<dc:title> Il Conte di Carmagnola </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Alessandro Manzoni</dc:creator><dc:date>1828</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Opere varie (Manzoni).djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Conte_di_Carmagnola/Atto_quinto/Scena_I&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20221012073358</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Conte_di_Carmagnola/Atto_quinto/Scena_I&oldid=-20221012073358
Il Conte di Carmagnola - Atto quinto - Scena prima Alessandro ManzoniOpere varie (Manzoni).djvu
A questi patti offre la pace il Duca;
Su ciò chiede il Consiglio il parer vostro.
il conte.
Signori, un altro io ve ne diedi; e molto
Promisi allor: vi piacque. Io attenni in parte
Quel che promesso avea: ma lunge ancora
Dalle parole è il fatto; ed or non voglio
Farle obliar però: sul labbro mio
Imprevidente militar baldanza
Non le mettea. Di novo avviso or chiesto,
Altro non posso che ridirvi il primo.
Se intera e calda e risoluta guerra
Far disponete, ah! siete a tempo: è questa
La miglior scelta ancora. Ei vi abbandona
Bergamo e Brescia; e non son vostre? L’armi
Le han fatte vostre: ei non può tanto offrirvi
Quanto sperar di torgli v’è concesso.
Ma, da un guerrier che vi giurò sua fede
Voi non volete altro che il ver, se il modo
Mutar di questa guerra a voi non piace,
Accettate gli accordi.
il doge.
Il parlar vostro
Accenna assai, ma poco spiega; un chiaro
Parer vi si domanda.
Uditel dunque.
Sciegliete un duce, e confidate in lui:
Tutto ei possa tentar; nulla si tenti
Senza di lui: largo poter gli date;
Stretto conto ei ne renda. Io non vi chiedo
Ch’io sia l’eletto: dico sol che molto
Sperar non lice da chi tal non sia.
marino.
Non l’eravate voi quando i prigioni
Sciolti voleste, e il furo? Eppur la guerra
Più risoluta non si fea per questo,
Nè certa più. Duce e signor nel campo,
Forse concesso non l’avreste.
il conte.
Avrei
Fatto di più: sotto alle mie bandiere
Venian quei prodi; e di Filippo il soglio
Voto or sarebbe, o sederiavi un altro.
il doge.
Vasti disegni avete.
il conte.
E l’adempirli
Sta in voi: se ancor nol son, n’è cagion sola
Che la man che il dovea sciolta non era.
marino.
A noi si disse altra cagion: che il Duca
Vi commosse a pietà, che l’odio atroce
Che già portaste al signor vostro antico,
Sovra i presenti il rovesciaste intero.
il conte.
Questo vi fu riferto? Ella è sventura
Di chi regge gli Stati udir con pace
L’impudente menzogna, i turpi sogni
D’un vil di cui non degneria privato
Le parole ascoltar.
marino.
Sventura è vostra
Che a tal riferto il vostro oprar s’accordi,
Che il rio linguaggio lo confermi, e il vinca.
il conte.
Il vostro grado io riverisco in voi,
E questi generosi in mezzo a cui
V’ha posto il caso: e mi conforta almeno
Che il non mertato onor di che lor piacque
Cingere il loro capitan, lo stesso
Udirvi io qui, mostra ch’essi han di lui
Altro pensiero.
il doge.
Uno è il pensìer di tutti.
il conte.
E qual?
il doge.
L’udiste.
il conte.
È del Consiglio il voto
Quello che udii?
il doge.
Sì: il crederete al Doge.
il conte.
Questo dubbio di me?...
il doge.
Già da gran tempo
Non è più dubbio.
il conte.
E m’invitaste a questo?
E taceste finor?
il doge.
Sì, per punirvi
Del tradimento, e non vi dar pretesti
Per consumarlo.
il conte.
Io traditor? Comincio
A comprendervi alfin: pur troppo altrui
Creder non volli. Io traditor! Ma questo
Titolo infame infino a me non giunge:
Ei non è mio; chi l’ha mertato il tenga.
Ditemi stolto: il soffrirò, che il merto:
Tale è il mio posto qui; ma con null’altro
Lo cambierei, ch’egli è il più degno ancora.
Io guardo, io torno col pensier sul tempo
Che fui vostro soldato: ella è una via
Sparsa di fior. Segnate il giorno in cui
Vi parvi un traditor! Ditemi un giorno
Che di grazie e di lodi e di promesse
Colmo non sia! Che più? Qui siedo; quando
Io venni a questo che alto onor parea,
Quando più forte nel mio cor parlava
Fiducia, amor, riconoscenza, e zelo...
Fiducia no: pensa a fidarsi forse
Quei che invitato tra gli amici arriva?
Io veniva all’inganno! Ebben, ci caddi;
Ella è così. Ma via; poichè gettato
È il finto volto del sorriso ormai,
Sia lode al ciel; siamo in un campo almeno
Che anch’io conosco. A voi parlare or tocca:
E difendermi a me: dite, quai sono
I tradimenti miei?
il doge.
Gli udrete or ora
Dal Collegio segreto.
il conte.
Io lo ricuso.
Ciò che feci per voi, tutto lo feci
Alla luce del sol; renderne conto
Tra insidiose tenebre non voglio.
Giudice del guerrier, solo è il guerriero.
Voglio scolparmi a chi m’intenda; voglio
Che il mondo ascolti le difese, e veda...
il doge.
Passato è il tempo di voler.
il conte.
Qui dunque
Mi si fa forza? Le mie guardie!
(alzando la voce, si move per uscire)
il doge.
Sono
Lunge di qui. Soldati!
(entrano genti armate)
Eccovi ormai
Le vostre guardie.
il conte.
Io son tradito!
il doge.
Un saggio
Pensier fu dunque il rimandarle: a torto
Non si pensò che, in suo tramar sorpreso,
Farsi ribelle un traditor potria.
Anche un ribelle, sì: come v’aggrada
Ormai potete favellar.
il doge.
Sia tratto
Al Collegio segreto.
il conte.
Un breve istante
Udite in pria. Voi risolveste, il vedo,
La morte mia; ma risolvete insieme
La vostra infamia eterna. Oltre l’antico
Confin l’insegna del Leon si spiega
Su quelle torri, ove all’Europa è noto
Ch’io la piantai. Qui tacerassi, è vero;
Ma intorno a voi, dove non giunge il muto
Terror del vostro impero, ivi librato,
Ivi in note indelebili fia scritto
Il benefizio e la mercè. Pensate
Ai vostri annali, all’avvenir. Tra poco
Il dì verrà che d’un guerriero ancora
Uopo vi sia: chi vorrà farsi il vostro?
Voi provocate la milizia. Or sono
In vostra forza, è ver; ma vi sovvenga
Ch’io non ci nacqui, che tra gente io nacqui
Belligera, concorde: usa gran tempo
A guardar come sua questa qualunque
Gloria d’un suo concittadin, non fia
Che straniera all’oltraggio ella si tenga.
Qui c’è un inganno: a ciò vi trasse un qualche
Vostro nemico e mio: voi non credete
Ch’io vi tradissi. È tempo ancora.
il doge.
È tardi.
Quando il delitto meditaste, e baldo
Affrontavate chi dovea punirlo,
Tempo era allor d’antiveggenza.
il conte.
Indegno!
Tu mi rendi a me stesso. Tu credesti
Ch’io chiedessi pietà, ch’io ti pregassi:
Tu forse osasti di pensar che un prode
Pe’ giorni suoi tremava. Ah! tu vedrai
Come si mor. Va: quando l’ultim’ora
Ti coglierà sul vil tuo letto, incontro
Non le starai con quella fronte al certo,
Che a questa infame, a cui mi traggi, io reco.