Idilli (Teocrito - Pagnini)/XV
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LE SIRACUSANE
O LA FESTA D’ADONE
Idillio XV
Gorgo, Eunoe, Prassinoe, una Vecchia, due Uomini.
gorgo
Prassinoe è in casa?
eunoe
Gorgo cara, in casa
Sì tardi?
prassinoe
È pur gran fatto, che a quest’ora
Sii giunta. Eunoe, dàlle una seranpa, e ponvi
Sopra il cuscino.
eunoe
Bello, e fatto.
prassinoe
Siedi.
gorgo
O che intrepido spirto! A gran fatica
Campata son fin qua fra la gran turba,
E i molti cocchi. Da per tutto è gente
Guernita di calzari, e di giornèa.
La strada è impraticabile, e tu stai
Troppo lontan di casa.
prassinoe
In capo al mondo
Lo scimunito di colui s’ha tolto
Questa tana, e non casa, affinchè noi
Vicine non ci fossimo, pur sempre,
Invidiosa peste, a mio dispetto.
gorgo
Deh! non parlar così, Dione cara,
Presente il bambolin di tuo marito.
Ve’ ch’ei ti guarda.
prassinoe
Zopirin mio dolce,
Non dubitar: non parlo del tuo babbo.
gorgo
Affè della gran Diva, il putto intende.
È buono il babbo.
prassinoe
Or dianzi questo babbo
(Diciamo dianzi, che vuol dir poi sempre)
Andato per comprare alla bottega
Nitro, e belletto, mi portò del sale;
Vo’ dir quell’uom tredici braccia lungo.
gorgo
È tale appunto Dioclide mio,
Sterminio del denaro. A sette dramme
Jeri comprommi un lordo pel di cane
Strappato a zaini vecchi in cinque luffi,
Lavor sopra lavoro. Orsù ti sbriga,
Prendi il manto, e la giubba dalle fibbie,
E in corte andiam del ricco Tolomeo
A veder lo spettacolo d’Adone.
Odo, che in ordin metta la Regina
Qualche cosa di bello.
prassinoe
In casa al ricco
È tutto ricco. Or me, che nulla ho visto,
Di quel c’hai visto, e che dicevi, informa.
gorgo
È tempo d’avviarsi. È sempre festa
Per chi non ha da far.
prassinoe
Eunoe, qua porta
Il catino con l’acqua fino al mezzo.
Ponlo giù, schizzinosa. Anche le gatte
Aman soffice il letto. Acqua. Su presto,
Moviti. Prima ci bisogna l’acqua.
Ve’ come porta da lavarmi. Or via
Dà qua. Non più, indiscreta, sciagurata.
Perchè mi bagni la camicia? Ferma.
Come al Ciel piacque mi son pur lavata.
Dov’è la chiave del forzier più grande?
Portala qua.
gorgo
Ti sta pur ben indosso
Cotesta giubba colle fibbie. Quanto
Il panno ti costò fuor del telajo?
prassinoe
Non me lo stare a rammentar di grazia.
Più di due mine val d’argento fino;
E a por nel lavor ebbi il core, gli occhi.
gorgo
Se non altro a tuo senno è riuscita.
prassinoe
Quest’è poi ver. Recami il manto, e ponmi
Il cappellin con garbo. Io non ti meno,
O figliuol mio. Bau bau, caval che morde.
Piangi quanto ti par: non mette conto,
Che tu diventi zoppo. Frigia, prendi,
Trastulla il fantolin. Chiama la cagna
Dentro, e serra la porta del cortile.
O Dei! che turba immensa! E come e quando
Tanta tempesta passerem? che stormo
Infinito è mai questo di formiche!
Ben hai tu fatto, o Tolomeo, gran bene,
Da che il tuo genitor passò fra i Numi.
Non più all’Egizia foggia i malviventi
Fanno in agguato a’ viandanti oltraggio,
Qual prima a stuolo a stuol tutti rissosi,
Scaltriti nel gabbar, fean brutti scherzi.
Come faremo, o cara? Ecco del Re
I cavalli da guerra. Amico, guarda
Di non pestarmi. Il sauro in piè s’è ritto.
Ve’ com’è fiero ed accanito. Eunoe,
Non fuggi? Affè che il barbaresco accoppa.
Buon per me, che ho lasciato il putto a casa.
gorgo
Coraggio, amica. Or siam rimase addietro.
E quegli entrano in lizza.
prassinoe
Or prendo fiato.
Fin da fanciulla ho gran paura avuto
Del freddo serpe, e del cavallo. Andiamo.
Una gran turba ci s’affolla addosso.
gorgo
Madonna, da palazzo?
vecchia
Io sì, figliuole.
gorgo
Vi sarà modo di passare?
vecchia
I Greci
Provando entraro in Troia; e col provare,
Bellissima figliuola, si fa tutto.
gorgo
La Vecchia ha profetato, e se n’è ita.
Tutto le donne san, fino in che modo
Giove menò Giunon. Prassinoe, mira
Quanta folla è alla porta.
prassinoe
Immensa. Gorgo,
Dammi la mano; e tu per mano, Eunoe,
Prendi, Eutichide, e stalle ben accosto
Per non smarrirti. Entriam tutte abbracciate.
Eunoe, a noi ti serra. O me tapina!
Gorgo, il mio vel mi s’è squarciato in due.
Ah! tu, se t’ami il ciel, guarda, per Giove,
O galantuom, di non strapparmi il drappo.
un uomo
A me non sta. Pur ci avrò cura.
prassinoe
Oh quanto
Popol là s’urta a guisa di majali!
un uomo
Madonna, fatti cor; noi siamo in salvo.
prassinoe
Resta tu pur d’ora in avanti in salvo,
O caro, e a nostro pro pietoso amico.
Ah! c’è pigiata Eunoe. Che fai, meschina!
Rompi la calca. Or ben. Siam tutte dentro,
Disse que’, che serrò la posa in casa.
gorgo
Vien qua, Prassinoe. Osserva in pria que’ vaghi
Sottili arazzi. Da una man divina
Trapunti gli diresti.
prassinoe
O gran Minerva!
Quai tessitrici lavorargli, e quai
Pittor sì al vivo disegnâr figure,
Che hanno verace positura e moto!
Sonvi certo animate e non tessute.
Ben saggia cosa è l’uom. Ve’com’ei giace
(Stupenda vista!) sovr’argenteo letto,
Mettendo dalle tempie il primo pelo,
Adone amabilissimo, che amato
È fin giuso in Averno.
altr’uomo
Olà finite,
O cattivelle, il garrir vostro immenso;
Che tortole stridenti a bocca larga.
gorgo
Quell’uomo, donde se’ tu? se noi garriamo,
Che importa a te? Comanda alle tue serve.
Noi siam Siracusane, e perchè il sappi,
Native di Corinto, com’ er’anco
Bellerofonte. Noi parliam la lingua,
Che fa il nostro paese. A niun, cred’io,
Disdetto è favellar del suo linguaggio.
prassinoe
Con noi il padron non faccia altro che un solo,
Proserpina dolcissima. Non temo,
Che tu m’abbia a scemare il mio salario.
gorgo
Zitto, Prassinoe. È per cantare Adone
La figliuola d’Argea, la saggia, a cui
Tanto onor feo di Sperchi il mesto canto.
Canterà ben; son certa. E già alle mosse.
Alma Reina, che l’Idalio e Golgo
Ed Erice sublime ami, o fra l’oro
Festeggiante Ciprigna, e qual mai l’Ore
Coi molli piè ti rimenaro Adone
Dal perenne Acheronte, il dodicesmo
Mese, le amabil’Ore, e le più lente
Fra tutti i Numi, ma che ognor bramate
Recan nuovi diletti a noi mortali?
0 Dionea, tu di mortal già festi
Immortal, com’è fama, Berenice,
Stillando ambrosia a lei nel petto, e Arsinoe
Di Berenice figlia a Eléna pari
Per render grazie a te ricca di nomi,
E templi, d’alti fregi Adon corona.
A lui dinanzi stan quanti le piante
Mettono in cima stagionati frutti,
Stanno orticelli teneri guardati
In canestrin d’argento, e vasi d’oro
Pieni d’unguento Assiro, e quanti sanno
Le donne lavorar pasticci in madia,
Fior di tutte le sorte mescolando
Con candida farina, e quanto fassi
Di liquid’olio e saporito mele.
Stanvi i rettili tutti ed i volanti,
E verdi padiglion di molle aneto
Carchi sovra gli pendono, e su quelli
Vanno aleggiando i pargoletti Amori,
Come gli usignoletti su per gli arbori
Volan facendo di lor ali prova
Di ramo in ramo. O che ebano! o che oro!
O quali aguglie ancor di bianco avorio,
Recanti il garzoncel coppiero a Giove!
In alto stan purpurei tappeti;
Più morbidi del sonno gli direbbe
Tutto Mileto, o un abitante in Samo.
Disteso al vago Adone è un altro letto;
Tien l’una sponda Citerea, e l’altra
Quel dalle rosee braccia Adon suo sposo
Di diciott’anni o diciannove. Il bacio
Non pugne ancor su le sue bionde labbra
Or col suo sposo in festa ella rimanga,
E noi doman con la rugiada in terra
Il recheremo a procession sul mare,
Che il lido spruzza; e scarmigliate il crine,
Col seno discoperto, e con la gonņa
Fino al tallone intonerem quest’inno.
Ben tu, diletto Adon (siccome è fama),
Solissimo fra tutti i Semidei,
E qua tragitto, e in Acheronte fai;
No, tal ventura Agamennon non ebbe,
Nè il grand’Ajace furibondo Eroe,
Nè tra i venti d’Ecùba il maggior figlio
Ettore, nè il buon Patroclo, nè Pirro,
Che da Troja campò, nè quegli antichi
Lapiti e Deucalion, nè i Pelopìdi,
Nè i Pelasgi fior d’Argo. Or sii propizio,
Diletto Adone, e con la gioja in volto
Riedi al nuov’anno. Or qua venato sei,
Caro, e qua sempre caro, Adon, verrai.
gorgo
O che senno mirabile! O beata
Donna, che gran sapere! O sii pur sempre
Fra tutte fortunata. O cari accenti!
Ma tempo è d’avviarsi. Il mio marito
Non ha pranzato ancora. Oltre ogni segno
È dispettoso. Non andargli incontro,
Quand’egli ha fame. Addio, diletto Adone.
Fra que’, che sono allegri, allegro torna.