XV

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Teocrito - Idilli (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Luca Antonio Pagnini
XV
XIV XVI

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LE SIRACUSANE

O LA FESTA D’ADONE

Idillio XV

Gorgo, Eunoe, Prassinoe, una Vecchia, due Uomini.

gorgo
Prassinoe è in casa?
eunoe
                                                  Gorgo cara, in casa
Sì tardi?
prassinoe
                    È pur gran fatto, che a quest’ora
Sii giunta. Eunoe, dàlle una seranpa, e ponvi
Sopra il cuscino.
eunoe
                              Bello, e fatto.

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prassinoe
                                                            Siedi.
gorgo
O che intrepido spirto! A gran fatica
     Campata son fin qua fra la gran turba,
     E i molti cocchi. Da per tutto è gente
     Guernita di calzari, e di giornèa.
     La strada è impraticabile, e tu stai
     Troppo lontan di casa.
prassinoe
                                             In capo al mondo
     Lo scimunito di colui s’ha tolto
     Questa tana, e non casa, affinchè noi
     Vicine non ci fossimo, pur sempre,
     Invidiosa peste, a mio dispetto.
gorgo
Deh! non parlar così, Dione cara,
     Presente il bambolin di tuo marito.
     Ve’ ch’ei ti guarda.
prassinoe
                              Zopirin mio dolce,
     Non dubitar: non parlo del tuo babbo.
gorgo
Affè della gran Diva, il putto intende.
     È buono il babbo.
prassinoe
                         Or dianzi questo babbo
     (Diciamo dianzi, che vuol dir poi sempre)
     Andato per comprare alla bottega
     Nitro, e belletto, mi portò del sale;
     Vo’ dir quell’uom tredici braccia lungo.
gorgo
È tale appunto Dioclide mio,
     Sterminio del denaro. A sette dramme
     Jeri comprommi un lordo pel di cane

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     Strappato a zaini vecchi in cinque luffi,
     Lavor sopra lavoro. Orsù ti sbriga,
     Prendi il manto, e la giubba dalle fibbie,
     E in corte andiam del ricco Tolomeo
     A veder lo spettacolo d’Adone.
     Odo, che in ordin metta la Regina
     Qualche cosa di bello.
prassinoe
                                        In casa al ricco
     È tutto ricco. Or me, che nulla ho visto,
     Di quel c’hai visto, e che dicevi, informa.
gorgo
È tempo d’avviarsi. È sempre festa
     Per chi non ha da far.
prassinoe
                                        Eunoe, qua porta
     Il catino con l’acqua fino al mezzo.
     Ponlo giù, schizzinosa. Anche le gatte
     Aman soffice il letto. Acqua. Su presto,
     Moviti. Prima ci bisogna l’acqua.
     Ve’ come porta da lavarmi. Or via
     Dà qua. Non più, indiscreta, sciagurata.
     Perchè mi bagni la camicia? Ferma.
     Come al Ciel piacque mi son pur lavata.
     Dov’è la chiave del forzier più grande?
     Portala qua.
gorgo
                    Ti sta pur ben indosso
     Cotesta giubba colle fibbie. Quanto
     Il panno ti costò fuor del telajo?
prassinoe
Non me lo stare a rammentar di grazia.
     Più di due mine val d’argento fino;
     E a por nel lavor ebbi il core, gli occhi.
gorgo
Se non altro a tuo senno è riuscita.

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prassinoe
Quest’è poi ver. Recami il manto, e ponmi
     Il cappellin con garbo. Io non ti meno,
     O figliuol mio. Bau bau, caval che morde.
     Piangi quanto ti par: non mette conto,
     Che tu diventi zoppo. Frigia, prendi,
     Trastulla il fantolin. Chiama la cagna
     Dentro, e serra la porta del cortile.
     O Dei! che turba immensa! E come e quando
     Tanta tempesta passerem? che stormo
     Infinito è mai questo di formiche!
     Ben hai tu fatto, o Tolomeo, gran bene,
     Da che il tuo genitor passò fra i Numi.
     Non più all’Egizia foggia i malviventi
     Fanno in agguato a’ viandanti oltraggio,
     Qual prima a stuolo a stuol tutti rissosi,
     Scaltriti nel gabbar, fean brutti scherzi.
     Come faremo, o cara? Ecco del Re
     I cavalli da guerra. Amico, guarda
     Di non pestarmi. Il sauro in piè s’è ritto.
     Ve’ com’è fiero ed accanito. Eunoe,
     Non fuggi? Affè che il barbaresco accoppa.
     Buon per me, che ho lasciato il putto a casa.
gorgo
Coraggio, amica. Or siam rimase addietro.
     E quegli entrano in lizza.
prassinoe
                                             Or prendo fiato.
     Fin da fanciulla ho gran paura avuto
     Del freddo serpe, e del cavallo. Andiamo.
     Una gran turba ci s’affolla addosso.
gorgo
Madonna, da palazzo?
vecchia
                                   Io sì, figliuole.

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gorgo
Vi sarà modo di passare?
vecchia
                                        I Greci
     Provando entraro in Troia; e col provare,
     Bellissima figliuola, si fa tutto.
gorgo
La Vecchia ha profetato, e se n’è ita.
     Tutto le donne san, fino in che modo
     Giove menò Giunon. Prassinoe, mira
     Quanta folla è alla porta.
prassinoe
                                             Immensa. Gorgo,
     Dammi la mano; e tu per mano, Eunoe,
     Prendi, Eutichide, e stalle ben accosto
     Per non smarrirti. Entriam tutte abbracciate.
     Eunoe, a noi ti serra. O me tapina!
     Gorgo, il mio vel mi s’è squarciato in due.
     Ah! tu, se t’ami il ciel, guarda, per Giove,
     O galantuom, di non strapparmi il drappo.
un uomo
A me non sta. Pur ci avrò cura.
prassinoe
                                                       Oh quanto
     Popol là s’urta a guisa di majali!
un uomo
Madonna, fatti cor; noi siamo in salvo.
prassinoe
Resta tu pur d’ora in avanti in salvo,
     O caro, e a nostro pro pietoso amico.
     Ah! c’è pigiata Eunoe. Che fai, meschina!
     Rompi la calca. Or ben. Siam tutte dentro,
     Disse que’, che serrò la posa in casa.
gorgo
Vien qua, Prassinoe. Osserva in pria que’ vaghi

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     Sottili arazzi. Da una man divina
     Trapunti gli diresti.
prassinoe
                                   O gran Minerva!
     Quai tessitrici lavorargli, e quai
     Pittor sì al vivo disegnâr figure,
     Che hanno verace positura e moto!
     Sonvi certo animate e non tessute.
     Ben saggia cosa è l’uom. Ve’com’ei giace
     (Stupenda vista!) sovr’argenteo letto,
     Mettendo dalle tempie il primo pelo,
     Adone amabilissimo, che amato
     È fin giuso in Averno.
altr’uomo
                                        Olà finite,
     O cattivelle, il garrir vostro immenso;
     Che tortole stridenti a bocca larga.
gorgo
Quell’uomo, donde se’ tu? se noi garriamo,
     Che importa a te? Comanda alle tue serve.
     Noi siam Siracusane, e perchè il sappi,
     Native di Corinto, com’ er’anco
     Bellerofonte. Noi parliam la lingua,
     Che fa il nostro paese. A niun, cred’io,
     Disdetto è favellar del suo linguaggio.
prassinoe
Con noi il padron non faccia altro che un solo,
     Proserpina dolcissima. Non temo,
     Che tu m’abbia a scemare il mio salario.
gorgo
Zitto, Prassinoe. È per cantare Adone
     La figliuola d’Argea, la saggia, a cui
     Tanto onor feo di Sperchi il mesto canto.
     Canterà ben; son certa. E già alle mosse.
Alma Reina, che l’Idalio e Golgo
     Ed Erice sublime ami, o fra l’oro

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     Festeggiante Ciprigna, e qual mai l’Ore
     Coi molli piè ti rimenaro Adone
     Dal perenne Acheronte, il dodicesmo
     Mese, le amabil’Ore, e le più lente
     Fra tutti i Numi, ma che ognor bramate
     Recan nuovi diletti a noi mortali?
     0 Dionea, tu di mortal già festi
     Immortal, com’è fama, Berenice,
     Stillando ambrosia a lei nel petto, e Arsinoe
     Di Berenice figlia a Eléna pari
     Per render grazie a te ricca di nomi,
     E templi, d’alti fregi Adon corona.
     A lui dinanzi stan quanti le piante
     Mettono in cima stagionati frutti,
     Stanno orticelli teneri guardati
     In canestrin d’argento, e vasi d’oro
     Pieni d’unguento Assiro, e quanti sanno
     Le donne lavorar pasticci in madia,
     Fior di tutte le sorte mescolando
     Con candida farina, e quanto fassi
     Di liquid’olio e saporito mele.
     Stanvi i rettili tutti ed i volanti,
     E verdi padiglion di molle aneto
     Carchi sovra gli pendono, e su quelli
     Vanno aleggiando i pargoletti Amori,
     Come gli usignoletti su per gli arbori
     Volan facendo di lor ali prova
     Di ramo in ramo. O che ebano! o che oro!
     O quali aguglie ancor di bianco avorio,
     Recanti il garzoncel coppiero a Giove!
     In alto stan purpurei tappeti;
     Più morbidi del sonno gli direbbe
     Tutto Mileto, o un abitante in Samo.
     Disteso al vago Adone è un altro letto;
     Tien l’una sponda Citerea, e l’altra
     Quel dalle rosee braccia Adon suo sposo

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     Di diciott’anni o diciannove. Il bacio
     Non pugne ancor su le sue bionde labbra
     Or col suo sposo in festa ella rimanga,
     E noi doman con la rugiada in terra
     Il recheremo a procession sul mare,
     Che il lido spruzza; e scarmigliate il crine,
     Col seno discoperto, e con la gonņa
     Fino al tallone intonerem quest’inno.
Ben tu, diletto Adon (siccome è fama),
     Solissimo fra tutti i Semidei,
     E qua tragitto, e in Acheronte fai;
     No, tal ventura Agamennon non ebbe,
     Nè il grand’Ajace furibondo Eroe,
     Nè tra i venti d’Ecùba il maggior figlio
     Ettore, nè il buon Patroclo, nè Pirro,
     Che da Troja campò, nè quegli antichi
     Lapiti e Deucalion, nè i Pelopìdi,
     Nè i Pelasgi fior d’Argo. Or sii propizio,
     Diletto Adone, e con la gioja in volto
     Riedi al nuov’anno. Or qua venato sei,
     Caro, e qua sempre caro, Adon, verrai.
gorgo
O che senno mirabile! O beata
     Donna, che gran sapere! O sii pur sempre
     Fra tutte fortunata. O cari accenti!
     Ma tempo è d’avviarsi. Il mio marito
     Non ha pranzato ancora. Oltre ogni segno
     È dispettoso. Non andargli incontro,
     Quand’egli ha fame. Addio, diletto Adone.
     Fra que’, che sono allegri, allegro torna.