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162 | i processi di roma |
— Anch’esso! Che buona gente! disse Lucia, sorridendo amaramente. Che gente pietosa! Non posso lagnarmi di loro! È vero che mi hanno ammazzato il marito: ma poi in compenso mi mandano del denaro!
— Non è questa veramente l’intenzione di Sua Santità, soggiunse don Omobono. La sua munificenza va più oltre. Egli ha destinati i vostri figli ad essere mantenuti ed educati a sue spese nel collegio dei gesuiti, e la bambina nell’orfanotrofio del Sacro Cuore; e voi, che sarete naturalmente stanca del mondo, potrete trovar riposo nel convento delle Carmelitane, dove potrete pregar pace all’anima del vostro sposo, e passare in santa quiete la vostra vita.
— Ciò. vuol dire, esclamò Lucia, ch’esso mi offre la prigione per me e pei miei figli! Egli, che non conosce il cuore di una madre, crede che io avrei acconsentito a lasciarmi strappare i miei figli così, e vuol fare di me una monaca, e de’ miei ragazzi dei gesuiti!... Ebbene, dite voi, a Sua Santità, che s’inganna, che io non so che farne de’ suoi doni, che io porterò alteramente per tutta la vita il nome di vedova Monti, e che questi miei figli saranno educati ad onorare la memoria del loro padre, e a maledire i suoi carnefici, come io in questo momento li maledico!
Don Omobono non aveva petto da resistere a tanta furia, e conobbe che innanzi a quella tempesta, era forza ripiegare le vele. Si ricacciò in testa il cappellaccio, ch’era ridotto in uno stato da non dire, e infilò la porta borbottando fra i denti.
Riprese poscia la via, non già con passo allegro e frettoloso, come aveva fatto prima, ma camminando lento lento, e di sghimbescio, chè lo turbava l’idea di ritornare innanzi a padre Bindi con una prova palese della sua imbecillità, e con una solenne lavata di capo in prospettiva.
Più si avvicinava al Gesù, più avrebbe voluto esserne lontano, e gli avveniva spesso di fare, senza accorgersene, un passò innanzi e due indietro. Nemmeno la vista della finestra aperta, che indicava la morte dell’ammalato, valse a rinfrancarlo, ed esso entrò a capo chino e in aspetto ritroso nel convento del Gesù, e salì alle stanze di padre Bindi.
— Ebbene gli chiese questi.
Ebbene, io sono un asino, reverenza! riprese don Omobono, con quel tuono di compunzione con cui si recita il Confiteor. E vostra reverenza ha fatto male a scegliere un asino come me per una missione di tanta importanza.
— E perchè? chiese il gesuita.
Allora don Omobono raccontò come la vedova di Monti avesse respinto sdegnosamente le sue offerte, tacendo però le frasi ingiuriose da lei proferite contro la santità del Beatissimo Padre, frasi ch’egli non avrebbe ripetute per tutto l’oro del mondo. Confessò ch’egli non aveva saputo trovare l’eloquenza necessaria per persuadere quella donna; e facendo