Idilli (Teocrito - Romagnoli)/VIII - I mandriani

VIII - I mandriani

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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1925)
VIII - I mandriani
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VIII

I MANDRIANI

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PERSONAGGI

Dafni
Menalca


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Mentre fra monti eccelsi pasceva la greggia, Menalca,
dicono, s’imbatté con Dafni, leggiadro bovaro.
Aveano entrambi fulvi capelli, e nascente la barba,
sapean suonare entrambi la fistola, entrambi cantare.
Or, come Dafni vide Menalca, per primo gli disse:
«Dafni, dei bovi muggenti custode, con me vuoi cantare?
Come mi pare, dico, saprò superarti nel canto».
E Dafni, allora, a lui rispose con queste parole:
«O suonator di sampogna, pastore del gregge lanoso,
vincermi tu non potrai, Menalca, se pur tu morissi».
menalca
Vuoi che si venga alla prova? Vuoi mettere un premio alla gara?
dafni
Voglio veder questa prova, vo’ mettere un premio alla gara.

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menalca
E quale premio dunque porremo, che sia sufficiente?
dafni
Questo vitello, io: tu, grasso al par della madre, un agnello.
menalca
Non metterò l’agnello. Mio padre è bisbetico, ed anche
mia madre; e tutte quante le pecore contano a vespro.
dafni
Dunque, che metterai? Che premio avrà dunque chi vince?
menalca
Questa sampogna ch’io foggiai, nove canne leggiadre,
tutta di bianca cera connessa, di sopra e di sotto.
Questa io porrò. La roba del babbo non posso toccarla.
dafni
Una sampogna posseggo anch’io, nove canne leggiadre,
tutta di bianca cera connessa, di sopra e di sotto.
Or ora l’ho foggiata, che ancor questo dito mi duole,
perché mi si spezzò la canna, ed un taglio mi feci.
menalca
E chi ci ascolterà? Chi su noi vorrà dare giudizio?

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dafni
Vuoi tu che qui facciamo venir quel pastore di capre,
quello col cane bianco che insegue le agnelle ed abbaia?



Dunque, i fanciulli chiamarono, e venne ad udirli il capraro.
Cantarono i fanciulli, fu giudice ad essi il capraro.
Primo dunque cantò, diede primo l’accordo Menalca;
ed in risposta poi riprendeva l’agreste canzone
Dafni. Per primo intonò cosí la canzone Menalca.


menalca
Fiumi e convalli, progenie divina, se pure Menalca
          il sampognaro, mai cantò carme soave,
liete le agnelle adesso pascetemi; e uguale favore
          largite a Dafni, ov’egli con le vitelle giunga.
dafni
Erbe e fontane, progenie soave, se Dafni pastore
          seppe emulare mai col canto i rosignoli,
fate che questo armento s’impingui; e Menalca, se il gregge
          conduca qui, di ricco pascolo allieti il cuore.
menalca
Qui sono pecore, qui son capre di gèmina prole,
          empion qui l’api i favi, son piú le querce eccelse.

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dove Milone il bello sospinge il suo pie’. Ma se parte,
          inaridisce qui la greggia o la pastura.
dafni
È primavera per tutto, per tutto son prati, per tutto
          gonfia le mamme il latte, il lattonzolo cresce,
dove la Nàiade bella s’avanza. Se poi s’allontana,
          si fan súbito i bovi piú tristi, e chi li nutre.
menalca
O delle candide capre signore, ove il bosco è piú cupo
          vòlgiti, capro, e voi, sime caprette, all’acque:
quivi ei dimora. Tu, capro, lì récati, e digli: «Milone.
          Pròteo, sebbene Nume, pasturava le foche».
Mancano due distici.
menalca
Deh!, non m’avvenga tenere di Pèlope il suolo, e i talenti
          di Creso, e non al corso lasciarmi addietro i venti;
ma sotto questa rupe cantar, fra le braccia te avendo,
          vedendo il gregge al pascolo, ed il mar di Sicilia.
dafni
Grande iattura è per gli alberi il verno, pei rivi l’arsura,
          per gli uccelli i laccioli, per le belve le reti,
per l’uomo il desiderio di tenera vergine. Oh padre
          Giove, non io solo amo! Tu pure ami le donne!

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Cosí con versi alterni cantarono i due giovinetti;
e all’ultime canzoni cosí diede il tòno Menalca.
menalca
Risparmia, o lupo, i miei capretti e le gravide capre,
male non farmi perché son piccolo, e grande è il mio gregge.
Làmpure, cane mio bello, tu dormi cosí della grossa?
Con un fanciullo sei: non va quel tuo sonno profondo.
Pecore, e voi non abbiate riguardo alla tenera erbetta:
fatene pur satolle, ché senza fatica rinasce.
Sotto, pascete, pascete, rempietevi tutte le mamme,
ché parte n’abbian gli agni, e parte lo pongan nei secchi.

E Dafni, dopo lui, dié tòno all’arguta canzone.
dafni
Dall’antro una fanciulla dai cigli congiunti mi vide
ieri, che le giovenche spingevo, e: «Sei bello — mi disse —
sei bello!» — Ed io nessuna parola pungente risposi,
ma le pupille abbassai, tirai dritto per la mia strada.
Della giovenca è il mugghio soave, soave il respiro.
Dolce, vicino a un’acqua che passa, dormire l’estate.
Son della quercia fregio le ghiande, del melo le mele,
delle giovenche il vitello, le vacche di chi le pastura.

I giovinetti cosí cantarono. E disse il capraro:

Dolce è il tuo labbro, o Dafni, piacer la tua voce m’infonde;
udire te che canti val meglio che suggere miele.
Prenditi la zampogna: ché vinta hai la gara del canto.
Ché se tu vuoi, mentre io le greggi pasturo, insegnarmi.

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quella capretta avrai per compenso, che mozze ha le corna,
che sopra l’orlo, quando la mungi, la bómbola t’empie.

S’allegrò tutto, un salto spiccò, vinto ch’ebbe, il fanciullo,
batté le mani: il cerbiatto cosí salta presso la madre.
L’altro restò crucciato, dolor gli sconvolse la mente:
Cosí la nuova sposa si turba, movendo a marito.

E da quel giorno Dafni fu primo fra tutti i pastori,
ed una Naiade Ninfa, sebbene era acerbo, ebbe sposa.



Nota

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VIII

I MANDRIANI

Pochi idilli hanno suscitati tanti entusiasmi quanto questi «Mandriani». Il Carducci, nella seconda «Primavera ellenica» ne ha mirabilmente tradotti due distici:

Oh di Pèlope re tenere il suolo
oh non m’avvenga, o d’aurei talenti
gran copia, e non de l’agil piede
                         a volo vincere i venti!
Io vo’ da questa rupe erma cantare,
te fra le braccia avendo, e via lontano
calar vedendo l’agne bianche
                         al mare siciliano.


E il Sainte-Beuve gli assegna la palma su tutti gli altri idilli. «Stavo per dire che niente uguaglia la grazia del sesto idillio; ma Teocrito stesso l’ha sorpassata. L’ottavo idillio, fra i due fanciulli Dafni e Menalca, è forse il piú caratteristico del genere pastorale puro, il piú grazioso, il piú semplice ed innocente di tutti, posto com e ai confini della puerizia e dell adolescenza. Da nessuna ecloga esala come da questa la felicità [p. 243 modifica]campestre, l’abbandono e la facile gioia: vi si confondono il piú ingenuo rossor dell’infanzia, e i primi turbamenti del pudore. Il poeta vi ha dipinta l’infanzia dell’Orfeo dei pastori; e nella sua pittura c’è un’aura di Raffaello».

Le osservazioni del Sainte-Beuve sono sostanzialmente giuste, anche per chi non possa interamente partecipare la sua grande ammirazione. Un Raffaello. Ma un Raffaello stanco, in cui la purezza del disegno non basti a compensare una certa languidezza di colore, una certa mancanza di tratti caratteristici.

Accanto alla esaltazione del Sainte-Beuve, bisogna poi ricordare la diffidenza di un gran numero di filologi, i quali giunsero al punto di negare a Teocrito la paternità dell’idillio, per attribuirla ad un ignoto poeta, che qualcuno chiamò poi da strapazzo. Inutile specificare le loro ragioni, che spesso, come troppo spesso avviene delle ragioni filologiche, sono veri «aegri somnia». Ma anche per essi, l’irrazionale ma vero e profondo fondamento della diffidenza dove’ consistere nell’innegabile povertà di colore che questo idillio presenta di fronte agli altri migliori di Teocrito. Né so che sia stato rilevato il carattere d’intrlocco centrato}}

Cosí con versi alterni cantarono i due giovinetti:
e all’ultime canzoni cosí diede il tono Menalca.

Sembra proprio una di quelle glose riassuntive che nei moderni libri scolastici si introducono, per «collegare» i «brani scelti» dei poemi celebri. E non contribuisce certo a dissipare i dubbi e l’incertezza.

Tra i pregi essenziali di questo idillio, si deve annoverare il bando assoluto della mitologia e di ogni altra cianfrusaglia erudita.