I rossi e i neri/Secondo volume/XXI
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XXI.
Dove si vede come si possa avere un amico, senza sapere il suo nome
La conversazione moriva di languore. Posto tra lo sconosciuto che non poteva, e il Giuliani che non voleva dir nulla, Lorenzo deliberò di farla finita.
- Torniamo a casa; - diss’egli; - Voi sarete partito da Genova senza far colazione, e la corsa vi avrà svegliato l’appetito.
- Parlate pure liberamente; - soggiunse il Giuliani, copiando una frase dell’amico; - dite la fame; che questo è il vocabolo ad hoc. Quelle erano parole da metter fine ad ogni chiacchiera, se pure tra quei tre ci fosse stata voglia di farne. Però Lorenzo, aiutato dal vecchio, si alzò da sedere, e il Giuliani vide allora come fosse ridotto allo stremo. Del povero Salvani non c’era altro che l’ossa e la pelle.
Una tristezza infinita gli entrò nel cuore a quella vista, e si avanzò per offrirgli il braccio; ma quell’altro era stato più pronto di lui, e Lorenzo aveva accettato l’appoggio con un sorriso di gratitudine. Però il Giuliani rimase indietro, a chiuder la marcia.
Si barattarono poche parole in quella discesa, perchè la stradicciuola era sparsa di sassi e bisognava guardarsi a’ piedi. Lorenzo come un convalescente che sperimenta le sue forze, badava alla strada; lo sconosciuto, tutto sollecitudine per Lorenzo, lo sorreggeva ne’ passi più malagevoli, che non incespicasse, e lo esortava amorevolmente a non volersi affrettare; il Giuliani, che era sciolto d’ogni cura materiale, e poteva lasciare alle sue gambe l’ufficio di portarlo, badava allo sconosciuto, e si stupiva di udirlo a chiamare Lorenzo col nome di figlio, quando gli volgeva il discorso.
- Che novità è questa, da quindici giorni che non sono venuto alla Montalda? O donde è sbucato, questo signor padre? Che ogni dì nascano funghi, lo dice anche il proverbio; ma, padri, in verità, non lo ha mai detto nessuno. -
Così andava il Giuliani ragionando tra sè. E non credano i lettori che lo facesse pensare a quel modo un pochino di quella gelosia che tutti sentiamo al veder gente nuova farsi troppo dimestica coi nostri amici più cari. Gli amici del Giuliani, i prediletti, erano il Contini, il capitan Dodero e gli altri colleghi Templarii. Egli poi, come tutti i gran lavoratori, sentiva bensì forti simpatie, ma non aveva alcuna di quelle strette amicizie che fanno andare due uomini l’uno all’altro indissolubilmente legati, come due galeotti (scusate il paragone) dalla stessa catena. Il tempo e l’agio a far ciò, gli erano sempre mancati; non già le anime che fossero degne della sua, i caratteri che si confacessero al suo. Amava Lorenzo, perchè Lorenzo aveva bisogno di lui; ma più ancora che l’uomo, amava la lotta che per esso doveva sostenere.
Le varie vicende della vita pubblica lo avevano condotto a non vedere negli uomini se non altrettante incarnazioni di principii; però difendendo il tale, e combattendo il tal altro, non sempre amava e non sempre odiava gli uomini che era tratto a difendere o a combattere. E quante volte non gli occorse di dover chiudere le sue simpatie nel profondo del cuore! Quante volte, in cambio di odiare il nemico, non si fermò egli nel bel mezzo della mischia, per lodare un bel colpo che gli rompeva un pezzo dell’armatura! Con quanti non s’avvenne a correre una lancia, che gli erano cari, più cari di taluno de’ suoi! E allora il Giuliani avrebbe fatto volentieri come Glauco e Diomede, nel più fitto della pugna tra Greci e Troiani; avrebbe barattato le armi col suo avversario, e giurato di non alzare più il braccio contro di lui.
Bei voti, buoni pei tempi eroici! Chi così fa di presente, ha nota di fiacchezza imperdonabile tra’ suoi. Ed anco allora, chi sa, forse i Greci non la perdonarono a Diomede, se non perchè guadagnava nel cambio; poichè le armi del Greco erano di rame, e quelle del Troiano erano d’oro. Basta, torniamo al Giuliani, al Giuliani che combatteva, e da buon capitano vigilava sul suo campo, nè poteva patire l’intrusione di gente straniera, che poteva esser nemica, innanzi che egli l’avesse conosciuta, e passata, stiamo per dire, allo staccio.
I nostri tre viaggiatori giunsero finalmente a un punto della costiera, ove la stradicciuola si partiva in due, l’una che seguitava al basso, l’altra che saliva dolcemente verso il poggio coltivato, su cui torreggiava il palazzotto.
- Ecco la Montalda! - disse Lorenzo, fermandosi. - Un edifizio austero, ma bello.
- Austero fin troppo! - notò il Giuliani, rattenendo il passo egli pure, e alzando gli occhi a quella volta.
- È il più bel luogo che io mi conosca! - sentenziò lo sconosciuto, con un accento malinconico che contraddiceva alla lode.
- Non vorrete venire una volta a vederlo? - chiese amorevolmente il Salvani. - Il marchese di Montalto mi ha lasciato tutti i suoi diritti di padronanza, ed io posso far le sue veci con voi.
- Diritti! - borbottò il Giuliani tra’ denti. - Non vogliono durar molto, se quello scorpione del Collini ha detto il vero. -
Intanto lo sconosciuto così rispondeva all’invito di Lorenzo:
- No, grazie; debbo scendere fino al paese per pigliar le mie lettere, e tornerò tra due ore. Se sarete sulla strada vi saluterò, innanzi di ridurmi a casa. -
E quasi a premunirsi contro il pericolo di un secondo invito, il forestiero, stretta la mano a Lorenzo, e fatto un profondo saluto al Giuliani, infilò la stradicciuola che metteva alla valle.
- Sempre così! - disse Lorenzo, appoggiandosi al braccio del Giuliani, per far la salita. - Non ha mai voluto muovere un passo alla Montalda.
- Dove sta egli di casa? - dimandò il giornalista.
- Lassù, - disse Lorenzo, voltandosi indietro; - di là dalla Bricca, un quarto di miglio discosto dal luogo ove eravamo seduti.
- E chi è costui?
- Non lo conosco. -
Al Giuliani cascò l’asino a dirittura. Non cascò egli, per altro; che anzi stette fermo più che mai su due piedi, e voltatosi di sbieco, guardò in volto Lorenzo, come per sincerarsi se parlasse da senno.
- Non lo conoscete?
- Ve l’ho detto; non lo conosco.
- Bravo! Ed egli sa i fatti vostri?
- A un dipresso; - rispose Lorenzo. - Vi sa di strano?
- No; che diamine? Mi sembra anzi la cosa più naturale del mondo; - soggiunse il Giuliani con un piglio che i lettori indovineranno di certo. - Se fosse un vecchio amico, capirei che s’avesse a star sulle guardie; ma un amico recente, anzi un ignoto.... che s’ha a temere da lui?
- Siete ingiusto; - disse Lorenzo, che capiva il latino. - Tutto da un altro, niente da lui. Se sapeste in che modo io l’ho conosciuto!...
- Ditelo, amico Salvani, ditelo, in nome di Dio, che io possa cavarne profitto; sapere verbigrazia se non sia più utile confidare i proprii segreti, anzichè ad un amico provato, al primo che capita, che non s’è mai visto, nè conosciuto.
- Come v’infiammate, Giuliani! Calmatevi! - disse Lorenzo, accompagnando la frase con uno de’ suoi mesti sorrisi. - Ho conosciuto quel signore alla Bricca, la prima volta che mi sono provato a inerpicarmi lassù, dopo la partenza del nostro ottimo Aloise. Ero solo; a salire non ho durato gran fatica, poichè andavo adagino; tuttavia, giunto al mio posto consueto, mi avvidi di aver fatto troppo a fidanza colle mie forze convalescenti. Quel signore passava di là, mentre io cascavo dalla stanchezza; mi salutò e tirò dritto. Non so perchè si sia fermato più in là; forse perchè si addiede del mio stato. Io, certo, dovevo parergli un agonizzante. Fatto sta, che egli rifece la strada e mi domandò che cosa avessi, e se mi occorresse aiuto. Lo ringraziai; barattammo alcune parole, e che so io? si sedette vicino a me, parlandomi dell’aria campestre, del cielo, del mare, del libro che avevo tra mani; a farvela breve, due ore erano passate, e stavamo ancora a conversare insieme, senza esser rimasti pur un istante impacciati. Mi ricondusse egli stesso fino al portone della villa, ed io gli dissi: a rivederci. Perchè? Non lo so. Quell’uomo mi piaceva, perchè era mesto, perchè ne’ suoi modi, ne’ suoi discorsi, non c’era nulla di volgare. Credete che egli operasse in tal guisa con un secondo fine? Poteva egli sapere di trovarmi lassù?
- Continuate, Salvani; il vostro racconto mi tiene attentissimo.
- Il giorno seguente egli stava aspettandomi a mezza strada, fra la Montalda e la Bricca. Seppi che dimorava in una sua palazzina, di là da quel bosco. Mi offerse di condurmi a riposare un tratto nel suo èremo; ci andai, e vidi una casa malinconica come il suo padrone. Colà rimanemmo a lungo, ragionando di mille cose e di nessuna. Non mi chiese nulla de’ fatti miei; solo mi parlò di forti dolori dell’animo, i quali distruggono la sanità del corpo: e così, senza sforzo, mi sentii tratto a confessargli che il mio male era nel cuore. Anch’egli mi narrò di aver molto patito; nè mi diceva cosa nuova, perchè l’avevo già indovinata al solo vederlo. C’intendemmo in tal guisa; nè fu bisogno di più minuti particolari. Poco parlammo del presente, assai più del passato; egli mi narrò della sua sconsolata giovinezza, io della morte di mio padre sulla tomba di sua moglie, della mia povera madre. Vi accenno la cosa, perchè ricordo di averlo veduto piangere. Così diventammo amici; così venni a raccontargli una parte di me. Nè egli mi aveva chiesto nulla: egli sapeva a mala pena il mio nome, e lo sapeva per caso; poichè avendomi egli tolto, la prima volta che mi profferse il suo aiuto, pel marchese di Montalto, io gli avevo risposto chiamarmi Salvani, e non esser altro che l’ospite e l’amico di Aloise.
- Segno che non lo conosceva! - notò il Giuliani.
- Di veduta, no certo; - soggiunse Lorenzo; - ma dimorando da queste parti, e dovendo passare ogni giorno per questo sentiero, aveva veduto il palazzo e saputo il nome del padrone.
- Avete ragione; continuate.
- Ho finito. In questi ultimi giorni abbiamo continuato a vederci, e ogni nuovo colloquio non ha potuto che raffermare nell’animo mio il buon concetto che m’ero formato di lui; per modo che mi sapeva mill’anni di veder voi, l’Assereto e Aloise, per farvelo conoscere ed amare. Non amate voi i vecchi, Giuliani? Non vi par egli di starci meno a disagio che coi giovani? La loro compostezza, la severità, poniamo anco soverchia, non vi urtano, non vi opprimono, come la spensierata allegrezza, come lo spirito chiassoso, turbolento, di questi. Ogni simile ama il suo simile, voi lo sapete; e noi siamo vecchi, Giuliani, vecchi, molto vecchi qua dentro.
- Dite pur logori, se parlate per me; - soggiunse il Giuliani. - Il mio cuore ha cinquant’anni; il mio cervello ne ha cento. Tirate la somma; cento cinquanta; o non vi pare ch’io n’abbia da vendere, d’anni e d’esperienza, a moltissimi? Ora, questa m’insegna che chi si fida rimane ingannato. Quel vostro vecchio sarà un brav’uomo; ma non mi capacita. Chi è costui? Non sapete il suo nome, ed egli sa il vostro; non sapete neppure da che parte egli venga....
- Questo lo so; - interruppe il Salvani; - dal Brasile, dove ha vissuto lunghi anni; dall’Asia, che egli ha viaggiata da capo a fondo, innanzi di venire in Italia.
- Ah! - interruppe Giuliani, a cui in quel punto tornava la memoria smarrita.
- Che c’è? - chiese Lorenzo, volgendosi a lui.
- Nulla, nulla! - fu pronto a risponder l’altro. - Questi sassi non mi riconoscono più, e mi hanno quasi storpiato. Per fortuna sto saldo sulle gambe; se no, me ne slogavo una, a dir poco. -
Lorenzo, intento com’era nel suo racconto, non s’addiede del sotterfugio.
- Volete riposarvi? - diss’egli.
- No, no; - rispose il Giuliani. - Già siamo vicini al piazzale; andremo a sederci a tavola. Non ricordate che ho fame? -
E fatte queste parole, proseguì la sua strada, leggermente zoppicando.
- Basta, lasciamo il vecchio da banda, - disse egli, per mutar discorso. - Ho a dirvi di cose importanti.... Ma non mi fate, per carità, quella cera da funerale. C’è del nuovo, ma volgerà in bene; il gesuita e quella birba matricolata del suo scolaro, si saranno aguzzato il palo sulle ginocchia. -
Così preso l’aire, e intanto che salivano in casa, dove egli fu pronto a sedersi dinanzi ad una mezza dozzina di uova a bere, che, consapevole de’ suoi gusti, gli aveva preparati il provvido Antonio in una scodella d’acqua bollente, il Giuliani raccontò all’amico tutto ciò che sapeva del colloquio udito da Michele, in casa il Gallegos. Inutile il dire con che attenzione stesse in ascolto il povero Salvani, e come ci volesse fatica a chetarlo, quando udì del nuovo laccio teso a Maria. Per ventura, il Giuliani non aveva anche vuotato il sacco, e quella trovata del legnaiuolo delle monache, il quale s’era assunto di avvisar la fanciulla e recarle insieme una parola di speranza, valse più d’ogni amorevole esortazione a tranquillargli lo spirito.
Nè egli aveva dimenticato (e se pure gli fosse uscito di mente, quell’ultima trovata glielo rammentava più efficacemente che mai) di quanto andasse debitore al Giuliani e a’ suoi operosi colleghi. Mercè loro, gli autori di quel tranello, sebbene con ogni maggior cura nascosti, erano stati scoperti: trovato il luogo in cui era stata chiusa la fanciulla; astuzie opposte felicemente ad astuzie; e se Maria stava per esser tolta dall’ugne dei tristi, certo era per l’ingegno e l’ardimento di quegli instancabili amici. Però egli, commosso, stese la mano al Giuliani.
- Se voi non giungevate in mio aiuto, - disse egli, - io non saprei nulla di nulla; forse sarei morto di dolore e di rabbia impossente, al pensiero della mia casa disfatta, dei miei nemici padroni del campo. E come può essere che io, sventurato qual sono, abbia trovato tanti generosi che m’hanno profferta la mano, e si mettono ad ogni sbaraglio per me?
- Già ve l’ho detto lassù, alla Bricca. Questi miracoli, se pure vi paiono tali, dovete ascriverli alla tempra nobilissima del vostro carattere che ha virtù d’attrazione. Nemici ne avrete, implacabili, feroci; ma non vi mancheranno amici costanti e battaglieri all’occorrenza. Ma veniamo ad altro; ora incomincian le dolenti note, ho a parlarvi del marchese Montalto. -
Qui il Giuliani narrò per filo e per segno tutto quanto era stato detto di Aloise in quel colloquio così in buon punto origliato da Michele. Ma a questa parte del giuoco di Bonaventura non si poteva rispondere di trionfo come all’altra, perchè il Giuliani non era milionario, pur troppo. Aloise era agli sgoccioli; le sue sostanze, non molte, come tutti sanno, erano ite per la china delle matte spese, e il famoso banco Cardi Salati e C. le aveva grandemente aiutate a scorrere. E c’era anche di peggio, che racconteremo tra breve, non volendo ora allungar di soverchio1 il capitolo.
Lorenzo, che molto amava Aloise, ne fu oltremodo turbato. Come rimediarvi? E chi, potendo, l’avrebbe voluto? Povero Aloise! Egli intendeva in quel punto le cagioni della sua profonda mestizia. Ma come mai Aloise, così saldo di mente, così assegnato nello spendere, aveva potuto d’un tratto uscir così fuori delle sue consuetudini, darsi così spensieratamente a sfoggiar da gran signore? E la Montalda, retaggio de’ suoi maggiori, dov’era la tomba di sua madre, la cui memoria era tanto venerata da lui!... Questi pensieri si succedevano, turbinavano nell’anima di Lorenzo, che in quelle di Aloise dimenticò le sue medesime sventure. Ed egli non sapeva ancora ogni cosa; non sapeva che il suo povero amico, disfatto nelle sostanze, era mortalmente ferito nel cuore.
In queste malinconie trascorsero due ore. Il Giuliani, che già più volte aveva guardato l’orologio, si alzò finalmente, scusandosi coll’amico di non poter rimanere più oltre. Era molto affaccendato; sarebbe tornato il giorno seguente, per dirgli l’esito del suo stratagemma in monastero, che era del resto certissimo; stesse dunque di buon animo, e intanto non si muovesse di casa per accompagnarlo al portone.
- Voi andate adagio, - diceva egli, - ed io ho bisogno di volare. E volò infatti, senza aspettare altre parole dell’amico, dal palazzo alle falde della collina. Ma giunto colà, in cambio di scendere, prese a salire; pochi minuti dopo era alla Bricca, e infilava il sentieruolo che metteva all’èremo dello sconosciuto.
- Non doveva rimaner più di due ore; - pensava il Giuliani, mentre studiava il passo a quella volta. - A quest’ora ha da essere già passato. Ah, eccolo, è lui!
Note
- ↑ Nell’originale "sorverchio".