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atto quinto. 271

V’ha posto il caso: e mi conforta almeno
Che il non mertato onor di che lor piacque
Cingere il loro capitan, lo stesso
Udirvi io qui, mostra ch’essi han di lui
Altro pensiero.

il doge.


                              Uno è il pensìer di tutti.

il conte.


E qual?

il doge.


               L’udiste.

il conte.


                              È del Consiglio il voto
Quello che udii?

il doge.


                              Sì: il crederete al Doge.

il conte.


Questo dubbio di me?...

il doge.


                                                  Già da gran tempo
Non è più dubbio.

il conte.


                              E m’invitaste a questo?
E taceste finor?

il doge.


                              Sì, per punirvi
Del tradimento, e non vi dar pretesti
Per consumarlo.

il conte.


                              Io traditor? Comincio
A comprendervi alfin: pur troppo altrui
Creder non volli. Io traditor! Ma questo
Titolo infame infino a me non giunge:
Ei non è mio; chi l’ha mertato il tenga.
Ditemi stolto: il soffrirò, che il merto:
Tale è il mio posto qui; ma con null’altro
Lo cambierei, ch’egli è il più degno ancora.
Io guardo, io torno col pensier sul tempo
Che fui vostro soldato: ella è una via
Sparsa di fior. Segnate il giorno in cui
Vi parvi un traditor! Ditemi un giorno
Che di grazie e di lodi e di promesse