E Gushtâsp e Giamâsp, che gli astri in cielo
In computar questo fulgido sole
145Di splendor superò. Darâ, quel figlio
Di Darâb, con Behmên fu celebrato,
Con Sikendêr, che fu signor di tutti
I re dei re quaggiù. Leggesi il nome
Di Ardeshîr regnator, del figlio suo,
150Shapûr, e di Behrâm, dell’alma eletta
Di prence Anushirvân. Pervîz illustre
Io notai con Hormûz, col figlio suo,
Kobâd, ancora. E questi prenci antiqui
Di cui tutte narrai le chiare imprese
155Paratamente, per l’età lontana
Al nostro ricordar giaceano estinti.
Ma s’ebbe per mio dir vita novella
L’obbliato lor nome; e come un giorno
Gesù alla luce richiamar potea
160Le fredde salme, così anch’io, narrando,
I morti nomi lor risuscitai.
Addetto, o prence, a’ tuoi servigi, un’opra
Io compii che di te sarà nel mondo
Ricordo eterno. Le superbe case
165Vanno per pioggia o per ardor di sole
Ratto in rovina; ed io, co’ versi miei,
Edificio fondai solido e forte
Che di venti non tocca o di procelle
Danno improvviso. Passeranno molte
170E lunghe età su questo libro illustre,
E il leggerà chi ha fior di senno in core.
Ma tu, signor, non questa a me donavi
Promessa un dì, non questa era la speme
Che mi venìa dal reggitor del mondo!
175Un nemico malvagio, al qual sia tolto
Di mai veder giorni sereni in vita,
Voltò le belle mie parole e senso
Diè lor perverso, e fosca dipingendo
Al mio signor la mia persona, a un tratto
180Spense la face mia che ardea sì chiara!
Ma se giusto era il re fra gli altri giusti,
Pensando a ciò, ben detto avrìa che in questa
Lunga canzone io pur deposto avea
Mio tributo alla vita, e ch’io col verso
185Bella avea fatta questa terra illustre,
Qual de’ beati è in ciel la sede. Niuno
Pria del mio tempo seminò parole.
Le sparser molti, ed erano infiniti;
Senza misura le gittàr, ma, grande
190Ben che fosse lor schiera, in questa eletta
Guisa nessun le disse mai. Ch’io molto,
E fûr trent’anni, faticai languendo,
E viva suscitai dalla sua tomba
La Persia, usando il bel sermon di lei.
195 Oh! se avaro non era il re del mondo,
Sarebbe un trono il seggio mio! Ma l’alma
Di questo re non giunge a sapïenza;
Se no, posto ei m’avria su regal seggio.
Quand’ei nascea, non era di regnanti
200Alta stirpe la sua, nè di regnanti
Ei si ricorda. Che se il padre suo
Regnato avesse, una corona d’oro
Il figlio suo posta m’avrebbe in fronte;
Se regal donna stata fosse un tempo
205La madre sua, d’oro e d’argento i cumuli
Alti avrei visti a me dintorno. In quella
Gente grandezza mai non fu; non osa,
Perciò, non osa udir de’ grandi un tempo
Il nome illustre questo re, chè mano
210Di Mahmûd generoso, a cui sì eccelso
Nascimento diè il ciel, non s’apre mai
Donando, o poco s’apre. Allor ch’io trenta
Anni fatica sopportai per questo
Libro dei Re, perchè premiando il sire.
215Un tesor m’invïasse, e qui, nel mondo,
Togliesse ogni mio stento, ogni rancura,
Me sollevando al primo onor fra i prenci
Di sua casa regal, schiuse i tesori
A compensarmi e d’un bicchier di birra
220Il prezzo m’invïò! Dunque tal pregio,
Quanto un bicchier vale di birra, io m’ebbi
Pel suo tesor! Ma quel bicchier di birra,
Sì, mi comprai lungo la via, che ha prezzo
Assai più di tal re che non ha legge,
225Non costume regal, non fede intatta,
La picciola moneta ch’io vi spesi.
Figlio di schiavo è inutil cosa e vile,
Anche s’ei vanta molti padri suoi
Che furon re. Ma gente indegna e abilita
230Alto levar, sperarne egregi frutti,
È quanto il filo d’una gran matassa
Perdere al suo principio, o quanto un serpe
In grembo nutricar. L’arbor che amara
Ha sua natura, se negli orti il poni
235Degli spiriti eletti e al tempo suo
L’arse radici a ristorar ti appresti
Con puro miei che da superne fonti
Stilla nel paradiso, al fin dell’opra
La natura sua rea mostrerà sempre
240E amari frutti recherà. Daccanto
A venditor di canfora odorosa
Fa di passar, di canfora odorosa
Daran fragranza le tue vesti tutte.
Ma se ti accosti a venditor di nero
245E lurido carbon, nulla ne avrai
Fuor che negra sozzura. E meraviglia
Certo sarìa, se non nascesse il male
Da malvagia natura; e niun mai tolse
L’ombre triste alla notte. Alcuna speme
250In chi vile nascea, deh! non ponete,
Amici miei, che per lavar ch’uom faccia,
Tal che negro nascea, non si fa bianco,
E buon frutto sperar da vil natura
È stolto oprar, quanto gittar rodente
255Polve sugli occhi e non temerne danno.
Ma se il nostro signor nome si avesse
Avuto in terra senza macchia, onore
Ottenuto ne avrìa sapere umano;
Ed ei con alma intenta avrìa le belle
260Cose ascoltate e de’ regnanti appresi
I nobili costumi e gli usi antichi,
E con mente diversa ed altra voglia
Avrìa pensato del mio cor costante
Al voto ardente, nè la mia fortuna
265Sarìa caduta allor. Chè il glorïoso
Verso mio sol dettai, perchè consiglio
Ne traesse il mio re, perchè sapesse
Che sia parola e sua virtù, pensando
Al savio consigliar di questo vecchio,
270Nè i poeti affliggesse, intatto e puro
Serbando l’onor suo. Chè ove si vegga
Oppresso un vate, rapida ei saetta
Una invettiva, e resta fino al giorno
Del mondo estremo il disdegnoso carme.
275Un dì, nell’eternal sede di Dio
Santo e verace, spargendomi in fronte
In segno di dolor la negra polve,
Questo grido farò: L’anima sua
Ardi, o Signor, nel fuoco eterno! Illumina
280Il cor del servo tuo, che n’è ben degno!