Il Dio dei viventi/XXXV
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La mattina dopo Bellia fece il suo primo bagno. Indossava un paio di mutandine di maglia a strisce gialle e rosse che quando egli camminava avevano un’ondulazione serpentina: Rosa, già in acqua, cominciò a gridare:
— L’aragosta, l’aragosta!
— La seppia, la seppia, — egli rispose, ma la sua voce era incerta, e anche lui tastava l’acqua col piede, pauroso di avanzare. Avrebbe dovuto andare a bagnarsi di là della casa bianca, assieme con gli altri uomini, ma la madre non glielo permetteva: d’altronde poteva passare per il più grande dei ragazzi ai quali era lecito stare con le donne; e la madre lo accompagnava e lo sorvegliava appunto come un bambino al suo primo bagno, e soffriva di non potere anche lei entrare in acqua e tenerlo per la mano come facevano le altre madri coi loro piccoli.
Anche il cane non voleva abbandonarlo; gli si drizzava addosso lungo e bianco e come nudo anch’esso, con un lamento quasi umano, e pareva volesse trattenerlo, salvarlo da un pericolo.
Per fortuna Bellia procedeva con paura e prudenza: aveva l’impressione che quell’acqua tremula gli si attortigliasse alle caviglie con cordicelle misteriose, per attirarlo lontano; e senza i gridi e gli sberleffi di Rosa sarebbe tornato indietro con grande consolazione della madre.
La madre se ne stava dritta sulla sabbia con la mano sugli occhi più ansiosa delle donne dei pescatori quando i loro uomini sono in mare e la tempesta arriva tutta d’un tratto lanciando in avanti le procellarie sinistre: accanto a sè aveva steso un lenzuolo che sembrava una vela, per scaldarlo al sole e con esso asciugare il ragazzo; e aveva deposto un paniere con uova, biscotti, vino bianco, tanto quanto bastava per ristorare dieci naufraghi.
Il cane non era meno ansioso di lei; entrava nell’acqua ma non osava avanzare; tornava verso la padrona e raspava la sabbia ai suoi piedi, con un guaito che chiedeva soccorso; infine diede ascolto ad un’onda che si avanzò fino a lui, la seguì, si lasciò portare, cominciò a nuotare finchè raggiunto il padroncino gli si aggrappò addosso e parve volesse baciarlo sul viso.
L’esempio del cane diede un po’ di coraggio al bagnante.
— Rosa, — ordinò alla serva come fossero nella loro cucina, — porta fuori questa bestia.
E le buttò addosso il cane per vendicarsi della beffa di lei, poi andò avanti sempre con grande prudenza.
A poco a poco la madre lo vedeva allontanarsi e affondare: ecco, l’acqua pare se lo divori; gli ha già mangiato le gambe, le ginocchia, le coscie: solo metà del corpo è ancora salvo.
— Bellia, Bellia, non andare più oltre.
La voce di lei si perde con quella delle altre donne che richiamano inutilmente i loro bambini. E adesso la serva, che deve stare sulla sabbia per trattenere il cane, si diverte a spaventarla.
— Sono venuta fuori perchè ci sono tante tarantole di mare: se pungono fanno morire arrabbiati.
— E Bellia non lo sa! Guarda com’è lontano!
— Non aver paura, — la conforta la sua ospite. — Non è vero che ci sono tarantole. E l’acqua è bassa fin dove vedi nuotare quegli uomini.
— Io ne vedo uno che mi sembra un morto, padrona mia. Dev’essere un annegato.
— Ma no, è uno che fa il morto, come si dice, — spiega l’ospite.
— No, no, il mare mi piacerebbe vederlo di lontano, — dice la madre, — dalla cima di una montagna.
— Guardate, — urla la serva drizzandosi sulle ginocchia, — che cosa sono quelle macchie laggiù? Pescicani?
— Ma non vedi che sono barche?
— Bellia, Bellia! Non andare avanti. Guarda com’è pallido e tremante. Gli viene male.
— È l’impressione del freddo, — dice l’ospite; — bisognerebbe che si tuffasse tutto.
— Bellia, va sotto. Non prendere freddo. Dio mio, questo ragazzo oggi mi fa morire. (Il Dottore che gli ha ordinato i bagni vuole proprio la nostra rovina, ha ragione chi dice che è un’anima perversa.)
Mentre pensa così la disgraziata donna accenna a Bellia di tuffarsi; ed egli finalmente capisce, si piega dentro l’acqua, sparisce, ricompare, ma è livido in viso, col corpo tutto lucente e tremante.
— Per oggi basterebbe, — dice la madre. — Il Dottore ha ordinato di bagnarsi appena, il primo giorno.
— È troppo poco, — osserva l’ospite; — lascialo ancora.
— I tuoi ragazzi stanno molto in acqua?
— Dovresti domandarmi se stanno molto in terra. Non vedi che vengono fuori solo quando sentono fame?
Alquanto rassicurata, la madre si piega e siede sulla sabbia, accanto all’ospite: e Bellia pare capisca ch’ella gli accenni di piegarsi anche lui; infatti si tuffa di nuovo e prende dimestichezza con l’acqua; l’assaggia e la sputa, va lontano tutto solo, un poco incerto ancora ma già lieto come un bambino che comincia a camminare.
— Adesso mi pare che basti, per oggi, — consiglia l’ospite, — puoi farlo venir fuori.
— Bellia? Bellia?
Bellia è già tanto lontano che non sente più; e alla madre accorata sembra che egli vada verso gli opposti lidi del mare.
— Rosa, — dice tuttavia alla serva, — va a chiamarlo.
— Già! Come che egli sia nella strada davanti a casa!
— Signore! Come si fa? Ci fosse almeno il padre.
Anche il cane era di nuovo inquieto e si lamentava e lottava con la serva che lo teneva sempre stretto a sè.
Ma già Bellia se ne ritornava piano piano, trionfante e tuttavia ancora prudente, camminando fra le onde basse come in mezzo ad un campo di grano che non si vuol calpestare.
E alla madre pareva che il mare stesso sorridesse nel restituirle il suo diletto.
S’alzò e prese il lenzuolo caldo di sole: lo tenne aperto come un paravento mentre Bellia si toglieva le mutandine; poi glielo avvolse bene intorno al corpo; e ancora una volta avrebbe voluto prendersi in collo il suo ragazzo per asciugarlo e scaldarlo contro il suo seno.
Gli diede subito da bere un uovo, poi un bicchiere di vino bianco; poi si piegò a togliere i sassolini dalla sabbia dove egli si stendeva e gli coprì i piedi con la rena calda: infine sedette in modo che la testa di lui riposasse sull’ombra di lei come sul suo grembo stesso.