I giuochi della vita/Lo studente e lo scoparo
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LO STUDENTE E LO SCOPARO.
Era d’ottobre.
Appoggiato, o meglio arrampicato sul muro rossiccio della vigna, lo studente e giornalista Lixia guardava il paesaggio aspro e melanconico, il cui ricordo gli aveva qualche volta destato impeti di nostalgia.
Era un lembo d’alta pianura, coperto di scopeti, fra il cui verde cupo delineavasi una strada giallognola, larga ma dirupata, e spiccavano roccie rossastre chiazzate di musco rugginoso. Il cielo d’un azzurro cenerognolo pareva ancor più chiaro sulla cupa linea degli scopeti che si diramavano fino all’orizzonte. Solo un’allodola interrompeva col suo grido sfumato il silenzio del paesaggio, e solo una piccola nuvola, bianca e tenue come una piuma, interrompeva la solitudine dell’orizzonte; e pareva che l’allodola, un po’ annoiata e triste, dirigesse il suo grido alla nuvola; e che la nuvola avesse fermato il suo corso solitario e noioso per ascoltar l'allodola.
Lixia guardava e anch'egli s'annoiava. Sentiva una perfida sonnolenza velargli la mente: gli pareva che l'ombra del fico immobile sul muro rossiccio — un'ombra pesante e letale — gli calasse sul pensiero.
— Che melanconico e disgraziato paese è la Sardegna! — pensava. — Anche le nuvole e gli uccelli ci si annoiano. Mentre tutto il mondo si agita e cammina, essa sola, l'isola morta, tace. E ciò che ancora non è morto agonizza, così, come la vigna di mio padre — questa vigna che sola viveva nella landa selvaggia — muore di filossera. L'anno venturo non ci saranno che i muri e questo fico, se pure ci saranno. Ed io non sarò buono a ripiantarla, la nostra vigna! Come potrei? Mi intendo io di vigne? Ma chi è quell'uomo? Ah, zio Pascale; ecco che il paesaggio è completato dalla sua figura triste e dura. Pare un uomo di ferro arrugginito, quel vecchio. S'io fossi pittore simbolista disegnerei quel vecchio, così, fra due scope, accanto ad una roccia sanguigna, sul cielo anemico, e intitolerei: Sardegna.
Lo scoparo s’avanzava lentamente, tagliando qua e là i migliori cespugli; ed a misura che egli si avvicinava, lo studente udiva distintamente un gemito, una tosse repressa, risuonante più entro il petto che sulle labbra del vecchio.
Zio Pascale aveva forse la febbre e vaneggiava perchè, quando egli giunse proprio sotto il piccolo rialto sul quale arrampicavasi il muro della vigna, Lixia lo udì parlare vagamente, come un sonnambulo.
— Maria Annicca, — diceva il vecchio scoparo, con leggero rimprovero, — perchè hai fatto ciò? Non sapevi che egli era un riccone? Ecco lì, sta ferma. Dove è la bisaccia? Ah, come farò io, San Francesco mio d’argento? Pascaleddu, agnello d’oro, non tormentarmi così....
— Zio Pascale? — chiamò lo studente.
Il vecchio, curvo a tagliare con una piccola falce un cespuglio di scope, s’alzò di scatto, come svegliandosi da un sogno, e mise la mano sugli occhi infossati.
— Chi sei, anima del purgatorio?
— Non mi vedete? No, sono un’anima dell’inferno.
— Ah, sei il figlio di Batóre Lixia? Dio ti benedica, anima mia; io non ci vedo più, sai: ecco, tu mi sembri una nuvola.
— Che fate, zio Pascale?
— Raccolgo scope. Tu sei un dottore, vero? — chiese il vecchio, sempre più rispettoso.
— Non ancora. Che fate voi di queste scope?
Il vecchìo gemeva e tossiva convulso, e rispondeva a stento, umile e quasi pauroso.
— Le porto a Nuoro, dove le vendo.
— Ogni giorno?
— Oh, no! Quando ero in forze, sì, quando avevo vent’anni, trenta anni. Ma ora!...
Scosse la mano, come accennando un punto remoto nello spazio e nel tempo.
— Quanti anni avete, ora, zio Pascà?
— Ottanta.... no sessantanove.... aspetta, di più....
— Settantanove?
— Sì, me ne manca uno a novanta.
— Basta; vuol dire che siete vicino più ai cento che ai venti, non è vero? Avete sempre fatto lo scoparo?
— Sì. Ma dimmi, è vero che tu sei impiegato nella Corte del Re?
— Non ancora, zio Pascale! Forse col tempo. Con chi vivete? Ma mi pare che siate ammalato.
— Ammalato! Ammalato! Molto ammalato, figlio del mio cuore! Ah, questa tosse! Mi pare che qui, entro il petto ed in gola, ci sia una sega che lavori continuamente. Io conoscevo tuo padre, sai. Era un benefattore…. oh…. questa tosse….
— Ma perchè non prendete qualche cosa, zio Pascale? — chiese Lixia, al quale il vecchio destava pietà e disgusto.
— E cosa vuoi che prenda? Ho provato la medaglia di Santu Pascale, ho provato il verbasco bollito, gli impiastri di lino…. tutto ho provato…. ma vuoi sentire cosa è? È la morte che viene….
— Con chi vivete? — ripetè lo studente giornalista, saltando a sedere sul muro.
Il vecchio scoparo cominciava ad interessarlo: gli pareva d’intervistare in lui il più autorevole rappresentante d’ una razza sconosciuta. Eppure quante volte, prima di partire per gli studî, e durante le vacanze, non aveva egli veduto il vecchio scoparo e cento e mille altri campioni di quella razza alla quale egli stesso apparteneva?
— Da quanti anni fate lo scoparo?
— Da molti, molti anni, ti ho detto! — rispose il vecchio, ripetendo quel gesto vago che accennava una lontananza infinita. — Avevo dieci anni, la prima volta che andai a Nuoro a vendere le scope: anche mio padre era scoparo; anche mio figlio scoparo. Egli una volta, stanco di camminare e camminare sempre a piedi, gittò il laccio ad un cavallo che pascolava in una tanca, e vi montò su. Ebbene, lo incontrarono due carabinieri che andavano in cerca di un bandito. — Tu hai rubato questo cavallo? — gli dissero. Egli protestò. Ma i due carabinieri, che forse avevano paura di incontrare il bandito, presero mio figlio, lo legarono, lo portarono in carcere.
— Siete pur malizioso, zio Pascale! — osservò Lixia.
Ma il vecchio tossiva, con gli occhi fuori delle orbite e la barba bagnata da fili di bava sanguigna, e non udì l’osservazione dello studente. Quando la tosse passò, egli riprese a parlare, sempre fermo sotto il muro, ritto, con la falciuola in mano come l’immagine della Morte.
— San Francesco mio d’argento, che tosse indiavolata! Sì, mio figlio morì in carcere, quando stava per finire la sua condanna. Basta; mi lasciò due ragazzi.
— Perchè, era ammogliato?
— Era vedovo. Ebbene, due ragazzi; un maschio ed una femmina. Il ragazzo andò via con un magnano girovago e non lo vidi mai più. La ragazza, Maria Annicca, andò a servire in casa del sindaco. Tu lo conosci, Marcu Virdis…. eh, lo conosci? Quel riccone.
— Eh, diavolo, è mio zio! Ebbene?
— Ebbene, pazienza. La ragazza era una palma d’argento; era la luce degli occhi miei. Ma fu molto leggera. Ebbe un figlio dal padrone. Ma non sapeva ella che Marcu Virdis era un riccone? Che non poteva sposarla? San Francesco mio d’argento, pazienza! Il Signore le avrà perdonato, come le perdonai io.
— Dove si trova ora? Ah, mi sembra d’aver già sentito questa storia! Ella è morta, non è vero?
— È morta.
— E il figlio?
— Sta con me; ma è tanto cattivo! Un diavoletto! Non vuol lavorare, non mi aiuta, niente! Ebbene, pazienza. Il mio più grande tormento è il pensare a ciò che diverrà questa creatura. Che avverrà di lui, senza parenti, povero e solo?
— Zio Pascale, — disse Lixia come inspirato, — non datevi pensiero! Il mondo cammina. Al di là del mare, in Continente, gli uomini vogliono diventare tutti eguali; fra venti o trenta anni, forse prima, non ci saranno più nè ricchi nè poveri; cioè tutti gli uomini lavoreranno e tutti avranno da vivere comodamente. Anche qui, in Sardegna, arriverà questa legge. Non datevi pensiero per vostro nipote; quando egli sarà vecchio non si trascinerà come voi, per le lande incolte, a rischio di morire nel deserto e di esser divorato dai corvi.
Il vecchio ascoltava; scuoteva tristamente la testa e gemeva, reprimendo un nuovo scoppio di tosse che gli sollevava il petto.
— Abbiate pazienza, — proseguì Lixia, infervorandosi nella sua parte di apostolo. — I tempi cambieranno. In tutto il mondo, e quindi anche in Sardegna, non ci saranno più poveri, non ci saranno più malfattori, più invidiosi, più farabutti come il mio parente Virdis, più carabinieri, più bambini che faranno morir disperati i vecchi infelici. Qui dove crescono le scope, in questi campi desolati, ebbene, vedete, qui, proprio qui, si vedranno verdeggiare le vigne, gli orti, i chiusi….
— Ebbene, pazienza, — interruppe il vecchio scoparo, — vuol dire che le vigne e gli orti e i chiusi saranno dei ricconi: i poveri non avranno mai niente, neppure le scope avranno, allora! San Francesco mio d’argento….
E ricominciò a tossire.
Dall’alto del muro rossiccio lo studente allargò le braccia e guardò il cielo disperatamente.
— Essi non possono neppure capire, essi non sono neppure creature umane! — declamò.
— Mi dài qualche cosa? — domandò infine lo scoparo.
Ma Lixia, fedele ai suoi principî, gli negò l’elemosina, e per vendicarsi il vecchio pensò:
— Quel ragazzo è matto.