I rossi e i neri/Secondo volume/XIV
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XIV.
Intimazione di resa
— Lilla, buon giorno! — diss’egli alla gentildonna, con quella dimestichezza che gli era derivata da una lunga consuetudine e dal suo venerabile aspetto tra il padre spirituale e il vecchio amico di casa.
— Buon giorno, amico! — rispose la marchesa, con fievole accento, in quella che deponeva sul tavolino il clericale diario torinese.
Bonaventura notò quell’accento, e fu sollecito a chiederle che cosa avesse.
— Un po’ di stanchezza; — disse la marchesa. — Sono tornata da pochi minuti in casa.
— Da San Silvestro, forse?
— Sì.
— E come va? — chiese il gesuita, a cui quella breve risposta non poteva bastare.
— La poverina era tanto abbattuta, che non ho ardito parlarle di nulla. —
E dette queste parole in fretta, come per farla finita più presto, la gentildonna trasse un sospiro.
— Eppure, — sentenziò lo Spagnuolo, scandendo le parole con molta lentezza e accompagnando ogni sillaba con un cenno del capo, — bisognerà che ella si rassegni, e che voi la riduciate a quel passo.
— Oh, io non ardirò mai.... — proruppe la signora.
— Perchè?
— Perchè.... — continuò ella, vedendo di non poter più cansare quell’argomento. — Lo so io, il perchè? Povera fanciulla! Se la vedeste, farebbe tenerezza a voi pure. Che volete, padre? La vocazione non viene a tutti, com’è venuta a voi e a tant’altri eletti del Signore. Il mondo, ch’ella ha a mala pena intravveduto, la chiama troppo fortemente a sè con tutte le sue liete speranze; gli affetti di famiglia, raccolti in un fratello, parlano ancora troppo caramente al suo cuore....
— È troppo più che non si convenga ad una fratellanza d’adozione, io m’avvedo; — interruppe il gesuita. — Ma non le avete voi detto, marchesa, che questo suo fratello, questo mal arnese, è a Londra, dove mena una pessima vita, in mezzo a tutta quella schiuma di fuorusciti?
— Sì, padre, fin dall’altro ieri le ho detto tutto quello che voi mi avete.... raccontato de’ fatti suoi; ma temo non lo creda, o non giovi. Ella, anzi, quest’oggi ancora, s’è amaramente lagnata con me del furto commesso nella sua cella, mentr’ella dormiva....
— E non ha sospettato della Madre Maddalena?
— No, perchè alla Madre Maddalena non aveva confidato nulla di quel suo innocente segreto. Ella non sa di esser stata veduta da lei quando svitava la moneta, e crede ancora che le abbiano rovistato i panni e tolti que’ pochi spiccioli per timore ch’ella non avesse a tentar di corrompere la suora conversa. Difatti, ella mi diceva stamane, combattendo i supposti timori delle monache: «A che mi servirebbero quelle sette lire? Nè io vorrei darle ad altri, poichè mi ricordano la mia povera casa e le mie modeste fatiche.»
— E dov’è, ora, quella moneta? — chiese Bonaventura, piantando i suoi occhi grifagni in volto alla marchesa.
Lilla si turbò a quella dimanda, e rimase un istante senza rispondere.
— Gliel’avete ridata? — proseguì egli, con piglio sarcastico, mentr’ella balbettava alcune frasi scucite.
— Sì, amico mio; — soggiunse allora la gentildonna. — Forse ho fatto male; ma, in verità, mi doleva troppo di vederla piangere. Le avevo detto, per chetarla, che quel poco denaro era in mie mani, e, cavata la borsa, lo feci vedere a lei, dicendole che lo tenesse pure, a patto di non farne mal uso. Poverina! Erano due monete da due lire, con altre poche di minor prezzo, sette lire in tutto. Ella cercò subito la moneta del segreto, la baciò, e restituendomi le altre, mi disse: «permettetemi, signora, che io tenga questa; è il primo frutto de’ miei lavori di ricamo, ai quali avevo posto mano per non esser troppo d’aggravio al mio ottimo fratello.» Io m’ero bensì avveduta, che, innanzi di trascegliere quella moneta, ella aveva considerate attentamente le due consimili....
— Mentiva! — notò Bonaventura, col medesimo accento beffardo.
— No padre! Quando io le chiesi come avesse conosciuta la moneta, tra due che ce n’erano della medesima forma, ella mi guardò con aria di candore, mi baciò le mani, e in cambio di dirmi, come avrebbe potuto, che l’avrebbe conosciuta dall’anno o da altro segno particolare, confessò che era una moneta cavata da due altre, lavorate dentro a guisa di scatola, e commesse insieme la mercè d’una vite che girava internamente lungo la costa. Quelle quattro lire, ridotte a parer due, erano proprio il primo frutto delle sue veglie; ma dentro c’era il ritratto di Lorenzo Salvani, suo fratello, suo protettore. Voi ben vedete, o padre, che la poverina non sapeva mentire.
— L’amate molto! È strano! — saettò il gesuita, facendo sibilar le parole dai denti chiusi e dalla chiostra delle dita, che andavano tormentando irrequiete il campo raso del labbro superiore.
Lilla chinò gli occhi sul pavimento e non disse verbo.
— Queste figlie del peccato, — proseguì egli, dopo una breve pausa, per conficcar lo strale nella ferita, — hanno tutta la caparbietà della loro origine. Eppure, bisognerà ch’ella si disponga a farsi monaca; e voi, marchesa, vi adoprerete domani a vincere la sua ostinatezza.
— Padre! — esclamò la gentildonna, con accento supplichevole.
Bonaventura crollò superbamente le spalle.
— Orbene — diss’egli — sia come volete, e il mondo dica ciò che gli pare.
— Che cosa? — dimandò la signora.
— Che la vostra tenerezza è soverchia, per una semplice protettrice. La vostra assiduità, senza frutto di conversione, sarà notata, e la vostra misericordia sembrerà....
— Sembrerà, voi dite, sembrerà?...
— Che so io? — continuò Bonaventura. — Troppo.... materna! —
A quelle parole che finalmente svelavano il pensiero del gesuita, un lampo di sdegno illuminò il volto della marchesa di Priamar. Si rizzò in piedi, con piglio di regale alterezza; ed egli del pari si alzò dalla scranna, ma calmo e sicuro, guardandola fissamente, come un giudice il reo. Lilla vide allora quel volto severo, vi lesse in un’occhiata tutto il suo passato fatto palese; nè potendo sostenere la lotta, nè reggersi più oltre, ricadde, come sfinita da quello sforzo supremo.
Era stato un baleno; ma in quel baleno si era rischiarata ogni cosa tra i due.
Bonaventura si assise a sua volta. Un silenzio sepolcrale regnava nel salotto, lasciando udire i tocchi ricisi dell’orologio a pendolo, che dall’alto del camino veniva numerando con monotono metro i minuti secondi di quella pausa solenne.
Lo Spagnuolo squadrava Lilla con occhi torvi, che le avrebbero fatto sgomento, se ella avesse levata la fronte a guardarlo. Ma ella teneva il viso rivolto a terra, e le palpebre chiuse; nella sua mente era una confusione d’immagini che il martellare del sangue alle tempie agitava senza posa; le fischiavano gli orecchi; il lieve suono del suo respiro interrotto le giungeva mutato in un sordo rumore. E quando la voce di Bonaventura si fece udire da capo, parve a lei che venisse com’eco da luogo lontano, fors’anche dal passato, che è lontananza di tempo.
— Ricordo — disse dopo una lunga pausa lo Spagnuolo, con un accento solenne da cui trapelava l’amarezza dell’animo — che or fanno trent’anni era in Genova un uomo fieramente innamorato di Lilla Lercari. Quell’uomo era giovane allora, ma d’animo fatto; e in lei, a mala pena uscita d’infanzia, aveva presentito un miracolo di bellezza e di grazia. Lo ricordate, marchesa, quell’uomo? Lilla, quando ebbe la prima volta a vederlo, esclamò con fanciullesca sincerità: «che giovane vecchio!» E diceva il vero, e il giovane vecchio sorrise, scusandola amorevolmente presso i parenti, che la riprendevano di quella scappata infantile. Egli era giovine d’anni, ma vecchio d’esperienza; egli commise in vita sua un errore soltanto; e fu quello d’invaghirsi di Lilla, di credere che ella avrebbe potuto un giorno esser sua, e di darle intanto, consapevolmente e pur ciecamente, tutto sè stesso. Ciò avviene alle anime virili, sperimentate alle battaglie della vita, assai più facilmente ch’altri non creda. —
Così dicendo, trasse un sospiro, se pure non è più acconcio chiamarlo un ringhio; indi proseguì:
— Quando il cuore di Lilla si schiuse all’amore, non fu egli che ne colse le primizie; fu un altro, un altro che l’occasione profferse a’ suoi occhi, e che altre cure assai facilmente allontanarono da lei. Questa è sorte di tutti gli affetti veri, che debbano esser turbati da qualche apparizione improvvisa e fugace. Nulla è, nulla giova la cura assidua, l’adorazione costante; al nuovo venuto le promesse, che non ha chieste, i baci, che non ha implorati colla tacita preghiera dello sguardo, specchio della interna agonia. Tacque il povero innamorato, ed attese; il caso, che aveva tratto quel nuovo venuto al fianco di Lilla, il caso lo sbalestrò lontano da lei. Ma mentre il cuore del disgraziato si riapriva alla speranza, mentre egli preparava la sua dignità di gentiluomo alla vergogna d’un rifiuto dei parenti di lei, pure ripromettendosi che il cuore di Lilla non avrebbe confermata la triste sentenza, Lilla Lercari si piegava facilmente ad un disegno improvviso de’ suoi; poco stante, sposa ad un altro, si chiamava Lilla di Priamar. Che avvenne allora? Io vi prego di ascoltarmi, marchesa! Dei due amanti, il lontano e il vicino, quale la amava più veramente? Il lontano.... Ma che ne dirò io, del lontano? Questa parola non basta ella per chiarire ogni cosa? L’amore non era stato il gran tutto per lui; bensì un trastullo pei ritagli di tempo che gli erano lasciati dalle sue matte ambizioni politiche. Però durava tranquillo in un esilio ch’egli aveva voluto; pensava ad altro, laggiù, forse sapendo non aver da far altro che presentarsi da capo per vincere. Il vicino, intanto, a patire la più aspra delle battaglie; che inferno fosse nel suo povero cuore, egli solo lo sa, e il ricordarsene tuttavia lo sgomenta. Ma egli rispettò quella donna; imprecò a sè medesimo, non a lei, e riguardoso dinanzi al vincolo che univa per sempre due vite, fece della sua il più gran sacrifizio che un disperato amore inspirasse mai ad un uomo, sul fiore della balda giovinezza; la votò ricisamente, irrimediabilmente, a Dio, a Dio che non accolse il sacrifizio, a Dio che non volle sradicargli dal cuore quelle malaugurata passione. Sì, o signora; ciò ch’egli soffrisse allora, argomentatelo da questo, che trent’anni sono passati ed egli ama ancora Lilla di Priamar, e così fieramente, come in quei giorni di dolore infinito.... —
Al prorompere di quella confessione, la marchesa non rispose verbo, non alzò neppur gli occhi. Se li avesse levati fino a lui, avrebbe veduto quel volto come trasfigurato dalla potenza arcana delle ricordanze. E in verità, da quella fronte corrugata nelle battaglie della vita, traspariva alcun che della giovinezza di Bonaventura; la passione, così a lungo rattenuta, lampeggiava dagli occhi, non già col soave baleno della preghiera, nè col torvo bagliore della minaccia, ma sì coll’aperto splendore, in cui si dipingeva l’audace alterezza del comando. Lilla non osava guardarlo, tremando tutta in cuor suo; non come si trema davanti ad un volgar tentatore, che un tocco di campanello può costringere alla temperanza delle parole e degli atti, ma come si trema al cospetto di un vincitore, che detta, superbamente composto, le sue condizioni. Perchè aveva egli tanto aspettato? Lilla lo intendeva assai bene; l’uomo forte aveva frenato gl’impeti del suo cuore, chiusi gli sdegni nel profondo, fino a tanto non avesse raccolte nella sua mano di ferro tutte le ragioni della vittoria. Epperò, indovinando, ella lo aveva sempre temuto; quell’apparenza di calma, a lei memore del passato, era sempre stata argomento di sospetto. Ed ora il sospetto diventava certezza; quelli erano tutti i segni della fiamma antica; l’incendio divampava tanto più forte, quanto più lungamente covato.
Fu un’altra pausa, durante la quale Bonaventura divorò degli occhi quella donna, quasi volesse trasfondere in lei quell’ardore che dal petto gli saliva alle tempie. Ed ella, sempre nel medesimo atteggiamento, pareva la statua dello stupore; solo il respiro affannoso la diceva viva.
— Votato a Dio! — ripigliò amaramente Bonaventura. — Sacrifizio fatto nell’ira colla preghiera sul labbro e la maledizione nel cuore, altro non porta che fumo ingrato lassù. Ho inteso allora perchè i sacrifizi di Caino non tornassero accetti al Signore. Ma che diceva quel sacrifizio, se non a Dio, alla donna? Io non amerò altra che voi; distruggo in un punto tutte le mie speranze; anniento la mia giovinezza; consacro tutta la mia operosità al nulla, tutta la mia vita all’inferno, e per voi, solamente per voi. E quell’altro, intanto, quell’altro? Egli che, amato da lei, non aveva saputo, nè voluto farla sua, egli ben seppe, ben volle insidiarla, quando fu d’altri, e la ottenne. Egli che aveva potuto vivere senza di lei, lontano da lei, volontariamente travolto nel turbine delle umane vicende, egli tornò, fu visto e vinse; poi sparve da capo, col frutto e colla testimonianza durevole del suo trionfo, lasciando a quella donna i dolori d’un tardo rimorso, e quel che è peggio, facendo di ghiaccio un cuore che avrebbe potuto riaprirsi alla compassione, all’amore, e condannando un altr’uomo a vivere obliato, non curato, fino alla tomba.... —
In queste parole la voce di Bonaventura aveva trovato un accento malinconico, quasi soave, che commosse il cuore di Lilla.
— Non è egli il mio migliore amico? — diss’ella. — La gioventù e la bellezza passano; l’amore con esse; l’amicizia rimane.
— Lo credete? — diss’egli di rimando.
La marchesa sollevò allora lo sguardo, vide la faccia di Bonaventura, e n’ebbe sgomento.
— Vi amo! — soggiunse egli, alzandosi lentamente in piedi e andando a piantarsi vicino a lei, con una mano aggrappata alla ricurva spalliera del sofà dov’ella rimaneva accasciata. — Non m’inginocchierò a’ vostri piedi; non piangerò. Queste sono le armi dei giovani, e la mia gioventù si è consumata in questa vana pugna contro il passato. Ma non vedete che soffro? che la vostra austerità mi ha scemate le forze, m’ha reso vile a’ miei occhi medesimi? E quella vostra austerità ha pur ceduto ad un altro!...
— Il mio pentimento sarà eterno! — esclamò la marchesa, nascondendosi il volto nelle palme, come a celare il rossore che le era salito alle guance.
— Il pentimento! Che è ciò? a che serve, se non reca un conforto a chi per cagion vostra ha tanto patito?
— Che dite amico mio? — balbettò la marchesa, cercando, in quello stesso nome affettuoso, uno scampo.
— Dico, Lilla, che ho troppo sofferto, e che voi dovete esser mia. —
Un alito di fuoco sfiorò il capo di Lilla, a quelle parole, sommessamente profferite, e la povera donna ne fu sbigottita.
— I vostri voti.... — accennò ella timidamente.
— I miei voti! — ripetè Bonaventura, la cui voce s’era fatta pari al sordo brontolio del tuono lontano. — I miei voti.... pronunciati per cagion vostra, per dimostrarvi che senza l’amore di Lilla il mondo non era nulla per me!... Io ho vissuto giorni d’angoscia ineffabile, patito tormenti, al cui paragone ogni tortura è nulla.... Che mi parlate di voti? Il mio cuore non li ha pronunziati; il mio cuore non ha accettato alcun vincolo oltre quello che lo stringeva a voi, e che stringerà pur voi, foss’anche a vostro mal grado! —
Come chi soggiaccia alle visioni d’un sogno pauroso, e, quasi sapendo di sognare, si sforzi con moto istintivo a liberarsi dalle strette dell’incubo, la marchesa di Priamar tentò sottrarsi a quella foga crescente del suo assalitore, e in uno sforzo supremo balzando in piedi, corse al lato opposto del ridotto, dove rimase, ritta, ansante e lo sguardo smarrito.
— Padre, — diss’ella con voce tremante, — non posso udirvi più a lungo. —
Bonaventura era rimasto fermo al suo posto, chiuso, accigliato, come il simulacro del destino.
— Mutiamo discorso; — rispose egli, asciutto.
— Sarà meglio per ambedue; — soggiunse la marchesa.
Egli fu per dare un sobbalzo a quelle acerbe parole; ma non si mosse, e finse non averle udite. In quella vece si morse il labbro, fino a far sangue; indi proseguì con piglio beffardo:
— Dov’eravamo rimasti, innanzi ch’io saltassi fuori a parlarvi di tutte queste sciocchezze? Ah, ecco! Parlavamo di vostra figlia, che, voglia o non voglia, dovrà farsi monaca. Mi sono pur fatto frate, io, che ero padrone di me, e non avevo da arrossire dei miei natali, come lei! —
Sentendo venir meno quel po’ di forza che l’aveva tratta in piedi pur dianzi, la marchesa alzò la fronte al cielo, come implorando soccorso. Ma il cielo era muto: nessuna ispirazione le venne dall’alto, e flagellata in volto dallo scherno di Bonaventura, la povera donna andò ad occhi chiusi contro la vergogna.
— È orribile, orribile, ciò che voi dite! — esclamò. — Mia figlia.... sì! Credete voi che io abbia paura? Mia figlia! Orbene, io non la costringerò a maledirmi! Povera creatura innocente! Io non le farò espiare il mio fallo; ella sarà libera, uscirà dal convento, raccolta dalle braccia di sua madre....
— Adagio.... madre! — interruppe beffardo il Gallegos. — Anzitutto, come uscirà dal convento? Bisognerà parlare, dire come ella non sia una fanciulla orfana, derelitta. Bisognerà dire, — e qui la voce di Bonaventura andava facendosi a mano a mano più alta, — che la marchesa Lilla di Priamar, la severa matrona, la santa dama di misericordia, l’inflessibile giudichessa delle debolezze altrui, ci ha avuto ella pure le sue debolezze, le sue misericordie colpevoli; che Lucrezia rediviva ci ha avuto i suoi amorazzi, che ella non soggiacque alla violenza di Sesto Tarquinio, ma l’ebbe caro, e che quello stolido marchese di Priamar ebbe, senza volerlo, senza saperlo, una figlia....
— Parlate piano! — disse con accento supplichevole la marchesa.
Un lampo di gioia sinistra illuminò lo sguardo del Gallegos. Il suo trionfo cominciava in quel punto.
— Ah, voi temete! — soggiunse egli, con voce più rimessa.
— E voi sfidereste lo scherno dell’universale, voi che ora paventate l’orecchio di un servo, che potrebbe passare in questo mentre dall’anticamera? Non avevate paura! Siete balzata contro di me, in atto di minaccia! Eccolo, il vostro coraggio, dove vi ha tratta, e come presto vi manca! —
La marchesa, ridotta allo stremo, s’era lasciata cadere come corpo morto su d’una scranna.
— Bisognerà pure che la fanciulla si faccia monaca! — proseguì spietatamente Bonaventura. — Sua madre non può arrossire per lei, non può dire oggi, manifestare in un giorno, ciò che ha nascosto gelosamente vent’anni, ciò che non può confessare, nè lasciarsi dire, a fronte alta, dall’uomo che, solo al mondo, conosce il suo segreto, dall’uomo che l’ha spiata giorno per giorno, seguita fedelmente come l’ombra il corpo. Il mondo è crudele, colle sue leggi; ma noi gliele abbiamo insegnate, e dobbiamo a nostra volta subirle. Mostrare i suoi falli, brutta cosa! Sono sciocchezze, lo so; l’amore si ride di certi nomi con cui si tenta avvilirlo, e dacchè mondo è mondo la infamia del nome non ha frenato mai gl’impeti dell’affetto prepotente. E tuttavia, voi lo sapete, marchesa di Priamar, si nasconde questo amore come un delitto; peggio ancora, come una vergogna. Si viola la legge, perchè è esorbitante; ma si rispetta, nascondendo la violazione. Non si vuole arrossire. Che direbbe la gente? Sapete la gran novità? Quella fanciulla, di cui non si sapeva l’origine, era sua figlia. Sì, davvero. Narrate; ha da esser sugosa, la storia. Sicuro! c’è di mezzo un amore antico, che nemmeno l’aria aveva a risaperlo; ma il diavolo, che fa le pentole, non sa fare i coperchi. Già, ci vuol pazienza; siam tutti fragili; ogni merce ha il suo calo, e la marchesa di Priamar, la Lilla, ci aveva pure il suo caro segreto. Tutte così, queste gran dame, che dànno la battuta alla plebe; più alte sono, e più cascano! E lei, anche lei come tutte le altre! Questa è ghiotta davvero; la racconterò in conversazione stasera. —
La marchesa si contorceva sotto quella scossa di sarcasmi feroci.
— Oh, la mia povera figlia! — gridò ella, perduta, tendendo le palme al suo flagellatore. — Pietà, Bonaventura, amico mio da tanti anni! Non avete voi cuore? Pietà, ve ne supplico a mani giunte! Debbo io abbracciare le vostre ginocchia! — proseguì ella, spiccandosi con impeto disperato dalla scranna. — Pietà, non per me, per mia figlia! Io l’amo. Alla sua vista ho sentito il mio seno commuoversi tutto, svegliarsi nel mio cuore un affetto ignoto dapprima, un affetto irresistibile, quell’affetto che senton perfino le belve per le loro creature. Perchè non lo sentirei io? Mia figlia! intendete? mia figlia! È stata una colpa; ma l’ho espiata con lunghi dolori; la espio terribilmente adesso, nella vergogna che mi assale e mi ricopre davanti a voi. Ma ella è innocente. Non fate che io la sacrifichi. Lasciate a me il mio buon nome. L’onore è la vita. Abbiate misericordia! Mio Dio! è impossibile che voi siate tanto spietato con me....
— Fanciullaggini! — disse Bonaventura, in quella che la respingeva tranquillamente da sè e la rimetteva a sedere sul sofà, presso cui era rimasto. — Vedrò piuttosto se l’amate davvero, la figlia vostra!
— Oh, dite, parlate!...
— Sì, c’è un mezzo. Ella potrebbe andar moglie a qualcuno che fosse di buon casato, degno di lei, ma che non avesse a domandare dond’ella venga.... —
Gli occhi della marchesa pendevano da lui in quel punto; le labbra della povera donna mormoravano interrotte parole in guisa d’assentimento continuo alle parole di lui.
— Tutto ciò potrebbe ottenersi; — proseguì lo Spagnolo. — Voi sareste la sua protettrice, nient’altro, in apparenza, e l’apparenza tornerebbe tutta a vostro vantaggio. Voi che, per l’uffizio vostro di misericordia l’avete raccolta in mezzo alla strada, o quasi, voi potreste esserle madrina, voi darle uno stato. Nessuno ci troverebbe a ridire, anco se le assegnaste una dote. Siete ricca, siete sola, padrona di voi, e n’andreste anzi celebrata per ogni bocca, come esempio di onesta liberalità, di munificenza pietosa. E quella fanciulla, beneficata da voi, fatta felice da voi, vi amerebbe come una seconda madre, anzi come la vera madre, che ella non ha conosciuta. Non è egli ciò che vorreste?
— Sì, sì! ma come? dove trovare?
— È ufficio mio; ho l’uomo da ciò; giovine, costumato, ben avviato, diventerà anche un uomo ragguardevole in mezzo a questa turba di sciocchi.
— Oh, se faceste ciò! —
Bonaventura la interruppe, accostandosi a lei con satanico piglio, e sussurrandole due parole, due sataniche parole, all’orecchio.
Lilla abbassò gli occhi, e due grosse lagrime le scesero per le guance sul petto.
— Orbene? — chiese egli sommesso, ma con piglio riciso.
— Che debbo io dirvi? — esclamò ella alzando al cielo le ciglia lagrimose. — Che io possa vedere contenta mia figlia, non farla infelice per tutta la vita....
— E lo giurate? — incalzò Bonaventura.
Lilla si recò una mano sul volto, e singhiozzando gli porse, o per dire più veramente, lasciò ch’egli afferrase l’altra e la stringesse nella sua.
— Marchesa, — disse Bonaventura, pigliando subitamente commiato da lei, — oggi stesso mi adoprerò per questo negozio. Domani, innanzi di andare a San Silvestro, aspettatemi. —
Ed uscì dal salotto, con passo lieve e guardingo, quasi ella dormisse ed egli non volesse turbarla. Lilla rimase ancora un tratto così abbandonata sul sofà, colla testa supina contro la spalliera e le palme raccolte sul viso. Si alzò finalmente, guardandosi intorno con occhi smarriti, e prese barcollando la via della sua camera, dove andò a cadere sulla predellina d’un inginocchiatoio, dando in uno scoppio di pianto a’ piedi di un crocifisso che pendeva dalla parete, e col capo chino pareva guardarla e compiangerla.
Povera madre!