XIV

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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
XIV
XIII XV

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L’AMORE DI CINISCA,

OVVERO TIONICO

Idillio XIV

Eschine e Tionico.

eschine
Tionico, buon dì.
tionico
                                        Buon di e buon anno,
Eschine mio.
eschine
                         Quant’è ch’i’ non t’ho visto!
tionico
Affe gran tempo. E che fai tu?
eschine
                                                            Non van
     Troppo bene i miei casi.
tionico
                                                  Ora capisco
     Perchè se’ magro, co’ mustacchi lunghi,
     E col crine arruffato. In cotal forma
     Comparve dianzi qua pallido, e scalzo
     Certo Pittagorista, il qual dicea
     D’essere Ateniese, e ben mi parve
     Innamorato di farina cotta.
eschine
Tu, galantuom, mi burli e di me strazio
     Fa la bella Cinisca. I’ son sul punto
     Di voltare il cervel: vi manca un pelo.
tionico
Tu sempre se’ siffatto, Eschine caro.
     Or maniero, or rubesto e ognor vorresti

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     Tutto a tuo modo. Or di’, che c’è di nuovo?
eschine
L’Argivo, ed io, col Tessalo cozzone
     Api, e il soldato Cleonico stemmo
     In un mio luogo a bere. Uccisi io avea
     Due pollastrelli, e un porcellin di latte,
     E attinto un odoroso vin di Biblo,
     Che avea quattr’anni, e allora allor venuto
     Parea dal torchio, nè mancavan bulbi,
     E chiocciole, che fan gradito il bere.
     Convennesi in progresso, che vin pretto
     Si mescesse ad ognun, sol ch’ei dicesse
     Alla salute di chi ber volea.
     Noi brindisi facendo a piacer nostro.
     Cioncammo; e colei nulla in mia presenza.
     Qual pensi, ch’io nel cor mi rimanessi?
     Quand’un là motteggiò con un proverbio:
     Così stai cheta? Hai forse visto il Lupo?
     Ella s’infiammò sì, che in viso a lei
     Un solfanello acceso avresti. Il lupo
     È quel Lupo figliuol del vicin nostro
     Laba, lunghetto e molle, e che da molti
     Si tien per bello. Ecco il famoso amore,
     Ond’ella si struggea. Ben all’orecchio
     Venuto già me n’era alcun bisbiglio;
     Ma io, che invaņo ho viril barba al mento,
     Non però ne fei caso. Eram noi quattro
     Al fondo del trincare, e Larisseo
     Sul mio Lupo una tessala canzone
     Incominciò da capo. Oh cor malvagio!
     Repente diè Cinisca in più dirotti
     Pianti, che una bambina di sei anni,
     Che salir brama alla sua mamma in collo.
     Ed io allor (tu mi conosci) un pugno
     Cacciaile nella guancia e un altro appresso.
     Ella tirata su la vesta in fretta

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     Di là si tolse; ed io: dunque, o mia peste,
     A te non piaccio? Altro amator più grato
     Nel core annidi? Va a covarlo, e a lui
     Porta que’ gocciolon, che pajon mele.
     Qual rondinella che a raccor nov’esca
     Pe’ rondinin, che nido han sotto al tetto
     Ripiega il vol; tale, e più snella ancora
     Dalla morbida seggia ella si scaglia
     Dritto al cortile, e ver la porta, dove
     La menano le gambe, e come dice
     Vecchio proverbio: il toro andò nel bosco.
     Venti giorni, poi otto, e nove, e dieci,
     Poi undici con oggi, ed altri due
     Fanno due mesi, da che siam divisi;
     Tant’è ch’io non mi teso all’uso Tracio.
     Ella or tutta è di Lupo. A Lupo s’apre
     Anche la notte; e in nessun pregio, e conto
     Noi Megaresi ignobili tapini
     Tenuti siam. S’io disamar potemi,
     Tutto andrìa ben; ma son come quel topo,
     Che la pece assaggiò; nè medicina
     So ritrovare al mal ordito amore.
     Senonchè della figlia d’Epicalco
     Simo a’ miei giorni acceso in mar si pose,
     E ne rivenne sano. Anch’io per mare
     Andronne; e già non ultimo, nè primo,
     Ma soldato sarò pari a tant’altri.
tionico
Eschine, vorrei pur, che fosse il tutto
     Secondo a’ voti tuoi. Che s’hai tu fermo
     Di viaggiar, dà soldo Tolomeo
     Più ch’altri mai cortese all’uom bennato.
eschine
Qual è nel resto?
tionico
                                   E qual diss’io, cortese

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     All’uom benṇato, di benigno cuore,
     Amador delle Muse, affettuoso,
     Al sommo compiacente, e sa chi l’ama,
     E più ancor chi non l’ama; è liberale
     Di molto a molti, nè di grazie è avaro
     Qual si conviene a Re. Non però vuolsi,
     Eschine, chieder sempre. Or se ti piace
     Il sajone affibbiare all’omer destro;
     E s’hai valor da reggere agli assalti
     Di scudato guerrier, corri in Egitto:
     A noi pur troppo su le tempie spunta,
     E scende a mano a man sopra le gote
     L’età canuta. Ah! non bisogna, amico,
     In ozio star; finchè il ginocchio è fresco.