Idilli (Teocrito - Pagnini)/XVIII
Questo testo è completo. |
◄ | XVII | XIX | ► |
EPITALAMIO D’ELENA
Idillio XVIII
Presso il crin-biondo Menelao in Sparta
Già dodici fanciulle onor sovrano,
E fior delle Spartane, ornate il crine
Di fiorito giacinto ordiro innanzi
Al nuovo-pinto talamo un bel coro,
Quando il figlio più giovane d’Atréo
Si chiuse in casa la diletta prole
Di Tindaro sua Sposa. Un canto stesso
Mossero tutte insieme il suol battendo
Co’ piè ben intrecciati, ed Imeneo
Tutta intorno la casa alto sonava.
Sì tosto ora ti corchi, o dolce sposo?
Pésanti forse le ginocchia? o il sonno
Troppo ti piace? oppur bevesti assai
Pria di gettarti in letto? Ah! ben dovevi,
Se a te piaceva, riposar per tempo,
E lasciar presso l’amorosa madre
La figlia in festa, fino a giorno chiaro
Con le compagne. Ah! sarà ben tua moglie
E a sera e a mane, e poi per anni ed anni.
O fortunato sposo, a tua salute
Starnutò fausto Genio, allorchè in Sparta
Venisti, ov’è di nobiltade il fiore.
Sol tu fra i Semidei suocero avrai
Giove il gran figlio di Saturno. Teco
Venne a giacer sotto una stessa coltre
La figliuola di Giove, a cui l’uguale
Non pose giammai piè nel suolo Acheo.
Gran prole n’avrai tu se alla gran madre
Sarà simil. Noi tutte d’età pari
Dugenquaranta, femminil drappello,
Feamo un corso medesmo in viril foggia
Presso i bagni d’Eurota ante le membra.
Ma nessuna era già senza difetto
D’Elena al paragon. Come il bel volto
Scopre l’alba nascente, allorchè sgombra
La veneranda notte, e cede il regno
All’albeggiante primavera il verno;
Tal fra noi l’aurea vergine splendea
Complessa, e grande. Qual de’ campi onore
S’erge filar di piante, o qual in orto
Cipresso, o qual destrier Tessalo al cocchio,
Tal essa in rosee carni è specchio e lume
Di Sparta. Nessun’altra ne’ canestri
Sì be’ lavori intesse, o in tela industre
Più ben ordito stame avvolto al subbio
Dalle lunghe gomitola recide.
Nessuna sì ben canta a suon di cetra
Cintia, e la Dea dal largo sen Minerva,
Com’Elena vezzosa, a cui negli occhi
Tutti gli Amor fan nido. O graziosa
Vergin leggiadra, or se’ matrona omai.
Noi sul mattin correndo ai prati erbosi
Tesseremo odorifere ghirlande
Di te ben ricordevoli, siccome
Agnelline di latte disiose
Della materna poppa. A te noi prime
Intrecciando corona d’umil loto
L’appenderemo a un platanetto ombroso.
Righerem prime con vasel d’argento
A te l’ombroso platano d’unguenti;
E di doriche note incideremo,
Perchè le legga il passeggier, la scorza:
„Fatemi onor: son d’Elena la pianta.
Salve, o sposa, e tu, sposo, a cui la sorte
Sì gran suocero diè. L’alma Latona
De’ figli allevatrice a voi conceda
Egregia prole, e la Ciprigna Dea
Pari amor vicendevole, e il gran Giove
Inesansti tesori, che tragitto
Facciano di gentile in gentil sangue.
Dormite l’un spirando in petto all’altro
Amore, e bei desiri; e poi sull’alba
Destatevi. Ogni mal da voi stia lunge.
Noi domattina farem qua ritorno,
Quando il primo cantore schiamazzando
La pennuta cervice alza dal covo.
Tu di tai nozze, Imene, Imen, t’allegra.