Il Governo Pontificio o la Quistione Romana/Conclusione

Conclusione

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Capitolo 20
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CONCLUSIONE


Il signor conte di Rayneval, dopo aver provato che nel regno del Papa ogni cosa è per lo migliore, termina la celebre Nota con una conclusione disperata. A suo avviso, la questione romana è di quelle che non potrebbero risolversi definitivamente, e tutti gli sforzi della diplomazia non possono che prorogarne la catastrofe.

Non son io cosi pessimista. Sembrami che tutte le quistioni politiche possano esser risolte, e tutte le catastrofi evitate. Credo di vantaggio, che la guerra non sia onninamente necessaria alla salvezza d’Italia ed alla sicurezza d’Europa, e che può spegnersi l’incendio senza trarre un colpo di cannone.

Avete veduto con gli occhi vostri la importabil miseria ed il legittimo scontento dei [p. 217 modifica]sudditi del Papa. Ne avete inoltre tal conoscenza preso, che ravvisate necessario il sollecito soccorso dell’Europa per essi, non solo per amor di giustizia, ma anche per interesse della pace universale. Non ho ommesso di addimostrarvi che tutti i mali che oppressano questi tre milioni d’uomini non debbono attribuirsi nè a debolezza del Sovrano, nè a perversità di ministri, ma sono la deduzione a fil di logica di un principio. L’Europa darebbe come in un sacco rotto, se togliesse a declamar contro le conseguenze: è forza o ammettere il principio, o rigettare: qui è il vivo della controversia. Se approvate la sovranità temporale del Papa, avete a lodar tutto, anche la condotta del cardinale Antonelli. Se le indegnità del Governo pontificale vi hanno fradicio, allora avete a insorgere contro la monarchia ecclesiastica.

La diplomazia riclama ogni poco contro le deduzioni, e lascia star le premesse. Detta Memoranda per supplicare il Papa ad essere inconseguente, ed amministrare lo Stato suo dietro le norme dei governi laicali. Se il Papa fa il sordo, nulla hanno a reclamare i diplomatici; avvegnadioche riconoscano la sua qualità di sovrano indipendente. Se egli promette tutto che domandano, e oblia di porre in atto le promesse, la diplomazia se lo dee portare in pace: non ammette essa nel Papa il diritto di sciorre gli uomini da’ loro più sacri giuramenti? Ultimamente, se ubbidisce alle insistenze d’Europa o proclama leggi conformi a libertà, che vanno in [p. 218 modifica]dissuetudine il giorno appresso, i diplomatici non hanno neppure costi a far nulla: violar le proprie leggi, è privilegio della monarchia assoluta.

Io ammiro i nostri diplomatici del 1859. Ma i loro colleghi del 1831 non difettavano nè di buona volontà, né di intendimento. Diressero a Gregorio XVI un Memorandum, che è un capolavoro. Strapparono al Papa una vera costituzione che nulla lasciava a desiderare, e guarentiva gl’interessi morali della Nazione Romana. Novelle! Le parole rimasero parole, e gli abusi continuarono e crebbero vieppiù vigorosi, sgorgando dallo stesso principio.

Abbiamo ritentato il colpo nel 1849. Il Papa ne ha accordato il Motu-proprio di Portici; ma i Romani non v’hanno guadagnato un iota.

Debbono i nostri diplomatici ricominciare nel 1859 il bel mestiere d’essere menati per l’aia? Un ingegnere francese ha acconciamente dimostrato che, a preservarsi dai danni della inondazione di precipitoso fiume, torna meglio sicuro un riparo alla foce, che grandi dighe lunghesso il corso. Alla sorgente, messeri della diplomazia, alla sorgente! Risalite fino al poter temporale de’ Papi.

Frattanto io non oso sperare nè chiedere che l’Europa ponga mano al gran rimedio fin da quest’oggi. La gerontocrazia è ancor troppo potente, negli stessi governi più giovani; e da altra banda, siamo in piena pace, e le radicali riforme non sogliono attuarsi che mercé la guerra. Recider netto le [p. 219 modifica]maggiori difficoltà è privilegio della spada; chè diplomatici, debole falange di pace, procedon solamente con timidi passi e, come dicesi, a mezze-misure.

Una di queste fu proposta nel 1814 dal conte Aldini, nel 1831 dal Rossi, nel 1856 dal conte di Cavour. Cotesti tre diplomatici, vedendo impossibil cosa essere assegnar limiti all’autorità del Papa nel reame ov'ella viene esercitata, e fra le popolazioni soggette, consigliarono l’Europa di apporre al male alcun rimedio appicciolendo la distesa degli Stati della Chiesa ed il numero dei sudditi.

Nulla più giusto, più naturale, più agevole dell’affrancare le provincie Adriatiche, e restringere il governo del Papa fra il Mediterraneo e l’Apennino. Hovvi dimostrato che Ferrara, Ravenna, Bologna, Rimini, Ancona sono le più intolleranti del giogo pontificio, ed anche degnissime, fra tutte città dello Stato, di libertà. Deh! sieno esse affrancate! E per tal miracolo altro non occorre che un tratto di penna; e pronta è la penna d’aquila che ha segnato il trattato di Parigi.

Rimarrebbe al Papa un milione di sudditi, e due milioni di ettare, per vero di poco buona qualità; veggolo: ma, per avventura, la diminuzione delle entrate sarebbe movente per immegliare l’amministrazione dei beni, e trar vantaggio da qualunque spediente.

Da che seguirebbe, o ch’egli porrebbesi in sul sentiero de’ buoni governi, e la condizion dei sudditi diverrebbe comportabile; o si ostinerebbe negli errori dei [p. 220 modifica]predecessori, e le province del Mediterraneo reclamerebbero a loro volta, l’indipendenza.

A peggio andare; il Papa conserverebbe la città di Roma, suoi palagi, chiese, cardinali, prelati, preti, frati, principi e servitori. Europa provvederebbe alla piccola colonia.

Roma, circondata dalla riverenza dell’Universo, come da una muraglia della Cina, sarebbe, a cosi dire, un corpo estraneo nel bel mezzo alla libera e vivente Italia. Il paese non ne soffrirebbe nè più né meno del veterano, nel cui corpo il chirurgo ha obbliato una palla.

Ma Papa e Cardinali si rassegneranno di cheto a essere solo ministri della religione? E rinuncieranno con calma alla potenza loro politica? Smetteranno la vecchia abitudine d’immischiarsi di nostre bisogne, di porre in armi i Principi l’un contro l’altro, e di far insorgere i cittadini contro i loro monarchi?

I Principi però denno usare diritto di legittima difesa. Rileggeranno la storia, si chiariranno che i governi forti sono quelli che han saputo tenere in freno i ministri della religione; che il Senato di Roma non accordava ai preti cartaginesi il privilegio di predicare in Italia; che la Regina d’Inghilterra e l’Imperator delle Russie sono capi della religione anglicana e russa, e che la metropoli sovrana della Chiesa di Francia avria ad essere giustamente Parigi.


FINE.