I misteri del processo Monti e Tognetti/Capitolo XL

XL. Reti gesuitiche

../Capitolo XXXIX ../Capitolo XLI IncludiIntestazione 9 dicembre 2024 75% Da definire

Capitolo XXXIX Capitolo XLI
[p. 160 modifica]

XL

Reti gesuitiche.


Lascio figurare qual notte angosciosa avevano passata Lucia e Teresa: solo i fanciuletti, ché in sulla sera avevano ottenuto un poco di cibo, avevano poi dormito placidamente per tutta la notte.

Le povere afflitte vedevano volontieri don Omobono, del quale conoscevano la semplicità mansueta, tanto diversa dalla consueta boria dei preti di Roma.

Quando lo vide entrare, Lucia levò l’occhio mesto, e lo salutò con un breve cenno del capo.

— Poveretta!... fatevi cuore!... disse don Omobono, avvicinandosi a lei. Pensate ai vostri figliuoli, che sono il maggior bene che vi rimanga a questo mondo; pensate a questi cari angioletti, ai quali resta aperto un avvenire migliore.

— E quale? Poveri orfani, senza guida, senza sostegno! esclamò Lucia baciando con trasporto ciascuno de’ suoi figli, che al solito stavano aggruppati, quale in grembo, e quale accanto a lei.

― La misericordia del Santo Padre è inesauribile, e... riprese don Omobono col suo fare dinoccolato, martoriando al solito il suo cappello, quasi volesse spremerne le parole che non trovava.

— Non mi parli del Papa! gridò Lucia, di quel vecchio spietato, innanzi al quale mi sono inginocchiata come innanzi a Dio, e che avrebbe potuto salvare la vita di mio marito con una parola, con un cenno della mano. Egli è stato l’assassino, il boja del povero Peppe!

— Non parlate così, sora Lucia, altrimenti scappo via, e non ritorno più. Non posso tollerare che in mia presenza si parli in tal modo di Sua Santità. Specialmente poi, quando vengo a parteciparvi un tratto veramente angelico del suo cuore paterno. [p. 161 modifica]

— Che? esclamò Lucia stupita, che cosa viene a parteciparmi?

— Guardate, proseguì il prete, se avete torto d’interpretare così sinistramente l’operato del Santo Padre! S’egli non ha salvato vostro marito, gli è proprio che non poteva senza ledere la giustizia: ma il suo cuore oh!

... l’afferrò colla mano destra pei capelli, e stendendo il braccio, e girandolo intorno la mostrò da ogni parte agli zuavi schierati. — Pag. 154,

il suo cuore ne ha pianto sicuramente. E ne volete una prova? eccola appunto, è questa, che appena soddisfatta la giustizia, il suo primo pensiero è quello di correre in soccorso della famiglia del condannato. [p. 162 modifica]

— Anch’esso! Che buona gente! disse Lucia, sorridendo amaramente. Che gente pietosa! Non posso lagnarmi di loro! È vero che mi hanno ammazzato il marito: ma poi in compenso mi mandano del denaro!

— Non è questa veramente l’intenzione di Sua Santità, soggiunse don Omobono. La sua munificenza va più oltre. Egli ha destinati i vostri figli ad essere mantenuti ed educati a sue spese nel collegio dei gesuiti, e la bambina nell’orfanotrofio del Sacro Cuore; e voi, che sarete naturalmente stanca del mondo, potrete trovar riposo nel convento delle Carmelitane, dove potrete pregar pace all’anima del vostro sposo, e passare in santa quiete la vostra vita.

— Ciò. vuol dire, esclamò Lucia, ch’esso mi offre la prigione per me e pei miei figli! Egli, che non conosce il cuore di una madre, crede che io avrei acconsentito a lasciarmi strappare i miei figli così, e vuol fare di me una monaca, e de’ miei ragazzi dei gesuiti!... Ebbene, dite voi, a Sua Santità, che s’inganna, che io non so che farne de’ suoi doni, che io porterò alteramente per tutta la vita il nome di vedova Monti, e che questi miei figli saranno educati ad onorare la memoria del loro padre, e a maledire i suoi carnefici, come io in questo momento li maledico!

Don Omobono non aveva petto da resistere a tanta furia, e conobbe che innanzi a quella tempesta, era forza ripiegare le vele. Si ricacciò in testa il cappellaccio, ch’era ridotto in uno stato da non dire, e infilò la porta borbottando fra i denti.

Riprese poscia la via, non già con passo allegro e frettoloso, come aveva fatto prima, ma camminando lento lento, e di sghimbescio, chè lo turbava l’idea di ritornare innanzi a padre Bindi con una prova palese della sua imbecillità, e con una solenne lavata di capo in prospettiva.

Più si avvicinava al Gesù, più avrebbe voluto esserne lontano, e gli avveniva spesso di fare, senza accorgersene, un passò innanzi e due indietro. Nemmeno la vista della finestra aperta, che indicava la morte dell’ammalato, valse a rinfrancarlo, ed esso entrò a capo chino e in aspetto ritroso nel convento del Gesù, e salì alle stanze di padre Bindi.

— Ebbene gli chiese questi.

Ebbene, io sono un asino, reverenza! riprese don Omobono, con quel tuono di compunzione con cui si recita il Confiteor. E vostra reverenza ha fatto male a scegliere un asino come me per una missione di tanta importanza.

— E perchè? chiese il gesuita.

Allora don Omobono raccontò come la vedova di Monti avesse respinto sdegnosamente le sue offerte, tacendo però le frasi ingiuriose da lei proferite contro la santità del Beatissimo Padre, frasi ch’egli non avrebbe ripetute per tutto l’oro del mondo. Confessò ch’egli non aveva saputo trovare l’eloquenza necessaria per persuadere quella donna; e facendo [p. 163 modifica]quella esposizione, il povero prete faceva seguire ogni parola del suo discorso da una piccola pausa, nella quale pareva che ripetesse mentalmente: mea culpa, mea culpa!

Giunto alla fine, egli si aspettava una grandine di vituperi, o per lo meno una patente di bestia in tutte le forme, come gli era avvenuto di riceverne spesso da’ suoi superiori ecclesiastici in circostanze di molto minore importanza.

Niente di tutto questo: il padre Bindi accolse con aspetto benigno, e quasi quasi con un risolino di compiacenza, la narrazione del prete; e quando questi ebbe finito:

— Bravissimo! egli disse stringendogli una mano. Vedo ch’ella ha benissimo compreso la sua missione, e l’ha eseguita precisamente in quel modo che si aspettava da lei.

Don Omobono rimase a bocca aperta.

Padre Bindi proseguì:

— Era da prevedersi che quella donna avrebbe rifiutato le nostre offerte. Eh naturalmente il mal seme delle opinioni perverse si è trasfuso da suo marito in lei. Essa vorrebbe educare i figli coi medesimi principii libertini, i quali produrrebbero per essi la rovina del corpo e la dannazione dell’anima: il male di questa vita e dell’altra. Ma noi non possiamo permettere la perdita di queste creature, non possiamo tollerare ch’esse vengano allevate con delle idee contrarie ai santi principii della Chiesa Romana. E perciò bisogna ricovrare quelle anime benedette sotto il patrocinio della Santa Chiesa. E se la madre si oppone, ebbene lo faremo anche suo malgrado: la prima madre è la Chiesa. Dunque, don Omobono, noi faremo in modo che quei piccini siano portati nel santo asilo che li aspetta e la madre, siccome bisogna pensare anche all’anima sua, sarà ricoverata anch’essa nel convento delle Carmelitane.

Quelle belle parole, proferite dal gesuita con tutta l’unzione della pietà e l’effusione della carità, volevano dire che si sarebbero strappati gli orfanelli di Monti dal seno della loro madre per farne dei monaci, e si sarebbe rinchiusa la loro madre in un convento, come in una prigione perpetua. Tali erano le benigne intenzioni del governo romano riguardo la famiglia del condannato.

— Noi dovevamo, riprese Bindi, provare colle buone maniere. Se la vedova Monti aderiva al nostro caritatevole invito, tanto meglio, allora ci avrebbe risparmiato le misure energiche alle quali, nel suo medesimo interesse, ci troviamo ora astretti di ricorrere. Ma, siccome quella donna ostinata, quella peccatrice indurita respinse la mano diretta a soccorrerla, così sarà necessario di adoprare per forza quei mezzi che devono condurre lei e i suoi figli sul cammino dell’eterna salute.

Don Omobono guardava maravigliato il reverendo padre, che seguitava: [p. 164 modifica]a parlare. Il povero prete non comprendeva perchè mai si facessero a lui quelle confidenze.

— Potrebbe avvenire però, continuò il gesuita, e li stava senza dubbio il nodo dell’affare, perchè così parlando esso piantò gli occhi in faccia a don Omobono in modo significante: potrebbe avvenire che la vedova Monti cercasse di fuggire, opponesse resistenza, e dovessero nascere scandali, calunnie. La cosa deve dunque condursi segretamente, e con tutta prudenza. Ed ecco come convien fare. Qui sta, e accennò i cassetti delo scrittoio, un passaporto regolare per quella donna; ella, don Omobono, glielo recherà, e le dirà, che non avendo essa accettato le offerte generose di Sua Santità, è invitata a lasciare lo Stato. Essa accetterà con gioia, entrando naturalmente la partenza ne’ suoi disegni. Però, per vidimare il passaporto, dovrà presentarsi alla Direzione di Polizia; ora la Direzione sta sull’avviso, e quando essa si presenterà, sarà introdotta in una vettura chiusa, senz’altro verrà condotta al convento delle Carmelitane. Assicurata così la madre, i figli verranno senza resistenza guidati al loro destino.

— Io dunque devo..

— Non far altro, che porgere amorosamente questo passaporto alla vedova Monti: il resto verrà da sè.

— Ma...

— Prenda dunque, e rifletta all’importanza di questo incarico.

Padre Bindi, consegnandogli il passaporto, licenziò don Omobono, e questi si avviò per le scale.