XVII

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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
XVII
XVI XVIII

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ENCOMIO DI TOLOMEO

Idillio XVII.

Da Giove cominciamo, e fine in Giove,
     Muse, facciam, quando fra i Numi il sommo
     Per noi si prende a celebrar col canto.
     Ma fra i mortali a Tolomeo diam nome
     Nel principio, nel mezzo, e nell’estremo.
     Ei di tutti è il più degno. I prischi Eroi
     Scesi da’ Semidei, quando gran prove
     Fornir, saggi cantori ebbero in sorte,
     Io del colto parlar maestro un inno
     A Tolomeo sciorrò: Gl’inni son premio
     De’ Numi stessi. Un segator, che ascese
     Ida selvoso, attento guata, ond’abbia
     A dar principio al gran lavor, che ha intorno.
     Che narrerò prima di tutto? Innanzi
     Veggiomi i doni immenși, onde gli Dei
     L’alto Regnante ornaro. Infra i suoi padri
     Quanto fu destro alle grand’opre il figlio
     Di Lago, poichè fisso in cor s’avea
     Consiglio che vinceva ogni intelletto?
     Ben al Numi beati in pregio uguale
     Lo rese il padre Giove, e albergo d’oro
     Fugli in sua casa eretto. Accanto a lui
     Sta l’amico Alessandro, infesto Nume
     A’ Persi, e destro in aggirar consigli.
     In faccia a loro in solido adamante
     Al tauricida Alcide un seggio è posto,
     Ov’ei con gli altri abitator del Cielo
     Siede a convito, e de’ nepoti ognora

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     De’ suoi nepoti oltr’uso si compiace.
     Perocchè dalla squallida vecchiezza
     Giove lor membra terse, onde nomati
     Furo immortali i discendenti suoi.
     Conversi in Numi; poichè il figlio invitto
     D’Alcide a entrambi origin diede, e Alcide
     Entrambi fanno di lor ceppo autore.
     Perciò quand’ei da mensa un dì satollo
     Dell’odoroso nettare tornossi
     Alla diletta moglie, all’un diè l’arco,
     E la faretra onor del fianco, all’altro
     Diè la ferrata noderosa mazza.
     Or reçan essi al talamo beato
     D’Ebe candida i piè quest’armi, e scorta
     Fansi al buon Genitor figlio di Giove.
Ma qual pur anco infra le sagge donne
     Berenice famosa alto rifulse
     Gloria de’ genitor! Con le man molli
     Palpò a lei certo l’odoroso seno
     La veneranda figlia di Diona,
     Che in Cipro regna; onde nessuna ancora
     Donna mai tanto a suo marito piacque,
     Quanto amò Tolomeo la sua Consorte;
     Bench’ei più riamato era da lei.
     E or de’ figli securo a lor commette
     Tutta la casa, allorchè amante sposo
     Dell’amorosa moglie il letto ascende.
     Moglie disamorata ha sempre altrove
     Il cor rivolto. È facile alla prole;
     Ma la prole non vien simile al padre.
     O sovrana in beltà fra tutte Dee
     Alma Ciprigna, a te fu sempre in cura,
     E tua mercè la vaga Berenice
     Non varcò il lamentevole Acheronte.
     Ma prima che giungesse al nero stagno,
     E al sempre truce traghettier dell’Ombre,

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     Nel tempio la rapisti; e colà parte
     Degli onor tuoi le festi. Ella or cortese
     Inverso tutti amor soavi inspira,
     E lievi rende all’amador le cure.
     Giunta a Tideo tu, nericiglia Argiva,
     N’avesti il Calidonio Diomede
     Di stragi portator; da Peleo Teti
     Colma il bel seno il saettante Achille;
     E di te pure, o Tolomeo guerriero,
     Per opra del guerriero Tolomeo
     Fu illustre madre Berenice. E Coo
     Te dal materno sen, tosto che all’alba
     Aprìsti i rai, novello germe accolse,
     Ed allevò. Poichè fra i duol del parto
     D’Antigona la figlia ivi a Lucina
     Scioglitrice del cinto alzò la voce.
     La qual pietosa se le assise a lato,
     E indolenza le infuse in tutti i membri;
     Poi nacque il buon garzon simile al padre.
     Coo rimirollo, e fra le braccia amiche
     Lo prese alto gridando: A te, fanciullo,
     Fortuna arrida; e quanto il biondo Apollo
     Onorò Delo dall’azzurro cerchio,
     Tu me altrettanto onora. E tu comparti
     Di Triope al colle, ed ai vicini Dori
     Onore e pregio uguale a quel, che appresta
     All’amata Renea l’augusto Febo.
     Tal l’Isola parlò: tre volte il fausto
     Di Giove augel mandò dall’alto un suono
     Infra le nubi: ecco di Giove un segno.
     Il venerando Re di Giove è cura.
     Grande è quell’uom, cui di Saturno il figlio
     Ama al primo apparir. Dietro a lui corre
     Molta ricchezza. A molta terra, e mare
     Ei l’impero distende. Immensi campi,
     E popoli infiniti a lui le biade

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     Dalla pioggia di Giove alimentate
     Propagan. Nè già v’ha terren fecondo
     Al par del basso Egitto; allorchè il Nilo
     L’umide zolle a stritolar vien fuori.
     Nè alcun tante ha Città piene d’industri
     Artieri. A lui ne surgono trecento
     Tentratre mila, e trentanove appresso;
     E il prode Tolomeo su tutte regna.
     Ei divide con altri la Fenicia,
     L’Arabia, la Sorìa, la Libia, e i bruni
     Etiopi; e tutti dal suo cenno pendono
     Que’ di Panfilia, e i forti di Cilicia:
     I Licj, i guerrier Carj, e in un le Cicladi,
     Perocchè a’ cenni suoi perfette navi
     Solcano il mare, e mari e terre e fiumi
     Alto sonanti a Tolomeo son ligj.
     Molti a lui cavalier, molti scudati
     Brillano avvolti in fulgido metallo.
     Ei supera in aver tutti i monarchi;
     Tal dovizia ogni di’ vien d’ogni banda
     Alla sua casa, e i popoli tranquilli
     Stanno intenti al lavor. Nessun nemico
     Vien pel Nilo fecondo di gran pesci
     A destar guerra a piè nell’altrui ville.
     Nè alcuno infesto agli Egiziani armenti
     Armato di corazza esce sul lido
     Da rapida feluca, or che fa veglia
     Su le larghe pianure Eroe sì chiaro,
     Il biondo Tolomeo perito in lancia,
     Cui sovr’ogn’altro cal serbare intatto
     (Come a buon Re conviene) il suo retaggio,
     Poi nuovi acquisti fa. Nè inutil l’oro
     Nelle sue ricohe stanze ognor riposa.
     Qual tesor di formiche affaticate.
     Ma n’han gran parte le magioni illustri
     De’ Numi, a’ quali infra molt’altri doni

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     Offre ognor le primizie; e molto ancora
     Ai regnator possenti ne dispensa,
     E molto alle Cittadi, e a’ buoni amici.
     Nè viene alcun di Bacco ai sacri agoni
     Perito in modular canori accenti,
     Che premio all’arte ugual non ne riporti.
     Delle Muse i ministri a lui dan vanto
     Pel suo cor liberale. E che di meglio
     Un ricco ottener può, che onore, e fama?
     Questa agli Atridi intiera resta, e quelle
     Ricchezze immense, che predar nell’alta
     Casa di Priamo, or cela (e chi sa dove?)
     Caligin tetra, che ogni via lor chiude.
     Ei sol sull’orme va de’ prischi padri
     Quasi ancor calde, e ben le agguaglia e imita.
     Ei profumati templi eresse al padre,
     E alla diletta madre, e lor fregiati
     D’avorio, e d’oro ivi ripose; e a tutte
     Le genti rese lor propizj Numi.
     E al ritornar di certi mesi abbrucia
     Su l’are rosseggianti i pingui terghi
     Di tori ei stesso, e la valente moglie,
     Di cui nessuna donna in suo palagio
     Miglior consorte infra le braccia stringe,
     Di cuore amando il suo fratello, e sposo.
     Tai le nozze già fur degl’Immortali,
     Che partorì la dominante Rea,
     Regnatori d’Olimpo, allorchè a’ sonni
     Di Giove e di Giunon compose un letto
     Con profumate man la vergine Iri.
     Salve, o Re Tolomeo. Per me n’andrai
     Famoso al par degli altri Semidei.
     Alle future età medito sciorre
     Un non ignobil carme. Or tu da Giove
     Il buon valore co’ tuoi preghi impetra.