Il Favolello (1817)
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qui comincia il favolello, che mandò
mastro brunetto a rustico di filippo.
XXX.
Forse lo spron ti muove,
Che discritte ti prove
Di far difesa, e scudo
* * * * *
* * * * *
Ma sei ’n tutto sicuro,
Che tue difensïone
* * * * *
E fallati drittura.
Una propia natura
Ha dritta benvoglienza;
Che riceve ’ncrescenza
D’amare ogne fiata,
E lunga dimorata.
Nè paese lontano
Di monte, nè di piano
Non mette oscuritade
In verace amistade.
Dunqua pecca, e disvia
Chi buon amico obblia.
E tra li buon’ amici
Sono li dritti offici
Volere, e non volere:
Ciascun è da tenere
Quello, che l’altro vuole
In fatto, et ’n parole.
Quest’amistà è certa:
Ma de la sua coverta
Va alcuno ammantato,
Come rame ’ndorato.
Così in molte guise
Son l’amistà divise,
Perchè la gente ’nvizia
La verace amicizia.
S’amico, ch’è maggiore
Vuol essere a tutt’ore
Per te come lëone;
Amor bassa, e dispone:
Perchè in fina amanza
Non cape maggioranza,
Dunque riceve ’nganno
Non certo sanza danno
Amico (ciò mi pare)
Ch’è di minor affare.
Ch’ama veracemente,
E serve lungamente:
Donde si membra rado
Quelli, ch’è ’n alto grado.
Ben sono amici tali,
Che saettano strali,
E danno grande lode,
Quando l’amico l’ode:
Ma null’altro piacere
Si può da loro avere.
Così fa l’usignuolo,
Che serve al verso solo,
Ma già d’altro mistero
Sai, che non vale guero.
XXXI.
In amici i’ m’abbatto,
Che m’amon pur a patto;
E serve buonamente,
Se vede apertamente
Com’ io riserva lui
D’altrettanto, e di pui.
Altrettal ti ridico
De lo ritroso amico,
Che da la ’ncomincianza
Mostra grand’abbondanza;
Po’ a poco a poco allenta,
Tanto, che anneenta:
E di detto, e di fatto
Già non osserva patto.
Così ha posto cura;
Ch’amico di Ventura,
Come rota si gira,
Che lo pur guarda, e mira;
Come Ventura corre.
E se mi vede porre
In glorïoso stato,
Servemi di buon grato:
Ma se cado ’n angosce
Già non mi riconosce.
Così face l’augello,
Ch’al tempo dolce, e bello
Con noi gajo dimora,
E canta a ciascun’ora:
Ma quando vien la ghiaccia,
Che par, che non gli piaccia,
Da voi fugge, e diparte.
Ond’ io ne prendo un’arte,
Che come la fornace
Prova l’oro verace,
E la nave lo mare;
Così le cose amare
Mostrammi veramente
Chi ama lëalmente.
Certo l’amico avaro
È com’ lo giocolaro;
Mi loda grandemente,
Quando di me ben sente:
Ma quando non gli dono,
Portami laido suono.
Questi davante m’unge,
E di dietro mi punge:
E come l’ape, in seno
Mi dà mele, e veleno.
E l’amico di vetro
L’amor gitta di dietro
Per poco offendimento,
E pur per pensamento
E’ rompe, e parte tutto,
Come lo vetro rutto:
Ma l’amico di ferro
Mai non dice diserro
Infin, che può ’ttrappare:
Ma e’ non vorria dare
Di molt’erbe una cima:
Natura de la lima.
Ma l’amico di fatto
È teco ad ogne patto;
E persona, et avere
Può tutto tuo tenere;
E nel bene, e nel male
Lo troverai lëale.
E se fallir ti vide,
Unque non se ne ride:
Ma te spesso riprende,
E d’altrui ti difende.
Se fai cosa valente,
La spande fra la gente;
E ’l tuo pregio raddoppia:
Cotal’ è buona coppia.
E amico di parole
Mi serve quanto vuole;
E non ha fermamento,
Se non come lo vento.
XXXII.
Ora, ch’i’ penso, e dico,
A te mi torno, Amico
Rustico di Filippo,
Di cui faccio mio cippo.
Se teco mi ragiono,
Non ti chero perdono,
Che non credo potere
A te mai dispiacere;
Che la gran canoscenza,
Che ’n te fa risidenza
Fermata a lunga usanza,
Mi dona sicuranza,
Com’ i’ ti possa dire
Per detto proferire;
E ciò, che scritto mando
È cagione, e dimando,
Che ti piaccia dittare,
E me scritto mandare
Del tuo trovato adesso,
Che ’l buon Palamidesso
Dice, et hol creduto
* * * * *
* * che se in cima
* * * * *
Ond’io m’allegrai.
Qui ti saluto omai;
E quel tuo di Latino
Tien per amico fino
A tutte le carate,
Che voi oro pesate.
finisce il tesoretto.