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gliene offriva argomento ogni giorno. E Lilla taceva, non chiedeva mai nulla, nascondendo la sua ansietà sotto le apparenze d’una pietosa sollecitudine per quella loro protetta, che ella andava a visitar di sovente, ma senza dirle alcuna di quelle parole in cui si manifesta il cuor d’una madre; e anch’essa, come il gesuita, non risolvendo mai nulla.

— Ella si vergogna, — pensava il fiero Spagnuolo; — argomenta ch’io sappia ogni cosa, ma teme ch’io parli; ama sua figlia, ma trema pel suo buon nome nel mondo. Animo, dunque, ella è mia. —

Con questo fermo proposito, il padre Bonaventura, un giorno di settembre, metteva il piede nel salotto della marchesa di Priamar.


XIV.

Intimazione di resa

— Lilla, buon giorno! — diss’egli alla gentildonna, con quella dimestichezza che gli era derivata da una lunga consuetudine e dal suo venerabile aspetto tra il padre spirituale e il vecchio amico di casa.

— Buon giorno, amico! — rispose la marchesa, con fievole accento, in quella che deponeva sul tavolino il clericale diario torinese.

Bonaventura notò quell’accento, e fu sollecito a chiederle che cosa avesse.

— Un po’ di stanchezza; — disse la marchesa. — Sono tornata da pochi minuti in casa.

— Da San Silvestro, forse?

— Sì.

— E come va? — chiese il gesuita, a cui quella breve risposta non poteva bastare.

— La poverina era tanto abbattuta, che non ho ardito parlarle di nulla. —

E dette queste parole in fretta, come per farla finita più presto, la gentildonna trasse un sospiro.

— Eppure, — sentenziò lo Spagnuolo, scandendo le parole con molta lentezza e accompagnando ogni sillaba con un cenno del capo, — bisognerà che ella si rassegni, e che voi la riduciate a quel passo.