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290 | lo studente e lo scoparo |
benedica, anima mia; io non ci vedo più, sai: ecco, tu mi sembri una nuvola.
— Che fate, zio Pascale?
— Raccolgo scope. Tu sei un dottore, vero? — chiese il vecchio, sempre più rispettoso.
— Non ancora. Che fate voi di queste scope?
Il vecchìo gemeva e tossiva convulso, e rispondeva a stento, umile e quasi pauroso.
— Le porto a Nuoro, dove le vendo.
— Ogni giorno?
— Oh, no! Quando ero in forze, sì, quando avevo vent’anni, trenta anni. Ma ora!...
Scosse la mano, come accennando un punto remoto nello spazio e nel tempo.
— Quanti anni avete, ora, zio Pascà?
— Ottanta.... no sessantanove.... aspetta, di più....
— Settantanove?
— Sì, me ne manca uno a novanta.
— Basta; vuol dire che siete vicino più ai cento che ai venti, non è vero? Avete sempre fatto lo scoparo?
— Sì. Ma dimmi, è vero che tu sei impiegato nella Corte del Re?
— Non ancora, zio Pascale! Forse col tempo. Con chi vivete? Ma mi pare che siate ammalato.