XIII

../XII ../XIV IncludiIntestazione 1 febbraio 2024 75% Da definire

Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
XIII
XII XIV

[p. 139 modifica]

ILA.

Idillio XIII

Non per noi soli (qual credemmo), o Nicia,
     Fu generato Amor da quel fra i Numi,
     A cui nacque tal figlio; e noi mortali,
     Che il domane ignoriam, non siamo i primi,
     Cui bello appaja il bello. Anche il figliuolo
     D’Anfitrion, che un cuor di bronzo avea,
     E saldo incontro a fier lion, del vago
     Ila garzon d’inanellata chioma
     Invaghissi, e qual padre un caro figlio
     In tutto quel l’instrusse, ond’egli stesso
     Ammaestrato si fe prode, e chiaro.
     Da lui diviso unqua non era, e quando
     Il mezzo-giorno poggia, o quando l’alba
     Su’ destrier bianchi alla magion di Giove
     Sen corre, o quando i queruli pulcini
     Giran gli occhi a’ pollai, battendo l’ali
     La madre su la trave affumicata.
     Tutto perchè il garzone a suo talento
     Instrutto, ed al suo fianco esercitato
     Uom degno si formasse. Or quando il corso
     L’Esonide Giasone al vello d’oro
     Prese, e il seguir d’ogni cittade eletti
     I più destri al grand’uopo, il figlio ancora
     D’Alcmena Mideatide Eroina,
     Nelle fatiche saldo, in via si pose
     Verso la ricca Giolco, e con lui dentro
     La ben contesta nave Ila discese.
     La qual non toccò già le Gianée
     Cozzanti insieme, ma fra quelle ratta
     Passando qual’aguglia, un vasto mare,
     Entrò nell’alto Fasi, e da quel tempo

[p. 140 modifica]

     Restaro immoti que’ due scogli. Or quando
     Si levano le Plejadi, e gli estremi
     Campi dan pasco a’ teneri agnelletti
     Sul fin di primavera, a quel d’Eroi
     Divino fior di navigar sovvenne,
     E ben schierati nella concav’Argo.
     Il terzo giorno allo spirar di Noto
     Entrar nell’Ellesponto, ed approdaro
     Alla Propontida, ove i buoi l’aratro
     Esercitando imprimono gran solchi
     Nel terren de’ Ciani. Ivi sul lido
     Usciti vèr la sera a torma a torma
     Allestivan la cena, e molti un letto
     Comune in terra distendean; chè un prato
     Gran comodo a far letti ivi porgea.
     Indi butomo acuto, indi segaro
     Alto cipero. Andossene Ila il biondo
     Con un vaso di rame a cercar acqua
     Da cena per recarla ad esso Alcide,
     E al prode Telamon, ch’entrambi sempre
     Ad una stessa mensa eran compagni.
     Ben tosto si fu accorto in basso piano
     D’un fonte, che gran foglie avea d’intorno,
     Azzurra celidonia, adianto verde,
     Tortuosa gramigna, appio fiorente.
     Ordìan le Ninfe in mezzo all’acqua un ballo,
     Ninfe vegghianti, e dive a’ villanelli
     Tremende, Eunica, Malide, e Nichea
     Dal bel guardo gentil di primavera.
     Stava il garzon con la capace brocca
     Già pronto in atto ad attuffarla in acqua.
     Tutte allora alla man se gli avvinchiaro,
     Chè a tutte amor del giovinetto Argivo
     Velato avea le tenerelle menti.
     A piombo ei ruinò nelle fosc’acque,
     Siccome quando una raggiante stella

[p. 141 modifica]

     Striscia dal ciel precipitando in mare,
     E de’ nocchieri alcun grida ai compagni:
     Amici, alzate i lini; è fausto il vento.
     Le Ninfe avendo il garzoncel piangente
     Su le ginocchia gli porgean conforto
     Con blande parolette. Alcide allora,
     Turbato pel garzon, l’arco ritorto
     All’uso degli Sciti, e in un la mazza,
     Ond’ei sempre la destra empiea, si tolse
     Per girne in traccia. Ila chiamò tre volte
     Quant’ei potè dalla profonda gola.
     Tre volte udì il fanciullo, e fuor dell’onde
     Gracile suono uscì. Benchè vicino,
     Parea da lungi. Or qual lion barbuto,
     Crudivoro lion, che di lontano
     La voce di cervetta ode pe’ monti,
     Al preparato pasto esce correndo
     Dal covo; tale Alcide disïoso
     Del suo garzon per inaccessi dumi
     Si raggirava, e gran paese intorno
     Prendea. Miseri amanti! Oh! quanto errando
     Per monti, e selve a soffrir ebbe, e tutte
     Pose in non cale di Giason le cure.
     Ferma si stava con le antenne alzate
     La nave, e i navalestri a mezza notte
     Le vele sventolavano aspettando
     Ercole pur, che furibundo gìa
     Dove condotto era da’ piè; chè un Nume
     Spietato sotto il cor lo lacerava.
     Così il bellissim’Ila infra la schiera
     Entrò degli Immortali. Ercole intanto
     Schernian gli Eroi qual disertor di nave,
     Perch’Argo abbandonò ben allestita
     A trenta banchi; e fino a Colco, e a Fasi
     Inospitale a piè fornì ’l viaggio.