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Come favelli, come rozzo scherzi!
Che voce delicata, e detti blandi!
Che molle barba! Che vistosa chioma!
Hai tisiche le labbra, e le man nere.
Tu puzzi. Via di qua. Non ammorbarmi.
Ciò detto in seno si sputò tre volte,
E me da capo a piè squadrò biasciando
Fra le labbra, e guatando ad occhi biechi.
Di sua beltate ingaluzzossi, e femmi
Un cotal riso amaro a denti aperti.
Tosto bollìmmi il sangue, e pel dispetto
Arrossii come rosa alla rugiada.
Ella partendo abbandonommi, ed io
La rabbia ho sotto al cor, perchè un’infame
A scherno prese me, che son sì gajo.
Pastor, ditemi il ver: non son io bello?
Forse alcun Dio mi fe’ repente altr’uomo
Da quel di pria? Certa beltà gioconda
Fioriva dianzi in me, qual edra suole
Su per un tronco, e la mia barba ornava.
Sparse intorno alle tempie eran le chiome
A guisa d’appio, e su le ciglia nere
Bianca lucea la fronte; assai più azzurre,
Che quelle di Minerva, eran mie luci;
E più d’una giuncata era soave
Mia bocca, e dalla bocca si spandea
Il ragionar più dolce d’un fiale.
Grate son pur mie note, o ch’io siringa
Moduli, o canna, o piffero, o traversa.
Tutte mi chiaman bello e m’aman tutte
Le montanine; e pure amor negommi
La cittadina. Perch’io son bifolco,
Oltre passò, nè udi giammai, che in valli
Pasce il bel Dioniso una vitella.
Nė seppe ancor, come per uom di buoî
Pastore in furor venne Citerea,