Pagina:Deledda - I giuochi della vita.djvu/300

292 lo studente e lo scoparo


che accennava una lontananza infinita. — Avevo dieci anni, la prima volta che andai a Nuoro a vendere le scope: anche mio padre era scoparo; anche mio figlio scoparo. Egli una volta, stanco di camminare e camminare sempre a piedi, gittò il laccio ad un cavallo che pascolava in una tanca, e vi montò su. Ebbene, lo incontrarono due carabinieri che andavano in cerca di un bandito. — Tu hai rubato questo cavallo? — gli dissero. Egli protestò. Ma i due carabinieri, che forse avevano paura di incontrare il bandito, presero mio figlio, lo legarono, lo portarono in carcere.

— Siete pur malizioso, zio Pascale! — osservò Lixia.

Ma il vecchio tossiva, con gli occhi fuori delle orbite e la barba bagnata da fili di bava sanguigna, e non udì l’osservazione dello studente. Quando la tosse passò, egli riprese a parlare, sempre fermo sotto il muro, ritto, con la falciuola in mano come l’immagine della Morte.

— San Francesco mio d’argento, che tosse indiavolata! Sì, mio figlio morì in carcere, quando stava per finire la sua condanna. Basta; mi lasciò due ragazzi.

— Perchè, era ammogliato?