I misteri del processo Monti e Tognetti/Capitolo XXXVIII
Questo testo è completo. |
◄ | Capitolo XXXVII | Capitolo XXXIX | ► |
XXXVIII
La moglie e la madre.
Le precauzioni della polizia romana non si erano limitate a vietare l’accesso del popolo nella piazza dell’esecuzione, e impedire la circolazione nelle vie che i due condannati dovevano percorrere.
Alla moglie dell’uno, alla madre dell’altro era stato negato di dar loro l’estremo addio. Ora si temeva che quelle donne pazze di dolore fossero uscite dalle loro case, e cercando di giungere fino ai loro cari, mentre venivano condotti al supplizio, avessero colle loro grida chiamata gente ed eccitato del tumulto. Perciò fino dalla notte le abitazioni di entrambe erano state circuite da un picchetto di zuavi, che avevano per consegna d’impedire l’uscita a chiunque.
Quelle infelici, per tutto quel giorno orrendo, in cui la immaginazione rappresentava alla loro mente lo strazio della persona amata, ebbero presente ad accrescimento di dolore, e quasi a scherno del loro patire, l’abborrita divisa degli zuavi pontifici.
La povera Lucia, che aveva pel lungo lagrimare essiccata la sorgente delle lagrime, non piangeva più, ma esalava un lugubre, continuo ululato: piangevano i figliuoletti nel vedere così mesta la madre, sebbene non ne sapessero la terribile cagione, e Teresa doveva reprimere il pianto e consolarli, e acquetarli, perchè colle loro grida non rendessero più acerbe le pene della sventurata.
Ma in quell’età infantile il dolore non fa tacere i bisogni istintivi della vita, e non molto andò che i fanciulletti chiesero del pane. In casa non v’era cibo di sorta, e Teresa si avviò per provvederne: ma gli zuavi di guardia le impedirono il passo. Non valsero rimostranze e preghiere, nè il pianto dei bimbi che avevano fame. Cosa incredibile, ma vera! Nel giorno del supplizio di Monti sua moglie, e i suoi figli mancarono di pane!
Verso sera alla vedova infelice, si presentò, una visita inaspettata, il colonnello De Charette, il comandante degli zuavi, quello stesso che aveva domandato al Papa l’onore di assistere alla esecuzione di Monti e Tognetti. Egli entrò con aspetto triste e benevolo, si tolse di capo il cappello, e si avvicinò a Lucia, circondata da suoi figlioletti.
— Signora! diss’egli. La sventura che vi ha colpito è di quelle che non hanno riparo, ed io non venni a porgervi sterili parole di consolazione. Ma voi siete madre, proseguì accennando i fanciulli, che lo guardavano maravigliati e spauriti da quella nuova figura. Siete madre, e i vostri figli sono certamente la cosa più cara che vi rimanga al mondo. Vostro marito ha pagato il debito che aveva colla giustizia; il pensiero de’ miei zuavi doveva volgersi naturalmente alla sua vedova e ai suoi orfani, che non ebbero nessuna parte nel suo fallo, eppure ne portano la pena, restando derelitti e soli sopra la terra. Lenire un dolore così grande e immeritato come il vostro, signora, non è possibile: ciò che possiamo fare si è di rendere meno trista la vostra sorte, provvedendo all’avvenire dei vostri bambini. Gli è con questo intendimento che gli zuavi pontifici, non serbando nessun rancore verso la famiglia del condannato, commossi anzi dalla vostra condizione infelice, hanno posto in comune delle offerte. Esse devono servire come ho detto a migliorare la sorte dei vostri figli, e come madre, non potete rifiutare quanto ho l’onore di porgervi a nome del corpo degli zuavi pontifici.
Posto fine al suo dire con un inchino rispettoso, il colonnello presentò a Lucia un portafoglio.
Lucia Monti balzò in piedi con uno slancio, e sebbene un tremito convulsivo l’agitasse, rimase ferma colla testa alta, e gli occhi fissi in quelli del colonnello. Essa era una povera popolana, non usa a studiare le frasi e i bei modi, in quel punto poi si trovava in tale stato di prostrazione, che male reggeva il pensiero: ma la naturale altezza dell’animo, e il tumulto dei sentimenti le dettarono in quel momento solenne, le parole più proprie a rintuzzare la tracotanza dello straniero, il quale sotto le apparenze della bontà celava la superbia, che coi suoi zuavi lo aveva spinto ad ostentare quel beneficio.
— Signore, disse con voce sicura, mio marito è morto! e voi lo avete ucciso. Bastava una preghiera degli zuavi, e in ispecie del loro comandante, perchè il Papa gli facesse la grazia. Ma voi altri invece lo voleste morto, voi altri lo avete posto sotto il taglio della ghigliottina. Ed ora venite ad offrirci delle monete come un prezzo della sua vita! Avete parlato de’ miei figli! Ma sappiate, o signore, che io vorrei vederli morire ad uno ad uno di fame, piuttosto che cibarli col vostro pane. No, i miei figli non sono poveri; essi possedono una grande eredità, il nome del loro padre, il nome di Giuseppe Monti!
Ciò detto, Lucia con un gesto della mano indicò la porta al colonnello. Egli fece un altro inchino, ed uscì. V’era tanta nobiltà nel contegno di quella donna, ch’egli si sentì profondamente umiliato.
L’avvocato Leoni, reduce col cuore affranto della chiesetta di San Giovanni Decollato, dov’erano state deposte le bare, contenenti i resti di Monti e Tognetti, pensò che il dolore più atroce da consolare era quello della madre. La vedova aveva almeno un conforto, sebbene amaro anche esso in tanta desolazione: la vista de’ suoi figli.
A passi ora lenti, ora affrettati, come di chi vorrebbe giungere a un tempo, e non vorrebbe, arrivò alla casa della Tognetti, dov’erano di guardia, come abbiamo detto, gli zuavi. La vecchia infelice stava prostesa in un letto, quasi assopita in quella calma, che segue un lungo sussulto convulsivo.
Sentì appena il passo dell’avvocato, che indovinando chi era si scosse, e spalancando gli occhi, li protese verso la persona che veniva. Per quanto dovesse aver perduta la speranza della grazia, pure una ostinata lusinga le stava nel fondo del cuore, chè troppo insoffribile torna al cuore di una madre adattarsi all’idea della morte del figlio.
L’ora dell’esecuzione era trascorsa; tutto era finito. Eppure essa sperava ancora, sperava in un evento straordinario, in un miracolo del cielo. Poveretta! le pareva ancora impossibile che il suo Gaetano dovesse morire a quel modo.
Al riconoscere l’avvocato parve che un segreto presentimento le annunziasse una buona novella.
— Mio figlio gridò. La grazia!
Il sangue le affluì alla testa; le sue mani si agitarono, come cercando un sostegno.
La situazione di Leoni era terribile. Gli conveniva disingannare subito quella donna: ogni indugio avrebbe accresciuta la sua speranza, e resa più fatale la delusione.
Fece colla testa un’impercettibile segno negativo; l’espressione della sua fisonomia disse il rimanente.
L’idea terribile di quanto era avvenuto si affacciò allora alla mente della madre.
L’ora era passata; se la grazia non era intervenuta, e dunque la morte del suo Gaetano era consumata. Lo pensò in un baleno.
Essa si era lasciata vincere dall’entusiasmo della speranza troppo addentro; il contraccolpo fu tremendo.
Leoni la vide farsi livida a un tratto, e cadere all’indietro sul letto.
Corse a sostenerla: era morta!
In quel medesimo giorno il principe Rizzi presentò a sua moglie come un regalo l’anello insanguinato di Curzio, con queste parole:
— La partita è vinta!
La principessa mandò un grido, e fuggì dal palazzo. Poche ore dopo essa era chiusa nel convento delle sepolte vive, dov’era badessa una sua zia. Tutto il potere del cardinale suo cognato non valse a toglierla da quell’asilo.