I giuochi della vita/Mentre soffia il levante

Mentre soffia il levante

../Colpi di scure IncludiIntestazione 9 agosto 2018 75% Da definire

Colpi di scure
[p. 307 modifica]

MENTRE SOFFIA IL LEVANTE.

[p. 309 modifica] Un'antica leggenda sarda afferma che il corpo degli uomini nati nella vigilia di Natale non si dissolverà mai fino alla fine dei secoli.

Si parlava appunto di ciò in casa di zio1 Diddinu Frau, ricco contadino, e Predu Tasca, il fidanzato della figliuola di zio Diddinu, domandava: — Ed a che serve ciò? Che possiamo farcene del corpo, dopo che siamo morti?

— Ebbene, — rispose il contadino — non è una grazia divina non essere ridotti in cenere? E quando arriverà il giudizio universale, non sarà una cosa bellissima ritrovare intatto il proprio corpo?

— Poh, chi lo sa? — disse Predu con fare scettico. [p. 310 modifica]

— Senti, genero mio, — esclamò il contadino: — l'argomento è buono; vogliamo stanotte cantarlo?

Bisogna sapere che zio Diddinu è un poeta estemporaneo, come lo erano suo padre e suo nonno; egli coglie con gioia tutte le occasioni per proporre una gara di canto estemporaneo a poeti meno abili di lui.

— Oh, — osservò Maria Franzisca, facendo la graziosa perchè il fidanzato la osservava, — l'argomento è poco allegro.

— Tu, sta zitta! Tu andrai a letto! — gridò il padre con voce rude.

Benchè poeta, egli era un uomo rozzo, che trattava la famiglia, specialmente le figliuole, con severità quasi selvaggia. E la famiglia lo rispettava e lo temeva. In presenza del padre Maria Franzisca non osava neppure sedersi accanto al suo Predu (del resto la moda del paese voleva che i fidanzati stessero a rispettosa distanza) e si contentava di civettar con lui da lontano, affascinandolo con le mosse della bella persona fiorente entro il pittoresco vestito di scarlatto o di orbace,2 e sopratutto con gli sguardi degli [p. 311 modifica] ardenti occhi d’un turchino verdognolo, grandi come due mandorle mature.

Era dunque la vigilia di Natale: una giornata grigia, annuvolata, ma tiepida: spirava anzi un vento di levante che portava il lontano e snervante tepore del deserto e come un umido odore di mare. Pareva che di là dalle montagne, sulle cui chine verdeggiava la fredda erba d’inverno, e di là dalla valle, ove i mandorli troppo precocemente fioriti si scuotevano, gettando quasi con dispetto al vento i petali bianchi come falde di neve, ardesse un gran fuoco, del quale non si scorgessero le fiamme, ma arrivasse il calore. E le nuvole che s’affacciavano sulle cime dei monti e incessantemente salivano e si spandevano sul cielo, sembravano formate dal fumo di quel fuoco invisibile. Le campane suonavano a festa; la gente, resa un po’ strana dal levante, girava per le strade e per le case, ideando come riunirsi per festeggiare il Natale; le famiglie si scambiavano regali di porchetti, di agnelli autunnali, di carne, di dolci, di frutta secche; i pastori recavano ai padroni il primo latte delle vacche, e la padrona rimandava al pastore il recipiente colmo di legumi o d’altro, guardandosi bene dal [p. 312 modifica] rimandarlo vuoto per non augurare male al bestiame.

Predu Tasca, anch'egli pastore, ammazzò il suo più bel porchetto, lo sventrò, gli tinse col sangue la cotenna, lo riempì di fronde d'asfodelo, lo mise in un canestro e lo mandò in regalo alla fidanzata. E la fidanzata diede uno scudo d'argento alla portatrice del regalo e dentro il canestro mise un dolce di mandorle e miele.

Verso sera il fidanzato venne in casa Frau e strinse la mano della fanciulla. Ella arrossì, rise di piacere, ritirò la mano: e nella mano calda per la stretta amorosa trovò una moneta d'oro.

Subito andò in giro per la casa, mostrando segretamente a tutti il bel regalo di Predu.

Fuori le campane suonavano lietamente, ed il levante ne spandeva il suono metallico per la sera tiepida ed umida. Pietro vestiva il suo bel costume ancora medioevale dal giustacuore di velluto turchino ed il corto cappotto nero d'orbace e di velluto finemente trapuntato; e aveva la cintura di cuoio a ricami e i bottoni d'oro filogranati.

I lunghi capelli neri gli ricadevano sulle orecchie, ben pettinati ed unti con olio d'ulivo; [p. 313 modifica] e siccome aveva già bevuto vino ed anice, i suoi occhi neri brillavano e le sue labbra rosse ardevano tra la folta barba nera. Era bello e fresco come un Dio campestre.

Bonas tardas,3 — disse sedendosi vicino al suocero, davanti al focolare ove ardeva un tronco d’elce. — Il Signore vi conceda cento Natali. Come ve la passate?

— Come i vecchi avvoltoi che han perduto gli artigli, — rispose il fiero contadino, che cominciava ad invecchiare. E recitò quei versi famosi:

S’omine cando est bezzu no est bonu....

Fu allora che si parlò della leggenda sui nati la sera di Natale.

— Andremo alla messa, — disse zio Diddinu, — al ritorno faremo una bella cena e dopo canteremo, dunque!

— Anche prima, se volete.

— Prima no! — disse zio Diddinu, battendo il bastone sulla pietra del focolare. — Finchè dura la Santa Vigilia bisogna rispettarla: Nostra Signora soffre i dolori del parto e noi non dobbiamo nè cantare, nè mangiar carne. [p. 314 modifica] Oh, buona notte, Mattia Portolu! siediti lì e dimmi chi altri verrà. Maria Franzisca, da bere! Porta da bere a questi piccoli agnelli.

La fanciulla versò da bere e, chinandosi davanti al fidanzato per porgergli il bicchiere scintillante come un rubino, lo inebbriò con uno sguardo e un sorriso ardente. Intanto il nuovo venuto nominava gli amici che dovevano sopraggiungere.

Le donne s’affaccendavano già per preparare la cena, intorno al focolare che stava nel centro della cucina, segnato sul pavimento da quattro liste di pietra. Da una parte sedevano gli uomini; dall’altra parte le donne cucinavano: in un lungo spiedo stava già infilata la metà del porchetto regalato da Predu Tasca; e un leggero fumo odoroso di vivande si spandeva per la cucina. Vennero altri due vecchi parenti, due fratelli che non si erano mai voluti ammogliare, per non dividere il loro patrimonio; sembravano due patriarchi, con capelli lunghi riccioluti ricadenti sulla prolissa barba bianca; poi venne un giovine cieco che palpava e sfiorava i muri con un sottile bastone di oleandro.

Uno dei vecchi fratelli prese Maria Franzisca per la vita, la spinse verso il fidanzato e disse: [p. 315 modifica]

— Che fate, agnellini del mio cuore? Perchè state così lontani come le stelle? Tenetevi dunque per mano, abbracciatevi....

I due giovani si guardarono ardentemente; ma zio Diddinu alzò la voce tonante:

— Vecchio ariete, lasciali in pace: essi non hanno bisogno dei tuoi consigli.

— Lo so, e neppure dei tuoi! Essi troveranno bene il modo di consigliarsi fra loro! — rispose il vecchio.

— Se ciò fosse, — disse il contadino, — io dovrei scacciare quel giovane come si scacciano le vespe. Da bere, Maria Franzisca!

La fanciulla si tolse, un po’ mortificata, dalle braccia del vecchio, e Predu disse, accomodandosi la berretta e sorridendo:

— Bene! Cantare e mangiare non si può, nè altro…. Ma bere sì?

— Si può tutto perchè Dio è grande, — mormorò il cieco, seduto accanto al fidanzato. — Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà.

E bevettero, e come! Solo Pietro bagnava appena le labbra sull’orlo del bicchiere. Fuori le campane suonavano; s’udivano grida e canzoni errare col vento. Verso le undici tutti si alzarono per recarsi alla messa di [p. 316 modifica] mezzanotte; in casa rimase solo la vecchissima ava, la quale in gioventù aveva udito dire che i morti tornano la notte di Natale a visitare le case dei parenti. Ella quindi praticava un antico rito: preparava un piatto di vivande ed un boccale di vino pei morti. Anche quella notte, appena fu sola si alzò, prese il vino e le vivande, e le depose in una scaletta esterna, che saliva dal cortile alle stanze superiori della casa.

Un vicino povero, che conosceva la credenza e il rito della vecchia, saltò il muro di cinta e vuotò le vivande ed il vino.

Appena ritornati dalla messa, giovani e vec chi si misero allegramente a cenare. Furono spiegati per terra lunghi sacchi di pannilano, e su questi le tovaglie di lino filate in casa: entro grandi recipienti di creta gialla e rossa fumarono i maccheroni fatti dalle donne, e nei taglieri di legno fu abilmente tagliato da Pietro il porchetto arrostito a puntino.

Tutti mangiavano seduti per terra, su stuoie e sacchi; una fiamma potente cigolava sul focolare, spandendo chiarori rossastri sulle figure degli invitati; sembrava un quadro omerico. E quanto si bevette!

Dopo cena le donne, per il rigido volere del [p. 317 modifica] padrone, dovettero ritirarsi; gli uomini sedettero o si sdraiarono attorno al focolare e cominciarono a cantare. Erano tutti rossi fin sulle orecchie, con gli occhi languidi eppur lucenti. Il vecchio contadino cominciò la gara.

Duncas, gheneru meu, ello ite naras,
Chi a sett’unzas de terra puzzinosa….

— Dunque, — cantava il vecchio, — cosa dici, genero mio: è meglio esser ridotti a sette oncie di polvere spregevole, o ritrovare intatto il nostro corpo nel giorno del giudizio universale? ecc., ecc.

Pietro s’accomodò la berretta e rispose.

— L’argomento è funebre — cantò, — pensiamo ad altre cose: cantiamo l’amore, il piacere, sas Venus hermosas (le Veneri belle)…. infine cose liete e graziose.

Tutti, tranne il contadino, applaudirono la strofa pagana; ma il vecchio poeta si stizzì e disse, in versi, che il suo contradditore non voleva rispondere, perchè non si sentiva capace di trattare l’altissimo argomento.

Allora Predu tornò ad accomodarsi la berretta e rispose, sempre in versi sardi:

“Ebbene, giacchè volete, vi rispondo; l’argomento non mi piace perchè è triste, non [p. 318 modifica] vorrei pensare alla morte, giusto in questa notte di gioia e di vita ma, giacchè lo desiderate, vi dico: non m’importa proprio niente che il nostro corpo resti intatto o si dissolva. Che siamo noi dopo morti? Niente. Importa che il corpo sia sano e vigoroso durante la vita, per lavorare e godere…. null’altro!„

Il contadino replicò. Pietro ribatteva sempre il tasto dei piaceri e delle gioie della vita: i due vecchi fratelli l’applaudivano; anche il cieco dava segni d’approvazione. Il contadino fingeva di arrabbiarsi, ma in fondo era contento che suo genero si rivelasse un buon poeta. Eh, avrebbe continuato la gloria tradizionale della famiglia!

Ma mentre cercava di dimostrare la vanità dei piaceri del corpo, zio Diddinu beveva ed incitava a bere. Verso le tre dopo mezzanotte tutti erano ubbriachi; solo il cieco, formidabile bevitore, e Pietro, che aveva bevuto poco, conservavano la loro lucidità di mente.

Pietro però s’era inebbriato del suo canto, ed a misura che l’ora passava, fremeva di gioia ricordando una promessa di Maria Franzisca. A poco a poco la voce dei cantori si affievolì; il vecchio cominciò a balbettare; il giovane finse di cadere dal sonno. Finirono [p. 319 modifica] tutti coll’assopirsi; solo il cieco rimase seduto, rosicchiando il rozzo pomo del suo bastone.

Ad un tratto il gallo cantò nel cortile.

Pietro aprì gli occhi e guardò il cieco.

— Egli non mi vede, — pensò alzandosi cautamente; — ed uscì nel cortile.

Maria Franzisca, che scendeva silenziosamente la scaletta esterna, gli cadde fra le braccia.

Il cieco s’accorse benissimo che qualcuno era uscito fuori, e pensò che fosse Pietro; ma non si mosse; anzi mormorò: — Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà.

Fuori, la luna correva dietro le nuvole diafane e nella notte argentea il vento di levante portava l‘odore del mare e il tepore del deserto.

(1900-1905).

fine.

  1. Zio, titolo che in Sardegna si dà per rispetto a tutte le persone anziane del popolo.
  2. Tessuto di lana paesano.
  3. Buone ore tarde.