I suicidi di Parigi/Episodio terzo/II

Episodio terzo - II. Un mandato come... non se ne da sovente

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II.

Un mandato come... non se ne dà sovente.

Il marchese delle Antilles era arrivato nella capitale del re Claudio III, portatore di un dispaccio del ministro degli affari esteri, che lo accreditava qual negoziatore di un trattato di commercio, poi di una lettera del suo padrone pel re.

Questa lettera, quando S. M. Claudio III riescì a decifrarla, lo turbò considerevolmente.

Da prima, essa era di una scrittura che avrebbe dato l’itterizia al più intrepido paleografo. In seguito, essa era lunghissima. Infine le cose che conteneva sembravano singolarmente sorprendenti. [p. 193 modifica]

Sua Maestà credette di aver mal compreso e fece chiamare il principe di Celle, suo ministro degli esteri, a cui la comunicò, non senza qualche esitare — quantunque il principe fosse un vecchio e fedel servitore della sua casa.

La conferenza tra il re ed il ministro durò parecchie ore, ma nulla ne traspirò.

La sera, S. M. fece venire nel suo gabinetto sua figlia — la principessa Bianca.

Il dì seguente, il principe di Celle chiamò nel suo il duca di Balbek suo nipote.

Claudio III era un uomo precocemente caduco.

Sempre malescio, sempre uggioso, sempre bisbetico, sorrideva di raro, benchè avesse il sorriso grazioso. Parlava pochissimo. Molto crudele, perchè divoto — divoto, perchè crudele.

Claudio III simulava e dissimulava come un lacchè — tanto e’ temeva di cessare di esser padrone!

Sua Maestà amava molto i suoi figli — quantunque e’ si avesse tutte le ragioni per dubitare della sua paternità assoluta.

Aveva sempre paura: di sua madre — che aveva provato di avvelenarlo; di suo fratello — che aveva voluto cacciarlo dal trono; del suo popolo — che covava una rivoluzione; di sua moglie — di cui contrariava le inclinazioni; di suo cugino — che ruminava cercargli briga; dei cospiratori — che tramavano contro la sua vita; della malattia — che lo teneva sempre sotto la sua punta. La sua gioia, adunque, era in far dei meschini.

Aveva nondimeno il sembiante dolce, la parola lusinghiera, le maniere graziosamente squisite, un tantin di spirito, ed era mastro nell’arte del tornire in legno1.

— Figlia mia — disse egli alla principessa Bianca la sera, quando la gli ebbe baciato la mano — ò dovuto contrariarti in questi ultimi giorni nel tuo divertimento favorito, perchè tu avevi cagionato dei malanni. I miei imbecilli sudditi capirebbero, senza fiatare, che venti mila di loro perissero in una battaglia. Essi non saprebbero persuadersi che una principessa possa, per sbaglio, uccidere [p. 194 modifica]un bracchiere per un cinghiale. Nondimeno, il tuo medico mi à detto stamane che la tua salute esigeva questi esercizi violenti e che il riposo t’impallidiva. Ti accordo dunque di nuovo il permesso di correre i boschi. Solamente, ti azzecco ai fianchi un cavaliere di compagnia, il quale temperi la tua foga.

— Grazie, babbo — rispose la principessa baciando questa volta suo padre sulla fronte. Se codesto cavaliere cui mi cucite alla gonna è un vecchierello, io lo stancherò, lo sfiaterò... lo farò crepare in tre giorni.

— So pur troppo che tu sei una brigantessa — rispose il re. E prevedendo precisamente codesto, io ti ò destinato un Mentore di venticinque anni: il duca di Balbek.

— Alla buon’ora! Lo farò sventrare allora da un cinghiale — sclamò, ridendo, la principessa.

— Sono contento vederti gaia, cara fanciulla — riprese il re. Abbiamo così poco tempo a restare insieme!

— Che dite voi, sire?

— Io mi sento più malato che mai. D’altronde, figlia mia, tu sei in una età da marito, e da un giorno all’altro...

— Io non sono mica impaziente, babbo...

— Sì: ma altri potrebbe ben esserlo. Per bacco! quando si è vedovi, e si àn cinquant’anni e non successione assicurata, si capisce la premura e le precauzioni...

— Voi dite, babbo, cinquant’anni?

— Sì, è una supposizione. Infine, bisogna esser preparati a tutto. Quando si vuole un successore ad ogni costo, è mestieri mettersi in misura: e quando lo si è, dire: io son pronta! In questo caso, non si va a badare se tu abbia o no fretta. È la cosa stessa che urge e indica la precipitazione. Buona sera, Diana cacciatrice. Non essere schifiltosa come la tua santa protettrice. La pruderie era buona per i pagani e per le dee... non per le regine che debbono arrivare al trono con una successione bella ed assicurata... assicurata ad ogni costo! Buona sera.


Se vi è qualcuno che abbia più spirito di Voltaire e di tout le monde, gli è sicuramente una figlietta a maritare — fosse ella pure una principessa. Bianca comprese il latino di suo padre — latino, del resto, che non aveva mica bisogno di dizionario. [p. 195 modifica]

Altra fu la conversazione del principe di Celle con suo nipote, il duca di Balbek.

— Riceverai — disse il principe — oggi stesso forse, il brevetto che ti nomina cavaliere di compagnia della principessa Bianca. Sei tu fortunato! gaglioffo!

— Proprio! — sclamò il duca di Balbek. Solamente, io vorrei che si definissero le mie funzioni presso di quella principessa. Perocchè, in realtà, io non ne vedo mica altra che quella di avere un grifo di cinghiale piantato nel ventre, o di vedere le budella di lei appese ai rami di un cervo.

— Avresti tu preferito che ti destinassero ad allacciare il suo busto, od a porgerle l’asciugatoio all’uscita del bagno?

— Io non vedo nulla di disonorevole in codeste funzioni. E se desse fan parte del mio ufficio, io mi vi rassegno senza mormorare.

— Ebbene, no, signor mio monello — replicò il ministro. Tu devi accompagnar Sua Altezza nelle escursioni ch’ella predilige, preservarla dai pericoli, e farle trovare la natura incantevole.

— Ecco ciò che è impossibile. Io, io non amo la natura. Io preferisco una lucerna che fumiga ad uno spuntare di aurora. Io comprendo una cisterna, perfino un cetriuolo, ma non comprendo un paesaggio.

— La comprensione ti verrà. La difficoltà della tua parte è tutta nel cominciare. Sarà d’uopo di un tatto squisito, cui tu non ài. Imperciocchè, non è già nelle guardie del corpo che s’imparano le delicatezze ed i pigolii degli innamorati da boudoir.

— Ma, fate attenzione, zio, voi confondete i generi. Sotto un nome pulito, io non sono in realtà che un bracchiere, il quale riceverà i colpi, i bufoli, i cinghiali, i contadini — che si avvicineranno senza etichetta a S. A.; la rialzerà se cade di cavallo; le indicherà la strada ed i viali nelle foreste; prenderà a suo conto tutti gli sbagli, tutte le disgrazie della caccia — incluse le archibugiate che si smarriscono ed uccidono un villano per un lepre.

— Esattamente. L’è codesta la parte brutta delle tue funzioni. Ora, e’ non incombe che a te, se ài spirito, di rilevarla, e di ciò che è un mestiere di domestico fare la delizia di un cavaliere elegante. [p. 196 modifica]

— Ma voi obliate, dunque, che io ò per le mani un’Altezza, una figlia di re, una principessa del sangue.

— Tu puoi anche aggiungere la fidanzata di un re. Ma, silenzio! Questo l’è un segreto di Stato cui ti rivelo, conosciuto adesso unicamente da S. M. e da me.

— Eccomi allora più domestico che giammai!

— Comincio ad accorgermi che ebbi torto di indicarti per codesto posto superbo, perchè tu sei un vigliacco o un imbecille.

— Ed io comincio a comprendere che voi non dite tutto ciò che pensate, e che gironzate attorno a qualcosa.

— Io non gironzo, ma cammino dritto. La principessa Bianca è bellissima. Non vi è dunque nulla da stupire che la si dimandi in matrimonio, e che perfino dei pretendenti slombati ed affranti si mettano su i ranghi. Un cavaliere di compagnia che avesse dello spirito potrebbe, in una situazione simile, far molta via. Gli è un gironzare questo?

— L’è peggio che un gironzare: l’è un affondarsi. Ed innanzi tutto, mi parlate voi da zio, in questo momento, o da ministro di S. M. Claudio III?

— Come tu voi. Ma ponghiamo che io ti parli da ministro, non fosse che per obbligarti al secreto: che conclusione ne cavi tu?

— Allora, io prego Vostra Eccellenza di farmi l’onore di darmi delle istruzioni precise; perocchè, che io capisca o no, sono deciso a non capir così subito.

— Meglio vale allora che io faccia rivocare il decreto, e che lo intitoli a qualcuno che abbia intelletto più svelto.

— Prego V. E. di riflettere ch’e’ non trattasi qui di una quistione d’intelletto, ma di una consegna. Se io mi determino ad operare per mio proprio conto, vedrò cosa avrò a fare. Se debbo funzionare per conto altrui, ò il diritto, mi penso, che mi si spieghino gli ordini.

— Ai tempi miei, i giovani non facevan mica tante moine par piacere alle belle giovinette. Ed ò anche visto, quando ero in Russia, dei belli e forti garzoni mettersi a subbisso per acchiappare un sorriso della vecchia Tzarina. È vero che noi eravamo allevati allora dai gesuiti, e che oggi sono dei pedanti che vi abbrutiscono in [p. 197 modifica]ciò che addimandasi un liceo, un collegio, un’accademia, un’università. Ai miei tempi l’era naturalissimo che un marito di cinquant’anni, che si permetteva una moglie di vent’anni, si desse altresì un coadiutore per la confezione della famiglia. Il posto di cicisbeo, e perfino di abbatino, era allora pesante, ma onorevole ed ambito — ed un padre si sarebbe creduto disonorato se avesse appreso che il suo figliuolo era proprio di lui.

— Ahimè! Eccellenza, l’è una disgrazia. Ma, ai giorni nostri, non si fanno in collaborazione che i vaudevilles per il teatro. I figliuoli in accomandita ed in Compagnia Anonima esistono tuttavia, ma non sono riconosciuti dal Codice Civile — e monna polizia si mischia di quella gentilezza che chiamasi un adulterio.

— Vattene allora, e sii un semplice bracchiere.

— Io non dico codesto. Io desidero solamente che si specifichino le mie attribuzioni, onde non fuorviare. Si può esser colpevoli. Non è permesso di essere stolido o ridicolo, se si sbaglia.

— Tu sei di una probità miracolosa! Vado a farti nominare direttore della Banca. Ma ammettiamo, per ipotesi — per scandagliare i gradi della tua modestia e della tua virtù — che ti si dica: Vi è un marito che vuole un successore ad ogni costo, e che non è sicuro di sè: vuoi tu associarti all’opera sua? Che risponderesti tu a questa proposta filantropica?

— Eccomi qui. Ma ad una condizione, anzi a due.

— Va là!... la donna è bella e giovane...

— Monta poco, fosse ella altresì regina o qualcosa di simile. Se non si trattasse che di una borghese... Ma con dei re? cattera! Essi ànno sempre in tasca una corda per impiccare, ed in bocca una menzogna per sconfessare ciò che non gradiscono.

— Che professore di logica! Gli è vero che non vi è nulla di così concludente che la paura. Vediamo dunque codeste condizioni.

— Da prima, vorrei che V. Eccellenza mi desse la commissione con una lettera ministeriale in buona regola...

Il ministro si lasciò andare ad un grande scoppio d’ilarità, e non rispose. Il duca soggiunse:

— In seguito, che mi si nomini ad un’ambasciata, a [p. 198 modifica]Vienna, a Madrid, a Parigi, non importa dove, ma che io possa tenermi lontano dagli Stati del re clemente ed adorato, Claudio III.

— E poi ancora?

— Ecco tutto. Ed io prometto di fare le cose a dovere.

— Veramente, io sono sbalordito di tanta stolidezza ed oltracotanza! Ma tu vivi dunque nel regno della luna, eh!

— Se ciò fosse, non avrei dimandato nulla di nulla, ed avrei regalato, senza farmeli dimandare, dei figliuoli ed anche dei nipoti a chiunque avesse una bella moglie. Ma noi siamo nel regno di S. M. Claudio III — subillo ciò all’orecchio di mio zio — negli Stati di un re, dove il tradimento è una massima di governo; ove l’arbitrio, la ferocia, la bugia, la dissimulazione, la perfidia, sono degli strumenti di regno. Dimani, che per una ragione qualunque la cosa fallisca; che non se n’abbia più d’uopo; che si sappia; che dispiaccia; che riesca altrimenti da ciò che si aspetta... ed eccomi lì compromesso ed afforcato. Non si risparmiano gli uomini cui si caricano di tali secreti e di tali funzioni. Ebbene, io voglio tenermi al coperto di codesti colpi di soppiatto. Io voglio, innanzi tutto, essere lontano di qui; provare, in seguito, se mi si accusa di fellonia, che io obbedii agli ordini che avevo ricevuti. Io separo in ciò la parte dell’uomo da quella del funzionario. Io compirò la prima parte per modo che non vi sieno reclami; eseguirò la seconda nel senso preciso delle istruzioni.

— Ài tu finito, leguleio, casista? Tu non comprendi mica dunque che guazzi nell’assurdo?

— Niente affatto. Vostra Eccellenza non dà ella dunque delle istruzioni minute ai suoi agenti diplomatici? Il viaggiatore che vuole abbordare nei paesi a governo sospettoso non si munisce egli forse di un passaporto? Il mio passaporto è l’ambasciata. Io sono un agente diplomatico di una categoria non peranco classificata, ma le cui funzioni sono delle più delicate. Mi date voi, sì o no, una missione? Se me la date, esigo il mandato. Io non sono mica di coloro cui un ministro o un re si propone sconfessare o spezzare, se la missione volge male. Voi rifiutate la lettera ministeriale? dunque voi meditate un tradimento. [p. 199 modifica]

— Tu vuoi dei documenti? dunque tu vuoi trafficarne. Non vedi tu, idiota, che una scritta simile nelle tue mani sarebbe una sentenza di morte contro di te? Non è, no, per fartene un parafulmine che tu cerchi codesto. Chi andrà a dimandarti conto di ciò che avvenne nel fondo di un folto macchione, o nelle serate di un boudoir, se non si desidera di meglio che ciò abbia luogo ed il più presto possibile? Chi t’impedisce di ritirarti, se incontri ostacoli? Chi t’impedisce di pigliar delle precauzioni prima d’impegnarti? Il pericolo sarebbe desso nel successo? Ma, non ti si dà una missione simile per mancarla. Lo scritto che tu dimandi non è dunque per la tua sicurezza.

— Lo è per l’appunto.

— No. Esso sarebbe invece un giorno una tentazione forse per la tua cupidità, per un cattivo pensiero qualunque. Tu non rifletti dunque che si vorrebbe forse un giorno spacciarsi di un uomo che possiede di tali secreti, di tali documenti? Tu avresti una pistola carica e sempre armata, la bocca volta al tuo cuore. Tu saresti sempre in pericolo di morte, o in misura di commettere un’infamia, un tradimento, cui si vorrebbe impedire.

— Io so bene che avrei in poter mio una macchina infernale la quale potrebbe annientarmi ad ogni istante. Però io mi piaccio a lottare contro il pericolo ed a dimesticare il serpente a sonaglio ed il tigre. Io avrei ogni interesse a non mai mercanteggiare di quel documento. Chi potrebbe pagarlo? Contro chi ne trafficherei io? Contro mio figlio, che sarebbe sur un trono? Ma bisognerebbe essere idiota. Io voglio un attestato della mia partecipazione a questa grande opera, non per farmene una spada, ma un origliere. Voglio poter dire: sono padre! Non sarei giammai tanto assurdo per dire: ecco lì un bastardo! mi comprendete voi, Eccellenza?

— Io comprendo che tu sei un indegno furfante, che ti trovi in gambe nel bene o nel male. Ma ti sembra desso possibile che io mi indirizzi al re per domandargli l’autorizzazione di una simile lettera ministeriale? Un’ambasciata, dopo dei servizi di questo genere, resi a due sovrani, si concepisce, si scusa. Si perdona la tracotanza della tua dimanda. Si promette. Si accorda. Posso anzi prendere questo impegno, perchè il posto di Parigi va a [p. 200 modifica]vacare quanto prima. Ma le istruzioni scritte?... Tu sei pazzo, tre volte pazzo, goffo, tre volte goffo.

— Non è mestieri, zio, che dimandiate al re l’autorizzazione di darmi le mie istruzioni per iscritto. Ciò entra nelle attribuzioni del ministro. Altri si contenterebbero di averle verbali. Altri, semplicemente indicate nell’ombra dei sotto-intesi, come voi fate al presente. Altri vi afferrerebbero a mezza parola e si lancerebbero all’avventura testa giù, a loro rischio e periglio. Io, io sono leale: voglio che il mio ufficio mi sia formulato in iscritto. Il re vi ci à di già autorizzato, significandovi l’intento ed accettando l’uomo. I dettagli sono l’opera del ministro, come qualunque altro semplice regolamento. Riflettetevi. Io accetto il mandato. Poi, al momento in cui io sarò pronto per metterlo in atto, verrò a reclamarlo, secondo la formula che vi presenterò. Non temete nulla. Ma mettetemi al sicuro. Noi siamo tutti complici. Noi abbiamo dunque lo stesso diritto alla sicurezza e lo stesso dovere del silenzio. Perchè reclamate voi la parte del lione e la facoltà esclusiva di potermi un giorno tradire ed impiccare?

— Va, balordo, gli è di già troppo di chiacchiere per una semplice ipotesi — cui ò proposta per scandagliare il tuo carattere ed il tuo spirito.

— Zio, dite a Sua Eccellenza che la ringrazio; che le farò onore; che sarò fedele e cavaliere; che il documento cui esigo non sarà giammai una lettera di cambio, ma forse, un giorno, una semplice credenziale; e ch’ella può lasciarmela con confidenza. I duchi di Balbek non tradirono mai: voi lo sapete.

— Tu vuoi dunque collocarti a piacere nella gola del lione? Si subisce il pericolo. Ma non se ne fa la sua aria respirabile, il suo pane quotidiano. Va, rifletti a tua volta ed abbi la fortuna di riescire. Dimentica il funzionario e sii il duca di Balbek. Una tanta bellezza! venti anni?... Io andrei a farle la corte nel cratere del Vesuvio.


Due giorni dopo, il barone di Luci portava a re Taddeo IX la risposta autografa di suo cugino, re Claudio III.

E l’hallali risuonava nelle foreste!

L’hallali!

Note

  1. Si direbbe, a questo ritratto, che si tratti di Francesco I di Napoli.

    (N. dell’Editore)