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suetudine il giorno appresso, i diplomatici non hanno neppure costi a far nulla: violar le proprie leggi, è privilegio della monarchia assoluta.
Io ammiro i nostri diplomatici del 1859. Ma i loro colleghi del 1831 non difettavano nè di buona volontà, né di intendimento. Diressero a Gregorio XVI un Memorandum, che è un capolavoro. Strapparono al Papa una vera costituzione che nulla lasciava a desiderare, e guarentiva gl’interessi morali della Nazione Romana. Novelle! Le parole rimasero parole, e gli abusi continuarono e crebbero vieppiù vigorosi, sgorgando dallo stesso principio.
Abbiamo ritentato il colpo nel 1849. Il Papa ne ha accordato il Motu-proprio di Portici; ma i Romani non v’hanno guadagnato un iota.
Debbono i nostri diplomatici ricominciare nel 1859 il bel mestiere d’essere menati per l’aia? Un ingegnere francese ha acconciamente dimostrato che, a preservarsi dai danni della inondazione di precipitoso fiume, torna meglio sicuro un riparo alla foce, che grandi dighe lunghesso il corso. Alla sorgente, messeri della diplomazia, alla sorgente! Risalite fino al poter temporale de’ Papi.
Frattanto io non oso sperare nè chiedere che l’Europa ponga mano al gran rimedio fin da quest’oggi. La gerontocrazia è ancor troppo potente, negli stessi governi più giovani; e da altra banda, siamo in piena pace, e le radicali riforme non sogliono attuarsi che mercé la guerra. Recider netto le mag-